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Videogiochi e surrealismo nella collezione SS23 di JW Anderson

Quando gli oggetti comuni diventano abiti fuori dal comune

Videogiochi e surrealismo nella collezione SS23 di JW Anderson Quando gli oggetti comuni diventano abiti fuori dal comune

La collezione SS23 che Jonathan Anderson ha presentato ieri a Londra, in una antiquata sala giochi, possedeva un vibe surreale da Alice nel Paese delle Meraviglie: abiti e look sembravano stranianti astrazioni di oggetti comuni, capovolgimenti ironici di una realtà che continua a scambiarsi col virtuale e viceversa. La reference al nostro rapporto con la tecnologia rimaneva preponderante con top fatti solo di pulsanti da tastiera e stampe ricavate da stock photo usate come wallpaper parlano della «natura filtrata dall'ego digitale» in un mondo dove piano fisico e metaverso vanno compenetrandosi con esiti paradossali, tra alterazioni dell’identità, in uno spazio liminale sospeso tra i due mondi che è simboleggiato dalla sala giochi che diventa metafora di una tecnologia «dove cadere e tuffarsi, a capofitto» e in cui «persone intrappolate nei loro computer […] esplorano altre dimensioni».

Il procedimento surrealista viene applicato anche al di fuori dell’ambito digitale vero e proprio per entrare nel campo degli oggetti quotidiani, catturati in una istantanea insieme veridica, ironica e deformante: il look di chiusura, ad esempio, che è un tributo alla Regina Elisabetta II è la trasfigurazione in forma di tubino nero di neoprene di una t-shirt commemorativa diffusa in questi giorni a Londra; altrove ci sono maglioni posati sul torso dei modelli con tanto di gruccia da lavanderia che, oltre a essere giocosi, rimandano anche alle collezioni Artisanal di Maison Margiela; amache e paralumi d’acciaio trasformati in abiti, etichette di composizione interne che si trasformano nell’elemento decorativo centrale di t-shirt enormi come tuniche, la vita di un paio di jeans diventa il collo di una t-shirt, i bermuda sono imbottiti come piumini e le gonne a palloncino rigide come legno, un sacchetto di plastica con dentro un pesce rosso in realtà è un top, una t-shirt è decorata con pinne di plastica come se fosse una tavola da surf (e a indossarla è Emily Ratajkowksi, no less) mentre diversi abiti sono il risultato di un intreccio di due soli pezzi di jersey perforato. 

Tutte queste acrobazie visive e semantiche erano basate su un rigido essenzialismo compositivo: una jumpsuit, un top, una gonna, un abito. Ogni look includeva più o meno due o tre item tolti accessori e scarpe – e dunque anche i pezzi più fantasiosi e originali erano in se stessi oggetti semplici ma costruiti con astuzia concentrandosi su «le forme essenziali, i dettagli esagerati, l’ovvietà semplice ma complessa». Il che porta equilibrio e semplifica una collezione che di semplice non ha quasi nulla ma il cui messaggio astratto, giocoso e surreale è stranamente netto e succinto.