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Che fine hanno fatto gli emo?

L'eredità di una delle ultime autentiche subculture giovanili

Che fine hanno fatto gli emo? L'eredità di una delle ultime autentiche subculture giovanili

 Al giorno d’oggi risulterebbe strano e in un certo senso forzato parlare di etichette e subculture. Le generazioni post ’99 avranno solo un vago ricordo di quella che è stata la faida generazionale tra emo e truzzi, dei capelli cotonati, dei ciuffoni e di tutto il casino che una decina di anni fa ci passava per la testa. Eppure i 25enni di oggi hanno vissuto o comunque assistito ad una delle ultime grandi subculture dei nostri giorni: quella degli emo. Gli strani ragazzi che popolavano le città di tutta la penisola, quelli vestiti in modo eccessivo, con le t-shirt di Drop Dead e Emily the Strange, i ragazzi truccati con i jeans più skinny della storia, con le Converse Chuck Taylor o le Vans Slip On scarabocchiate con stelline e scacchi, quelli depressi che si tagliavano le vene ed ascoltavano la musica potente.

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Che fine hanno fatto gli emo?

Prima di rispondere a questo quesito è però utile contestualizzare il movimento e capire cosa veramente stava succedendo non solo in Italia ma nel mondo dieci anni fa. Il termine emo inizia a circolare negli anni 80, quando all’interno della scena punk di D.C. inizia a svilupparsi l’ “emotive hardcore”, un nuovo genere musicale caratterizzato da un'inedita vena di tristezza ed emotività, da testi che non avevano paura di mettere a nudo le debolezze e la fragilità degli artisti. Sarà solo negli anni 2000 però - in particolar modo tra il 2003 e il 2008 - che il movimentò raggiungerà la sua massima espansione, diventando mainstream.

Questo grazie anche ad un mezzo potentissimo che le sottoculture precedenti non avevano a disposizione: i social network. Nel 2004 nasce infatti Myspace, una delle piattaforme simbolo del movimento emo, punto di incontro di tanti giovani musicisti emergenti e dei loro fan potenziali. Qui attraverso un’attenta cura del proprio profilo, uno username con qualche richiamo alla morte o alla propria band preferita, e un selfie allo specchio (perché sì gli emo hanno anticipato il trend), la comunità emo si è evoluta e diffusa in tutto il mondo. Ma non solo, all’interno di questa si andavano ad instaurare delle gerarchie, nascevano le prime web celebrity che grazie appunto a Myspace - Netlog in alcuni casi, soprattutto in Italia - e YouTube, diventavano dei veri e propri punti di riferimento e fonte di ispirazione per tanti altri ragazzi: una sorta di influencer 0.1.

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I social network sono stati lo strumento più adatto per riunire questa comunità. Dal temperamento sensibile e introverso, i ragazzi emo vivevano un rapporto conflittuale con la propria adolescenza e con la società. Facevano fatica a sentirsi parte di qualcosa, se non della propria musica. Grazie ai nuovi strumenti digitali era però possibile entrare in contatto con altri ragazzi con gli stessi gusti e con le stesse problematiche. Se nel tuo quartiere non c’era nessuno in grado di capirti e accettarti per quello che eri, avevi la possibilità di cercare altrove qualcuno di più simile a te. Uno degli aspetti più interessanti dell’essere emo è senza dubbio il rifiuto di ogni etichetta: è per questo motivo che negli anni nacquero delle sotto correnti come quella della Scene Queen, dei Brutallari, delle Gothic Lolita ecc…, quasi per sfuggire ad una semplicistica categorizzazione dell’emo.

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Essere emo voleva dire in parte essere in grado di abbracciare più culture e più generi musicali. L’abbattimento di ogni tabù relativo al sesso, e una passione per la ricerca musicale a prescindere dal genere, caratterizzavano gran parte dei giovani emo. L’essere stato emo durante l’adolescenza ha probabilmente influenzato il processo di crescita di ogni 25enne di oggi. La scelta tra essere emo o truzzo ha determinato in un certo senso i gusti e gli atteggiamenti maturati in seguito.Come tutte le cose belle della vita però anche l’adolescenza è finita, e con sé ha portato via anche la parentesi emo. Complice della fine della subcultura è stata probabilmente anche un’eccessiva attenzione da parte dell’opinione pubblica, una perdita di esclusività e la facilità con la quale chiunque iniziava a poter diventare emo. 

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Ma quindi gli emo non esistono più? Non è del tutto vero

Se le storiche band definite emo - come i My Chemical Romance, i Fall Out Boy e i Panic! at the Disco- si sono evolute avvicinandosi molto spesso al mondo del pop, l’emo ha iniziato a contaminare in tempi più recenti nuovi generi musicali. Tra i SoundCloud rapper si è andato a diffondere un nuovo genere, l’emo rap, che in relativamente poco tempo, grazie ad artisti come Lil Peep e XXXTentacion, ha ottenuto l’attenzione di molti. I beat che combinano le sonorità trap a quelle pop punk, e i testi in cui si fa riferimento esplicito a tristezza, depressione e solitudine, sono il mix che caratterizza il nuovo genere musicale. 

La vera domanda è se in realtà anche in tempi in cui non si parlava più di emo, alcuni artisti stessero ugualmente facendo emo music. Basti pensare al primo A$AP Rocky - quello con i beat di Clams Casino-, al Travis Scott di Owl Pharaoh, a The Weeknd, e all’intera discografia di Kid Cudi. Se emo significa solo portare un trucco pesante su gli occhi, avere un lungo ciuffo che copre il viso e vestire in un determinato modo, forse no, questi artisti non possono essere considerati emo. Ma se con emo si fa riferimento ad un modo di vedere e sentire il mondo e la vita, ad una sensibilità differente nei confronti delle emozioni, il numero degli emo nel mondo potrebbe aumentare: e forse sì, siamo tutti un po’ emo.