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Che cos'è la poor opulence? Quando i ricchi si vestono da poveri

I designer del fashion system durante l’ultimo ciclo di sfilate ci stanno inviando un messaggio chiaro: abbandonare le caotiche metropoli e tornare a ripopolare le campagne. In controtendenza alla rigida e serrata tabella di marcia imposta dai CEO, alcuni stilisti raccontano un desiderio collettivo di disconnettersi dalla confusione tecno-urbana per tornare alla sana lentezza del tempo della vita contadina. In primo luogo, il ritorno di questa fascinazione per l’estetica contadina non è altro che l’ennesimo sintomo del conservatorismo che attraversa la nostra società e quindi inevitabilmente anche il costume. I look ispirati all’abbigliamento tradizionale da campagna che hanno dominato le passerelle durante le ultime Fashion Week sarebbero in un certo senso specchio delle politiche rurali e delle narrazioni nostalgiche promosse dai principali governi internazionali. Dall’altra parte, però, questa riscoperta dell’immaginario agreste potrebbe far bene al sistema moda, qualora portasse a una maggiore consapevolezza riguardo la produzione e attenzione per l'artigianato, parte del patrimonio culturale delle realtà locali. Alla luce dell’instabilità dei tempi che corrono e della nevroticità con cui cambiano le tendenze, è molto probabile che la moda perda l’occasione di costruire una critica culturale e politica trasformandola in un ennesimo caso di glamourizzazione della povertà 

Si potrebbe sintetizzare questa tendenza nell’espressione poor opulence, in riferimento a un tipo di stile che nei tessuti e nella scelta cromatica si ispira all’immaginario povero agreste del passato, ma che viene reinterpretato e spesso romanticizzato dalla moda di lusso - un bell'ossimoro politicamente scorretto, insomma.  Simon Porte Jacquemus, per esempio, nella SS26 ha raccontato la sua infanzia trascorsa nella provenza francese. La sfilata, non a caso intitolata Le Paysan, era una dedica alla campagna e alle sue tradizioni: non sono mancati in passerella gonne-fazzoletto, tuniche in lino portate con berretti gavroche, addirittura clutch a forma di ortaggi e abiti all'uncinetto. Anche se come dichiara il designer francese «puoi togliere il ragazzo dalla campagna, ma non la campagna dal ragazzo», Jacquemus è lontano chilometri dalla vita spensierata, ma allo stesso tempo faticosa, degli agricoltori francesi: la fattoria fiabesca della maison è ambientata nella fastosa Versailles, completamente svincolata dalla realtà storica e materiale.

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The Row Resort 2026
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The Row Resort 2026
Che cos'è la poor opulence? Quando i ricchi si vestono da poveri | Image 574485
The Row Resort 2026
Che cos'è la poor opulence? Quando i ricchi si vestono da poveri | Image 574484
Loro Piana SS25
Che cos'è la poor opulence? Quando i ricchi si vestono da poveri | Image 574483
Loro Piana SS25
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Setchu SS26
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Setchu SS26
Che cos'è la poor opulence? Quando i ricchi si vestono da poveri | Image 574476
Setchu SS26

Alcuni dei principali esponenti dell'estetica contadina sono paradossalmente brand del quiet luxury. Non c’è da meravigliarsi se marchi come The Row e Loro Piana (alcune tra le firme più costose al mondo, oltretutto) si stiano lasciando alle spalle il minimalismo urbano per convertirsi a quello agreste. Questa strategia fa acqua da tutte le parti: le maison che hanno costruito la loro reputazione sull’eccellenza manifatturiera e sull’idea di un lusso essenziale e duraturo sono state spesso accusate di sfruttamento delle comunità artigiane locali con cui collaborano. Da un certo punto di vista, in virtù delle numerose connessioni materiche e cromatiche tra i due trend, potremmo definire la poor opulence come l’ultima figlia del quiet luxury. The Row, per la collezione Resort 2026, ha proposto gonne con grembiuli di pelle, abiti-sacco di lana vergine e tipici fazzoletti di cotone usati dai contadini per legare i capelli. Anche da Loro Piana troviamo una variante invernale in cashmere di questa specie di bandana abbinata a cardigan ricamati e babbucce di camoscio - una versione luxury dell’uniforme contadina del nord Italia come quella raccontata, in modo decisamente più autentico, da Maura Delpero in Vermiglio. Siamo di fronte al paradosso del lusso etnografico: questi brand elevano l’immaginario rurale a ideale estetico, ma spesso dimenticano di riconoscere, anche economicamente, la dignità delle comunità artigiane da cui attingono.

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Officine Générale SS26
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Officine Générale SS26
Che cos'è la poor opulence? Quando i ricchi si vestono da poveri | Image 574480
Officine Générale SS26
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Lemaire SS26
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Dolce&Gabbana SS26
Che cos'è la poor opulence? Quando i ricchi si vestono da poveri | Image 574474
Hermès SS26

Tornando per un attimo agli esempi, anche brand di nicchia del minimalismo contemporaneo come Lemaire e Officine Générale nelle loro ultime collezioni estive hanno sposato questa estetica: nel primo caso, troviamo dei tablier paysan, ovvero delle gonne-grembiule realizzate con tessuti tutt’altro che grezzi, mentre nel secondo Pierre Mahéo contamina lo chic parigino con turbanti o scialle legati alla testa proprio come quelli indossati dalla classe operaia e contadina francese nel XIX secolo. Questi brand, in sintesi, si fanno portatori di un’estetica che se da un lato è ispirata ad un’immagine umile del contadino e della vita rurale come quella rappresentata nell’arte dai pittori realisti, dall’altro racconta una povertà che di “povero” in senso letterale non ha nulla. Alcuni designer declinano la fascinazione contadina attraverso tecniche e scelte tessili: Setchu, per esempio, ha realizzato gonne che sembrano sacchi di juta con frange di paglia mentre nelle collezioni uomo di Dolce&Gabbana e di Hermès ci sono canotte e cardigan traforati che ricordano l’impagliatura di sedie e cestini tipiche della cultura contadina italiana meridionale

Che cos'è la poor opulence? Quando i ricchi si vestono da poveri | Image 574491
Giorgio Armani SS26
Che cos'è la poor opulence? Quando i ricchi si vestono da poveri | Image 574473
Prada Men SS26
Che cos'è la poor opulence? Quando i ricchi si vestono da poveri | Image 574472
Prada Men SS26

La poor opulence ha conquistato anche le collezioni uomo di Prada e di Giorgio Armani, che hanno fatto sfilare le loro versioni di cappelli da contadino guardando oltre i confini del mondo occidentale al fine di conquistare mercati orientali. Miuccia Prada e Raf Simons propongono nella SS26 un cappello di paglia intrecciato a metà tra un trullo pugliese e un tradizionale dǒu li, un copricapo dalla forma conica usato dai contadini cinesi; nel secondo caso, Armani ha riprodotto la tipica paglietta importata dalle culture rurali egiziane e greche, accessorio indossato dai nobili europei. Ciò che emerge in ultima analisi è che, dietro la patina dell’omaggio creativo e della romanticizzazione di un'estetica semplice, elegante poichè legata a valori imprescindibili come la qualità e la capacità manuale, la cura e l'attenzione, i brand capitalizzano su comunità che non condividono nulla con il mondo del lusso. Più che poor opulence, forse, sarebbe corretto parlare di out-of-touch opulence