
What do you mean Meta, X and LinkedIn have sued Italy? Yet another clash between a state institution and big tech companies
Di recente, come riportato in esclusiva dall’agenzia di stampa britannica Reuters, Meta, X e LinkedIn hanno fatto ricorso contro una richiesta dell’Agenzia delle Entrate italiana, che chiede alle tre aziende tecnologiche il pagamento delle tasse per certi servizi offerti ai propri utenti. Le cifre richieste sono molto alte: oltre 887 milioni di euro a Meta, circa 140 milioni a LinkedIn e più di 12 milioni a X. Il punto centrale della vicenda non è solo l’importo elevato, ma soprattutto il principio fiscale alla base della richiesta avanzata dall’Italia. Secondo l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, l’accesso gratuito alle piattaforme non sarebbe realmente “gratuito”. Quando un utente si iscrive a questi servizi, infatti, fornisce i propri dati personali, che di fatto hanno un valore economico per le aziende. Questo, secondo il fisco italiano, equivale a una forma di pagamento e dovrebbe quindi essere soggetto all’IVA, anche se non c’è uno scambio di denaro vero e proprio. È una presa di posizione del tutto nuova, che per certi versi va oltre il caso specifico delle tre società.
ITALY
— Global Threads (@globalthreadsx) March 27, 2025
Italy Demands VAT From Meta, X, LinkedIn Over User Data
Meta (€887M), X (€12.5M), LinkedIn (€140M) hit with VAT bills.
Italy says user data = taxable service; firms have 60 days to appeal.
Case could reshape EU-wide digital tax model if adopted by…
Se i giudici dovessero dare ragione all’Italia, infatti, le conseguenze potrebbero avere ricadute anche su molte altre aziende – non solo quelle tecnologiche, ma per esempio anche editori o portali di shopping online, tra i molti, che offrono servizi o contenuti in cambio dell’accettazione dei cookie e dell’uso dei dati personali degli utenti. Proprio perché il caso potrebbe avere ripercussioni enormi, l’Italia ha intenzione di chiedere un parere – non vincolante – alla Commissione Europea: se dovesse esprimersi contro questa interpretazione, l’Agenzia delle Entrate italiana potrebbe decidere di ritirare la richiesta e chiudere il procedimento. Nel frattempo, Meta, X e LinkedIn, non avendo trovato un accordo entro i termini previsti, hanno deciso di rivolgersi a un tribunale. È la prima volta che un caso del genere in Italia arriva in aula, e non si chiude con una trattativa. Il processo potrebbe durare molti anni, ma il suo esito potrebbe avere conseguenze importanti per il futuro della tassazione digitale in Europa.
@humphreytalks Why Apple, Google, and other tech companies have their HQ in Ireland… #ireland #explained #apple #google original sound - Humphrey Yang
La controversia in questione rappresenta solo uno dei tanti fronti aperti in merito all’operato delle grandi aziende tecnologiche. Negli ultimi anni è cambiato molto il modo in cui le persone stanno sui social media. Sempre più utenti si sono allontanati dall’idea di utilizzare questi spazi per condividere pareri, esperienze e momenti personali, spostandosi verso una fruizione più passiva del feed – senza più quel tipo di interazione spontanea che caratterizzava i primi anni dei social network. Questo fenomeno è in parte legato alla crescente importanza acquisita dai content creator. Ma è anche vero che molti utenti provano una sorta di digital-fatigue – vale a dire una sensazione di disagio nel continuare a esporre la propria vita in pubblico. In questo contesto, i feed delle piattaforme – da luoghi dove restare in contatto con amici e familiari – sono diventati “vetrine” per i brand, gli influencer e gli inserzionisti pubblicitari, dove a contenuti sponsorizzati si mescolano post di ogni tipo. A questo si è aggiunta una crescente preoccupazione per il modo in cui le grandi aziende tecnologiche usano i dati personali degli utenti. Inoltre, è ormai noto che i post, le foto e le informazioni condivise dagli iscritti ai singoli social network vengono spesso utilizzati per allenare i rispettivi sistemi di intelligenza artificiale, senza che la maggior parte delle persone sappia esattamente come questi dati vengano trattati.
Tutto ciò ultimamente ha generato molte polemiche, soprattutto perché le regole sulla privacy sono spesso poco chiare o cambiano di frequente. Tra tutte le grandi piattaforme, Meta ha la fama di essere quella meno attenta alla privacy degli utenti. Lo scandalo di Cambridge Analytica – in questo senso – ha segnato “un prima e un dopo”. Storicamente, secondo molti osservatori, Meta ha sempre dato priorità ai propri interessi economici, utilizzando i dati personali per proporre pubblicità mirate e aumentare i ricavi, piuttosto che tutelare realmente la privacy delle persone. Lo stesso Zuckerberg ha spesso mantenuto un approccio ambiguo e contraddittorio sul tema della riservatezza: il fondatore di Facebook ha più volte promesso maggiore trasparenza, ma sembra continuare a privilegiare i profitti alla protezione dei dati personali. Tutto ciò ha portato a un clima di crescente sfiducia da parte degli utenti, da un lato, e delle istituzioni, dall’altro: in sostanza, le piattaforme tecnologiche, nonostante il numero ancora elevato di iscritti, sono sempre più malviste, e difficilmente – almeno nel breve-medio termine – riusciranno a riguadagnare la fiducia degli utenti e della politica.












































