
L'estetica del macabro negli interior di "Frankenstein" Il nuovo film di Guillermo del Toro è uno studio su opulenza ed emotività nell'architettura
Il Frankenstein di Guillermo del Toro non è solo l'ennesima rilettura del mito di Mary Shelley, ma un vero e proprio manifesto visivo dove l'architettura smette di essere sfondo e diventa linguaggio. La produzione ha costruito un universo sartoriale, cucendo insieme l'opulenza storica del Regno Unito con l'immensità desolata del Nord America, creando un mood che è al contempo claustrofobico e sublime, intimo e monumentale.
La Torre neogotica
Can we talk about the similarities in location of the tower in Frankenstein and the mansion in Crimson Peak? Both huge, decadent but partially decaying gothic buildings located in the middle of a desolate plain that feels like it’s on the edge of the earth pic.twitter.com/RUi2JnLQlG
— S (@roomtonez) November 14, 2025
Il fulcro narrativo e visivo è ovviamente la Torre di Frankenstein, il luogo della creazione e della rovina. La sua estetica è un mash-up geniale: la base, imponente e tangibile, è stata costruita su un set di oltre 5mila metri quadrati nel parco fieristico di Markham, vicino a Toronto. Ma è nella cima che si manifesta la sua hybris: il profilo neogotico è direttamente ispirato al National Wallace Monument di Stirling, in Scozia. Una scelta che non è solo citazione, ma una dichiarazione d'intenti: l'isolamento megalomane dello scienziato è impresso nel DNA stesso della struttura, un faro gotico che taglia l'orizzonte come un grido.
Lo spazio come lusso
Gli interni della Torre, ricostruiti negli studi di Toronto in otto diversi set, sono una vera opera d'arte. Dimenticate il laboratorio disordinato, qui si parla di dark science couture: scale a chiocciola vertiginose, sale per esperimenti dominate da un'ossessiva ricerca dell'ordine scientifico, tutto pensato per suggerire che il vero lusso di Victor non è la ricchezza economica, ma avere il giusto spazio per la sua più grande ossessione.
Le case prodigio in Frankestein
A fare da contraltare al caos controllato della torre ci sono le dimore dell'élite, l'ambiente che Victor abbandona pur non riuscendo mai a scrollarselo di dosso. La produzione ha attinto al meglio dell'architettura storica: la casa e galleria d'arte inglese Burghley House, che con le sue pareti in legno e gli arazzi saturi diventa l'abitazione di Heinrich Harlander (Christoph Waltz) e una combinazione della Gosford House in Scozia e la Wilton House in Inghilterra per Victor.
Questa curatissima miscela regala interni di una bellezza fredda e inquietante, caratterizzati da pavimenti in legno scuro, pareti dipinte con tonalità profonde di verde smeraldo e dettagli in marmo. È l'estetica della ricchezza decadente, dove l'eleganza è così perfetta da risultare soffocante. L'opulenza si estende anche a Dunecht House ad Aberdeen, un’altra sontuosa residenza scozzese che con i suoi vasti giardini e l'architettura classica rafforza il tono drammatico e raffinato della pellicola. Sempre in Scozia, ad Arbroath, la storica Hospitalfield House ha fornito l'aura ottocentesca, imponente e malinconica, perfetta per le sequenze più cupe.
Edimburgo, Glasgow e Londra
Ma il Regno Unito ha offerto anche la sua anima urbana più torbida e gotica. Edimburgo ha messo a disposizione i suoi vicoli e le sue vie antiche, in particolare la suggestiva Royal Mile. Luoghi come Bakehouse Close, con i suoi ciottoli e passaggi stretti, o l'isolato Lady Stair’s Close, hanno donato al film quel tono misterioso e senza tempo, ideale per le scene di inseguimento o di introspezione.
Spostandosi a Glasgow, la maestosa Cattedrale medievale della città è stata sfruttata per le sue navate altissime e lo stile gotico, regalando al film un'impronta solenne e potente, un luogo sacro che fa da muto testimone a un atto blasfemo. Persino Londra, la grande capitale britannica, è stata ricreata non solo con riprese esterne, ma anche attraverso l'uso ingegnoso di miniature e modelli in scala per edifici monumentali e panorami complessi, una tecnica old-school che garantisce un impatto visivo quasi pittorico in scene altrimenti irrealizzabili.
Il freddo canadese come metafora
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Infine, l'elemento più cruciale per definire l'emotività della Creatura: la natura selvaggia. Le scene ambientate nei paesaggi inospitali, siano esse sequenze artiche o fughe disperate, sono state catturate nella maestosità di Glencoe (Scozia), con i suoi panorami drammatici e nebbiosi, e nelle sequenze nevose della Fortress Mountain (Alberta, Canada). Per ricreare al meglio l’ambiente glaciale, la produzione si è spinta fino a North Bay, Ontario, dove il clima rigido ha fornito lo scenario ideale per le sequenze artiche e desolate in cui si muovono i protagonisti.
Nel Frankestein di del Toro, gli esterni non sono semplici sfondi, ma lo specchio dell'anima tormentata e non civilizzata della Creatura. La tensione visiva del film risiede proprio in questo clash estetico: l'opulenza gotico-vittoriana contro l'immensità primordiale, la civiltà che crea il mostro e la natura che lo accoglie.


























































