
Come sono stati i David di Donatello 2025
Una serata lunga, lunghissima – che ha riservato qualche gioia
08 Maggio 2025
Quando diciamo che i David di Donatello dovrebbero rubare agli Oscar non intendiamo tenerci ostaggi fino alle due del mattino. È da qualche anno che l’Accademia del Cinema Italiano - e non Academy, come sottolineato dalla direttrice artistica Piera Detassis - cerca di proporre una cerimonia glamour, frizzante e patinata. Peccato che spesso il risultato porti a sale che si svuotano a metà serata e una durata che il pubblico a casa non riesce più a tollerare nemmeno quando si tratta del festival di Sanremo, figurarsi per i premi del cinema italiano (con il 13% di share stando ai dati Auditel, contro il 17.3% del 2024). Come biasimarlo visto il ritmo e l’offerta intrattenitiva dell’edizione numero 70, che si è giocata Timothée Chalamet una manciata di minuti poco dopo l’inizio della serata così da poter salutare, ringraziare, citare l’immancabile Francesco Totti e andarsene, non dando magari altro particolare motivo agli spettatori sul divano di rimanere sintonizzati. Chissà quanto l’avrà invidiato Sean Baker, invitato a ritirare il premio per il miglior film internazionale per Anora, a cui invece è toccato scavallare la mezzanotte (e oltre) per ritirare il riconoscimento, citando e emozionandosi per il Premio Speciale a Ornella Muti, sua conoscenza, che non era nemmeno presente alla serata.
Ma partiamo dal principio e dal perché questa edizione 2025 scricchiolava già un po’ dall’inizio. Diciamo che quest’anno si partiva sbilanciati con guerre, genocidi e posti di lavoro assenti nel settore del cinema italiano che andavano a stridere non poco con la maschera da festa forzata che i David di Donatello hanno dovuto mettere - in fondo ce lo insegna Joker, anche nel brutto sequel Folie à Deux: ognuno deve interpretare il proprio ruolo. Almeno alcuni dei vincitori hanno preso apertamente posizione sul palco, con i social ufficiali che non hanno ancora censurato i discorsi come quello di Elio Germano durante il premio per il migliore attore per La grande ambizione in cui cita apertamente il conflitto tra Israele e Palestina, cosa che sappiamo essere ormai non scontata da parte di realtà destinate al servizio pubblico. Un gesto che risuona del ricordo di quanto fatto da Libero De Rienzo nel 2002 nella stessa occasione, mentre ritirava il premio per la performance in Santa Maradona, con altri colleghi che in questo 2025 hanno sfilato sul tappeto rosso con spillette (il compositore Giorgio Giampà) e orecchini (l’attrice Jasmine Trinca) a sostegno della Palestina. Ma come è possibile che un secondo dopo tutto sembri così irreale quando ad un tratto compare la coppia più inattesa della serata.
Elio Germano: "La nostra Costituzione parla di parità di dignità. Un povero deve avere la stessa dignità di un ricco [...] e un palestinese la stessa dignità di un israeliano" Applausi #David70 pic.twitter.com/b2n9Riqb22
— Il Grande Flagello (@grande_flagello) May 7, 2025
Chalamet infatti decide che è arrivato il momento di fare il primo red carpet ufficiale con la sua metà Kylie Jenner, scegliendo Cinecittà come sfondo e vedendo a un certo punto la diva delle Kardashian dirigersi completamente sola verso le rovine romane di film come Quo Vadis? e Ben-Hur dove ad attendere gli ospiti c’è il cocktail pre-show a cui, ovviamente, non hanno partecipato. Ed è grazie alle telecamere Rai che potremmo ricordarli per sempre così: l’attore lanciato da Luca Guadagnino - che ci tiene a sottolinearne l’assenza in sala, per una volta più o meno giustificata visto che Queer potrà essere candidato solo il prossimo anno - al fianco della compagna Jenner insieme a Valeria Golino, Jasmine Trinca, il papà dell’attore e la traduttrice/interprete Bruna Cammarano a sussurrargli nell’orecchio come i consiglieri accorti. Anche se quando ha conquistato i riflettori il divo ha voluto sfoggiare la sua conoscenza della lingua italiana, facendoci sperare che la prossima volta che si troverà nel Bel paese non dovrà necessariamente limitarsi a ripetere solo “Forza Roma” - vero momento di spettacolo che (non) ci meritavamo, ma chissà se ci hanno pensato? Se a consegnargli il premio fosse stato proprio l’ex numero 10 Totti.
@nssmagazine Timothée Chalamet saying “Forza Roma” on the David di Donatello red carpet #daviddidonatello #roma #forzaroma #timotheechalametedit #timotheechalamet #timothéechalamet #redcarpet #david70 #fashiontiktok #TikTokFashion suono originale - nss magazine
Chiuso il capitolo Timothée Chalamet la serata è lunga, molto lunga, e i conduttori Mika e Elena Sofia Ricci non la rendono facile. Promettenti sulla carta e una boccata d’aria fresca dopo le versioni standardizzate di Carlo Conti, sarà stata per l’emozione o per effettiva inesperienza, ma il duo si interrompe, si impappina, cerca in maniera spaesata il gobbo e a più di metà serata mette il turbo perché siamo già a mezzanotte e mancano ancora quindici categorie da premiare. E tu immagina essere quella dei casting director di cui si è tanto parlato. Di aver lottato per essere riconosciuta, di aver festeggiato quando è stata finalmente accettata la richiesta di inserimento nella rosa delle nomination e poi vederti premiata all’una e dieci minuti di notte. Una contraddizione, un po’ come Riccardo Cocciante e l’imprevisto di Era già tutto previsto (col terrore di finire in un loop infinito come con Creuza de mä a Sanremo) - con tanto di zero premi a Parthenope di Paolo “Assente” Sorrentino. O il primo premio alla regia per una donna, Maura Delpero per Vermiglio - che si aggiudica anche miglior film - e un secondo dopo il riconoscimento al migliore autore della fotografia, come se le autrici non esistessero. Ma perché non aboliamo la dicitura e lasciamo solo miglior fotografia? Vero, alla fine anche qui ancora solo una donna lo ha mai vinto, ma considerando che è stato istituito nel 1981 e per le donne raggiungerlo alla regia ci sono voluti settant’anni meglio iniziare o preparaci, o no? È come ha detto (tra le varie cose belle e giuste) Margherita Vicario, che torna a casa con tre David di Donatello per il suo esordio Gloria!: “Femminismo? Non fatene una questione ideologica, ma statistica, così stiamo tutti più sereni”. O il fatto che il più diretto e duro sulla questione piccole produzioni e tax credit sia stato il più anziano ad essere premiato col David Speciale, ovvero Pupi Avati, i cui ultimi film non se la sono cavata effettivamente bene e ha visto quindi un progressivo ridimensionamento del suo budget, ma che almeno porta avanti una battaglia che da più di un anno attanaglia l’industria cinematografica e le sue prossime uscite.
Ma la più grande incongruenza di tutte è forse il posizionamento de L’arte della gioia, serie per cui Esterno Notte di Marco Bellocchio ha imparato a camminare così che lo show di Valeria Golino per Sky potesse correre. Produzione Sky, sei puntate, passaggio in anteprima a Cannes e uscita mirata nelle sale cinematografiche in due parti. L’inclusione dell’incontenibile fame d’amore della Modesta descritta da Goliarda Sapienza per il libro omonimo diventato adattamento audiovisivo apre alla questione più settoriale di tutte: non sarà forse il caso di decretare un premio ad hoc per le serie tv? Certo, già non sappiamo tenere completamente in piedi una cerimonia all’anno come i David di Donatello, forse non siamo pronti ai nostri Emmy o Golden Globe. Magari si potrebbe pensare a una rivisitazione del Telegatto, ripulita e mirata, in cui (e qui ci raccomandiamo) far sentire tutta l’importanza autoriale che anche le serie hanno. Perché sennò si rischia che gli sceneggiatori, per vendicarsi, comincino ad allungare ancora di più i propri film arrivando alle quattro e più ore, per poter “esplorare meglio i personaggi” e non dover competere con il tempo a disposizione di una storia a puntate. E sarà divertente capire come vorranno muoversi il prossimo anno con M - Il figlio del secolo, la cosa più bella fatta in Italia negli ultimi anni eppure senza distribuzione cinematografica, a parte la première alla Mostra del Cinema di Venezia (non valida per essere eleggibile) e una sola proiezione con ospiti a Roma al Cinema Troisi.
Vince il #David70 come Miglior Attrice Protagonista Tecla Insolia per L’Arte della Gioia. pic.twitter.com/esTiyr8O4d
— Rebelle Vague (@rebellevague) May 7, 2025
Alla fine, meritatamente sebbene dissonante, L’arte della gioia si porta a casa tre premi tra cui miglior sceneggiatura (appunto!), miglior attrice non protagonista a Valeria Bruni Tedeschi e miglior protagonista alla ventunenne Tecla Insolia. Una dei pochi, in un’edizione che era stata annunciata dall’impronta giovanile, ad aver portato davvero in alto la bandiera. Anche perché tra l’altro dei David Rivelazioni, non essendoci tempo, hanno fatto parlare solo Emiliano Palumbo dei sei vincitori. Per Insolia è la prima vittoria su due candidature - un record, visto che l’altra era questo stesso anno per Familia - che, se si è prestata attenzione alla voce fuori campo, promettere solo che un futuro radioso all’attrice: c’è infatti chi è ormai alla decima, dodicesima, quindicesima nomination e alla quinta o sesta vittoria, anche tra gli interpreti (la collega Bruni Tedeschi è tra questi). Alla faccia di Meryl Streep. Giusto per non far notare che, tra le varie cose che ci distinguono del cinema italiano, c’è una pigrizia anche nello scegliere chi lodare. E non è nemmeno tanto la questione che a lavorare sono sempre gli stessi, quanto che per i premiati si va sul sicuro - anche se sarebbe interessante sapere cosa ne pensano le persone che, fuori Cinecittà, stavano protestando proprio perché ora sono pochissimi coloro sui set a poter girare. Chissà se dopo i provvedimenti degli Oscar, tra cui l’obbligo dei votanti dalle prossime edizioni di vedere tutti i film candidati, qualcosa cambierà anche qui. Perché va bene il glamour, ma cerchiamo di prendere anche l’utile.