
Quella volta che i Nirvana arrivarono in Italia
Raccontato nel documentario Rome As You Are
05 Aprile 2025
La storia dei Nirvana in Italia copre l’intera parabola della band, dagli esordi di Bleach nel 1989 al cosiddetto tour dei palazzetti di In Utero nel 1994. Nel mezzo, la rivoluzione di Nevermind (1991), il disco che ha cambiato tutto non solo per la band di Kurt Cobain ma per l’intera scena legata alla musica alternative, quando ancora l’etichetta non era stata sdoganata e gli si preferiva il termine underground. La storia dei Nirvana in Italia non sarebbe nemmeno esistita - o molto probabilmente sarebbe stata molto diversa - se non fosse stato per Daniela Giombini, autrice - insieme a Tino Franco & Marco Porsia - del recente documentario Rome As You Are che racconta le prime tappe romane della band.
Improvvisatasi tour manager e booking agent a metà anni ’80, Giombini aveva iniziato a muoversi nel panorama della musica live italiana dei piccoli club, promuovendo band che appartenevano appunto alla cosiddetta scena underground di Seattle e all’etichetta discografica Sub Pop, che ben presto sarebbe stata raccolta sotto la definizione di Grunge. All’inizio dell’89, Giombini accettò la proposta di portare in Italia i Nirvana: la band non aveva ancora pubblicato il suo primo disco e l’unica cosa che era uscita era il singolo Love Buzz/Big Cheese, edito in appena mille copie e quindi quasi introvabile in Italia. Fu in pratica un atto di fede. La consacrazione dei primi Nirvana da parte della nicchia della chiesa underground italiana arrivò soltanto dopo l’estate, con la storica recensione di Bleach su Rockerilla a firma di Claudio Sorge - quasi una poesia in prosa, mandata a memoria da tutti gli adepti per via del suo forte slancio emotivo di cui riportiamo una piccola parte:
La visione dei Nirvana è crudelmente spartana, spietata, analitica. È puro art-metal, scomposizione e ricomposizione geometrica di riff in acciaio temperato; materiale mai visto in giro, metalli sconosciuti tenuti assieme da collanti ritmici a presa ultrarapida. E i carpentieri che lavorano a queste nuove costruzioni sono individui nervosi e geniali. Bleach è il manifesto dell’hard rock moderno che apre ufficialmente gli anni 90. Inchinatevi
Furono probabilmente queste parole ad attirare gli sparuti paganti dei loro primi due concerti italiani, oltre al fatto cha ai Nirvana erano stati accoppiati anche i Tad, altra band di Seattle, più ruvida e all’epoca persino più famosa e rodata.
Il primo tour dei Nirvana in Italia - 1989
Quando i due gruppi arrivarono per la prima volta in Italia, nel novembre del 1989, le cose non andarono esattamente benissimo. Si trattava del loro primo tour europeo, messo in piedi con i pochi mezzi a disposizione e la richiesta implicita di una resistenza psicofisica molto elevata: era probabilmente troppo per dei ventenni sprovveduti e squattrinati, stipati in nove dentro un Fiat ducato. Fermati alla dogana di Chiasso, complice anche la fitta nebbia padana, arrivarono tardissimo al locale designato. La loro prima tappa italiana, prevista allo storico Bloom di Mezzago fu a suo modo un epico disastro. Come ricorda Giombini, «avrebbero dovuto fare il soundcheck alle cinque del pomeriggio, ma alle otto di sera non erano ancora arrivati». Qualcuno del Bloom li andò anche a cercare in macchina, ma senza fortuna. Alla fine, arrivarono e suonarono direttamente. Peccato che il cantante dei Tad, Tad Doyle, dopo sole tre canzoni dovette abbandonare il palco a causa di un’otite perforante che lo spedì al pronto soccorso. Al suo posto salì al volo Kurt Cobain, che improvvisò le parole delle canzoni - almeno a detta di alcuni testimoni oculari. Ecco, quanti fossero esattamente gli spettatori quella sera è una cosa che rimarrà avvolta nel mistero insieme alla nebbia, c’è chi dice un centinaio, chi duecento, chi trecento, sicuramente pochi, ma se avete avuto modo di frequentare un po’ l’ambiente vi sarà capitato di conoscere almeno un migliaio di persone che sostengono di essere state al primo concerto dei Nirvana in Italia. A detta di quei pochi spettatori reali, comunque, il set dei Nirvana fu qualcosa di devastante.
La seconda tappa, il giorno dopo al Piper di Roma, fu persino più surreale. Cobain, in evidente stato di crisi di nervi, sfasciò la chitarra, tirandosi dietro anche l’asta del microfono, poi salì sulle casse e non si capiva se voleva buttarsi di sotto, frantumare la palla stroboscopica che pende dal soffitto o fare entrambe le cose; fatto sta che alla fine lo tirarono giù prima che potesse danneggiare sé stesso o il locale. Ad alcuni sembrò una messinscena, la classica pantomima stereotipata del rock, ma in realtà erano i primi segnali di cedimento del gruppo. «Guardando il pubblico vedevo solo le facce dei ragazzi che mi picchiavano a scuola» spiegò il cantante in seguito . Resterà un evento di cui si vergognò, tanto da chiedere al giornalista Michael Azerrad di toglierlo dal suo libro, Come As You Are: The Story of Nirvana, come raccontato dallo stesso autore al New Yorker. Fortunatamente, il giorno dopo Cobain e compagni ebbero un giorno di pausa da trascorrere in giro per Roma, che in qualche modo li riconciliò con il mondo esterno anche per merito dei fondatori della Sup Pop – Bruce Pavitt e Jonathan Poneman - volati apposta a Roma per assistere i loro protetti. Pavitt, autore di alcune delle foto più iconiche dei Nirvana in Italia, ha raccontato più volte come quella giornata di visita in giro per le bellezze di Roma abbia salvato e «letteralmente» respirare di nuovo Cobain.
Il tour di Nevermind – 1991
Due anni dopo, i Nirvana tornarono in Italia con il tour di Nevermind per quattro date, di cui la prima nella sperduta località di Muggia, al confine con la Slovenia, soltanto perché il bassista Krist Novoselic voleva suonare il più vicino possibile al suo popolo di origine, impegnato da qualche mese nella sanguinosa Guerra dei Balcani. Da lì tornarono al Bloom di Mezzago, dove però stavolta ad attenderli c’erano davvero migliaia di persone, rimaste in gran parte fuori dal locale. Nessuno, infatti, si sarebbe potuto aspettare un successo così strepitoso come quello che ebbe Nevermind nel ‘91, ragion per cui tutte le location, che erano state prenotate con largo anticipo, si rivelarono totalmente inadeguate a ospitare un pubblico così numeroso. A ogni concerto ci furono scene analoghe di persone rimaste fuori che battevano i pugni sulle porte sperando di riuscire a entrare lo stesso. Le più arrabbiate a Torino, dove il concerto fu purtroppo annullato a causa – si dice – di uno sciopero dei benzinai italiani (in realtà pare ci siano stati problemi tra promoter). A Roma, invece, gli organizzatori hanno raccontato di aver dovuto rubare le transenne dalla strada per riuscire a mettere il palco in sicurezza dalla calca del pubblico. Quella della capitale era stata scelta come tappa principale, con tanto di diretta sulle frequenze di Radio Rai e di riprese tv da parte di Videomusic (la nostra Mtv prima di Mtv). Il fenomeno Nirvana ormai era esploso. Purtroppo non solo in senso positivo.
L’ultimo tour nei palazzetti – 1994
La riprova fu il famoso tour dei palazzetti che nel febbraio del 1994 vide i Nirvana esibirsi al Palasport di Modena, al Palaghiaccio di Roma e al Palatrussardi di Milano con una doppia data di chiusura. Stavolta i locali scelti erano decisamente più grandi e adeguati ad accogliere un fenomeno di massa. Chi non era più pronto ad accogliere i Nirvana probabilmente era lo stesso Cobain. Il successo aveva cambiato tutto. Nel podcast Ho conosciuto Kurt Cobain – la storia dei Nirvana in Italia – si racconta che la prima volta che vennero in Italia i Nirvana avevano l’aspetto di ragazzi qualsiasi, magari un po’ trasandati, ma in sostanza «sembravano ragazzi come noi, solo con le chitarre». Al Boom si fermarono addirittura ad aiutare i camerieri a mettere le sedie sui tavoli per agevolare il lavoro delle donne delle pulizie che sarebbero arrivate l’indomani. Nel ’94, invece, erano le rockstar più famose del pianeta. La musica manteneva la stessa potenza, ma Cobain ormai in piena dipendenza da eroina sembrava la maschera di sé stesso. Nella sua espressione vocale c’era ancora la stessa violenza e frustrazione di sempre, ma i suoi occhi erano spenti, apatici: un fantasma urlante che muoveva soltanto il braccio ogni tanto come unico segnale di vita. Del resto, aveva già celebrato il suo funerale pubblico durante il famoso Mtv Unplugged registrato nel novembre del 1993 e pubblicato postumo. Anche gli studi romani della Rai fecero il loro tributo televisivo, con la storica esibizione dei Nirvana al Tunnel di Serena Dandini, con tanto di siparietto (tragi)comico di Corrado Guzzanti.
A dimostrazione dell’amore di Cobain per Roma, dopo i concerti italiani i Nirvana fecero solo altre due date e poi decisero di interrompere il tour europeo, ma il cantante tornò a fare una vacanza di qualche giorno nella capitale con moglie (Courtney Love) e figlia (Frances Bean Cobain). Il suo dolore interiore era ormai insostenibile e nella notte Cobain tentò di uccidersi ingerendo una confezione di Roipnol. I medici dell’ospedale Umberto Primo di Roma gli salvarono la vita risvegliandolo dal coma, anche se il triste epilogo di questa storia lo conosciamo tutti. Un mese dopo, Cobain scappò dalla clinica di disintossicazione in cui si era fatto ricoverare e qualche giorno più tardi il suo corpo senza vita fu ritrovato nella serra di casa: il 5 aprile 1994, la più grande rockstar del pianeta si era sparata un colpo di fucile alla testa. In coda alla sua ultima lettera, prima della dedica alle donne della sua famiglia, tre parole che erano state seppellite in fondo al rumore della sua musica e che oggi sembrano risalire da quelle profondità a cui nessuno era riuscito ad arrivare: «pace, amore, empatia».