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A Milano si spende più di quanto si guadagna

I sintomi preoccupanti di un sistema che pare stanco

A Milano si spende più di quanto si guadagna I sintomi preoccupanti di un sistema che pare stanco

Di recente un sondaggio pubblicato da Adesso, e apparso anche sul Corriere della Sera ha evidenziato come il 62% degli Under 40 a Milano non solo non è in grado di risparmiare un euro del proprio stipendio ma anche che spende spesso più di quanto non guadagni. Chi vuole farcela da solo, semplicemente, non può. Di recente, la frase che si sente uscire di più dalla bocca di chi risiede a Milano da più di dieci anni, dopo essere venuto in città a studiare da qualche remota provincia per poi fermarsi a lavorare, è di solito: «Milano ha rotto il c***o» che si riferisce al fatto che la città ha semplicemente smesso di essere eccitante e vivace come un tempo - ma nessuno saprebbe indicare il perché. Migliaia di giovani arrivano in città ogni anno sognando, se non di trovare il successo, almeno di evadere da un vasto e monotono universo provinciale dove la storia stessa sembra essersi fermata, dove l’età media si alza sempre di più e il dibattito pubblico si impelaga ancora su questioni di gender e orientamento sessuale. Milano promette il successo, la modernità, lo sguardo gettato sul mondo di fuori, l’orizzonte internazionale – eppure negli anni post-Covid quell’afflato si è esaurito. La nightlife è diventata un’esperienza sempre più standardizzata, meccanica ed esosa; un’uscita del sabato sera pesa sul portafoglio quanto una revisione della macchina e, anche se si uscisse semplicemente per prendere aria, il dilagare della micro-criminalità ha creato un senso di insicurezza e timore. E questo senza menzionare l’assurda impresa di trovare una casa in affitto, trovare un lavoro, stabilirsi - in una parola, vivere. 

La situazione, stando a chi commenta i risultati del sondaggio online, non è particolarmente rosea altrove. Tutti sanno che il nostro paese è l’unico dell’Ocse in cui gli stipendi non sono aumentati dal 1990 e anche nei casi in cui crescono non riescono comunque a star dietro all’inflazione, all’emorragica tassazione sul lavoro. Su un articolo di Today dell’anno scorso si legge: «Secondo Eurostat, lo stipendio medio in Italia per la fascia 18-24 anni è di 15.858 euro, vicino alla media Ue di 16.825, ma si guadagna di più in Germania (23.858 euro), Francia (19.482), Paesi Bassi (23.778) e Belgio (25.617). Gli italiani nati dopo il 1986 hanno il reddito medio pro-capite più basso di sempre». Il clima culturale che questo crea negli Under 40, specialmente quelli che non hanno potuto godere di aiuti finanziari da parte dei genitori, è di stupore e indignazione, se non di risentimento, verso la Gen X, quella dei genitori nati dalla seconda metà degli anni ’60 ai primissimi anni ’80, che in passati decenni, con stipendi che non superavano i duemila euro mensili potevano permettersi di acquistare case e mettere su famiglia, magari fare anche un viaggio annuale. Oggi qualunque cittadino potrebbe dire a scienziati e sociologi che con questa economia decidere di mantenere un figlio (già circolano tra i 30enni storie horror su come piazzare il pargolo in un asilo) significa rinunciare a ogni desiderio, piacere e denaro spendibile personale per sacrificarsi al 100%. E a Milano la difficoltà è tripla: nella città del tempo pieno e dell’overtime è complicato fare una lavatrice, figurarsi un figlio.

Senza voler andare a disturbare i massimi sistemi, i commenti sia di Avanti che di Corriere della Sera concludono, in breve, che la soluzione è quella che anche un bambino di cinque anni potrebbe immaginare: più soldi. Servono semplicemente più soldi. Ma non è questa la sede per discutere di salari minimi e grandi cambiamenti sociali – si può discutere però dell’evoluzione di un sogno, quello di Milano come the big getaway, di Milano come faro moderno (e spesso decadente) di una società italiana anchilosata e abbrutita che ancora si paralizza per la pubblicità di una pesca, per Fedez che limona con Rosa Chemical a Sanremo o per l’aperitivo in montagna di una random influencer, che equipara gli shop di cannabis al CBD alle piazze di spaccio dell’eroina, che continua senilmente a discorrere di questioni trite e ritrite di cui alle nuove, apatiche e disilluse generazioni non potrebbe fregar di meno e che invece le popolose schiere di boomer e Gen X trovano assurdamente attuali bloccando di fatto l’evoluzione culturale di un paese dove si è incapaci perfino di girare una serie tv con standard tecnici e temi moderni. Ma questo non è un problema, o almeno non lo era, perché si poteva sempre andare a Milano per trovare i propri pari e se stessi, per vivere al di fuori dagli schemi o anche solo per farcela senza adagiarsi nel tiepido grigiore borghese che ricopre il 90% del paese come una coltre di cenere radioattiva. Eppure anche l’esuberanza culturale di una città che un tempo dava speranza ora si è mercificata, ogni manifestazione culturale è diventata marketing e ogni briciolo di autentico, genuino entusiasmo pare appassita nell’incuria generale. Ma il dato forse più angosciante è questo: i giovani vogliono ancora venire a Milano perché, anche se fosse la peggiore delle metropoli possibili, sarebbe comunque la migliore che abbiamo.