Ma che ce ne frega di Vogue World? Giunti alla quarta edizione, nessuno capisce che senso abbia l’evento
Vogue World è giunto alla sua quarta edizione e, come ogni anno, ha lasciato un po’ perplessi gli appassionati di moda europei, culturalmente distanti dal senso americano dello spettacolo. Lo spettacolo dovrebbe essere un mix tra una sfilata e un evento di beneficienza che vuole celebrare insieme la moda vista nell’ultimo anno e il “peso culturale” di Vogue. Peso culturale che, parlando fuori dai denti, è diventato via via più lieve in questi anni nel corso dei quali la rivista è diventata una specie di violino con cui l’industria suona una serenata a se stessa. Vogue World è un riflesso di questo nuovo status quo: quello di una pubblicazione che vorrebbe farsi media company e brand insieme; oltre che quello di una moda che, sotto il vestito, non sa davvero nascondere niente. In effetti, almeno dal punto di vista europeo, l’interesse per lo show è praticamente nullo.
Ma ciò che colpisce maggiormente è il fatto che questo evento da quindici milioni di dollari sia un gioco a somma zero: non è una vera sfilata in cui si vedano cose nuove (c'erano alcuni custom look di Balmain però), non è un momento artistico in cui si produce cultura e nemmeno un momento di incontro con il pubblico più vasto essendo un evento di VIP per i VIP. L’unico output che non sia strettamente economico o finanziario è una serie di immagini di una parata in costume dove Alex Consani vestita da Orlando sfila accanto a un cosplay di Diane Keaton in Io & Annie e a Angela Bassett che riprende i panni della Regina Ramonda di Black Panther. Tutto il gusto ma zero calorie: l’evento è di fatto la Coca-Cola Zero della moda. La dice lunga, in effetti, il fatto che questo faraonico evento non abbia alcun impatto concreto tranne i soldi che fa fare a Vogue.
I soldi dietro lo show
Nonostante i dubbi dell’intera industria, Vogue World genera grossi ricavi per Condè Nast, sfruttando principalmente sponsorship e partnership con grandi brand come Chase Sapphire Reserve, eBay o Eli Lilly che investono milioni di dollari per ottenere visibilità, tra influencer, imprenditori e figure del jet set che amplificano l'esposizione sui social e nei media. Queste collaborazioni coprono i costi di produzione ma speculano in modo spesso proficuo su merch esclusivo come le capsule collection firmata Fear of God per l'edizione di quest’anno. Quello di quest’anno dovrebbe aver generato, secondo diverse fonti tra cui Lauren Sherman di Puck, oltre 30 milioni di dollari, ovvero il 50% rispetto all’anno scorso, e circa il 19% dei ricavi totali di Vogue.
C’è anche la beneficienza. Le vendite dei biglietti d'ingresso, il cui prezzo va da 500 a oltre 5.000 dollari, vengono di solito devolute integralmente a cause benefiche selezionate. Quest’anno il ricavato di 4,5 milioni di dollari è andato all'Entertainment Community Fund per supportare i costumisti e i professionisti del settore colpiti dagli incendi in California. L’anno scorso, quando si tenne a Parigi, circa un milione di euro è stato devoluto ai partner delle Olimpiadi di quell’anno. Una dimensione umanitaria certamente nobile ma che serve anche a giustificare l’evento che un'opportunità di public relations di alto livello che poi stimola abbonamenti digitali oltre che il percepito di Vogue, specialmente in un momento storico segnato da un calo delle vendite cartacee e di concorrenza da parte dei nuovi media digitali.
Un’occasione sprecata?
@voguemagazine Swoon! #HunterSchafer stepped out on the #VogueWorld original sound - Vogue
L’audience dell’evento è in effetti abbastanza vasta. Non sappiamo quanti spettatori ci siano stati in totale attraverso le diverse piattaforme ma solo il video ufficiale di Youtube dell’edizione di quest’anno conta attualmente 7,7 milioni di views. I numeri potrebbero essere smoderatamente più grandi: per l’edizione del 2023 di Londra, un portavoce di Vogue disse al Washington Post che l’audience complessiva era di 93 milioni di spettatori. Il che sarebbe una cosa magnifica se Vogue World, come il Met Gala, fosse l’occasione per i designer e i loro atelier di produrre bellissimi pezzi one-off, per il pubblico di poter assistere a quella che di fatto è una parata in strada o per Vogue di offrire una piattaforma di qualche tipo per lanciare nuovi designer e affermare concretamente il ruolo di “artefice di talenti” della rivista. Ma così non è.
Parlavamo in apertura della natura “americana” dello spettacolo. In effetti nella definizione della Treccani del gergo italiano “americanata”, spesso riferito a film, si legge: «Cosa o impresa eccentrica, sorprendente, esagerata e talvolta un po’ pacchiana, in base all’immagine stereotipata dei modi e delle manifestazioni in uso negli Stati Uniti d’America». Purtroppo Vogue World ricade in pieno in questa definizione di gusto forse un po’ ingenuo del grandioso e dello spettacolare fine a se stesso. Così fine a se stesso che risulta anche un po’ cringe quando lo spettatore più accorto si rende conto di stare vedendo una serie di famosi in costume che camminano in modo un po’ enfatico, con gesti drammatici da Shakespeare al liceo, per un pubblico di altri famosi. Chiunque non fosse stato pagato per essere lì, stava pagando.
Vogue World 2025 tried to replicate the iconic Atonement green dress worn by Keira Knightley but it’s not even close pic.twitter.com/5ZpQjdTOBS
— mizge (@mihailo____) October 27, 2025
In tal senso Vogue World non risulta essere né spettacolare né progressivo quanto vorrebbe. Potrebbe essere una versione internazionale e faraonica del ben più progressivo Donna Sotto le Stelle, che aveva almeno il merito di far dialogare la moda e i designer con il più grande pubblico, usando un medium nazional-popolare in una dimensione veramente collettiva (lo show era in Piazza di Spagna, a Roma) e partecipativa con interviste ai designer e commento live rendendo un servizio al pubblico oltre alla sterile meraviglia di vedere un crossover di tutte le star di Hollywood del mondo. Donna Sotto le Stelle, almeno, aveva un valore divulgativo oltre che pubblicitario.
Anzi, involontariamente, lo show ha quasi dimostrato quanto la moda dipenda dalle suddette celebrity: tolte quelle lo show era una compilation di "momenti" scollati tra di loro, dato che il mix era di costumi cinematografici veri, look sfilata presi tali e quali dagli show e qualche raro custom che si perdeva nel marasma di paillettes. Vogue World ha davvero un pubblico molto grande ma, oltre ad “averlo” in senso stretto, non intende ingaggiarlo né arricchirlo. Un dato che riflette sia i motivi per cui Vogue è una rivista i cui abbonati sfogliano solo per le figure, sia i problemi di una moda istituzionale che segue i movimenti prestabiliti in modo ormai meccanico, senza vero gusto o profondità di pensiero, e vuole un’audience oceanica senza però prendersi il disturbo di incontrarla davvero faccia a faccia.