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Perché il nuovo Wonka non rende giustizia al personaggio

Un grande successo che però lascia l'amaro in bocca

Perché il nuovo Wonka non rende giustizia al personaggio  Un grande successo che però lascia l'amaro in bocca

Nei cinema italiani, un nuovo blockbuster si prospetta rimpinguare gli incassi e chiudere l’anno in positivo. Per la prima volta dopo anni, grazie a successi internazionali come Barbie e Oppenheimer ma anche ad opere nostrane decisamente al di sopra della media (30 milioni per il primo weekend di C’è ancora domani), le sale potrebbero tirare un meritato sospiro di sollievo. Wonka, il nuovo musical diretto da Paul King, nonché prequel del romanzo di Roald Dahl La fabbrica di cioccolato (1964), si preannuncia un successo al botteghino, merito sicuramente del periodo natalizio che incoraggia i grandi a riesumare un ricordo d’infanzia e i piccoli a scoprire una pietra miliare nella memoria collettiva dei genitori. Se questi motivi non fossero sufficienti, c’è sempre Timothée Chalamet. Non ci è dato sapere se sia merito del fascino da bravo ragazzo del golden boy di Hollywood o delle atmosfere idilliache ricreate da King, che già con Paddington ci aveva dimostrato il suo talento per il genere, ma su Rotten Tomatoes il film ha una percentuale di gradimento del 85%, Il Telegraph l'ha definito «il più divertente dell'anno al cinema» e, in una recensione a cinque stelle del Guardian, Peter Bradshaw ha dichiarato di aver «apprezzato più questa che le due precedenti versioni cinematografiche.» Eppure, in un tripudio di commenti entusiastici tanto da parte della critica quanto del pubblico, una minoranza scalcitante insinua il dubbio: che ci sia troppo idillio in questo idillio?

Nonostante i tempi comici perfetti, le canzoni non troppo stucchevoli e un immaginario estetico capace di affascinare ogni target di età, è la mancanza di chiaroscuro a rendere il film un prodotto profondamente debole. Secondo Owen Gleiberman su Variety, «In Wonka, il divertente, avvincente, impeccabilmente musical prequel dalla sbalorditiva atmosfera vecchio stile del leggendario racconto di Roald Dahl, Timothée Chalamet interpreta il personaggio principale come un’anima che irradia effervescente bontà. La sua passione per il cioccolato è presente (...), ma i difetti sono scomparsi; così come ogni traccia di un lato oscuro.» «Willy sembra castrato, privo di qualsiasi spigolo che avrebbe potuto renderlo interessante», fa eco David Rooney di Hollywood Reporter. Non c’è nulla che non vada nel nuovo Wonka, anzi, è sicuramente il più amabile che abbiamo mai visto vestire di velluto viola e dispensare creazioni immaginifiche di cioccolata sullo schermo. Ma c’è qualcosa che non va nella sua perfezione. Non c’è traccia del Willie Wonka sinistro, istrionico e lugubre con cui siamo cresciuti, c’è una certa malinconia, del sentimentalismo, ma l’inquietudine che anima tanto il racconto di Dahl - così come tutto il corpus dell’autore e le successive trasposizioni cinematografiche del racconto - è stata semplicemente soppressa. 

Nel 1971, il Willie Wonka di Gene Wilder suggeriva un malcelato lato maniacale, mentre portava i suoi ospiti in un viaggio psichedelico attraverso un tunnel nelle viscere della Fabbrica di Cioccolato («Non c'è modo terreno di sapere in quale direzione stiamo andando...»). In Charlie e la Fabbrica di Cioccolato, il maestoso rifacimento del 2005 diretto da Tim Burton, Johnny Depp si è lanciato completamente nella sua caratteristica interpretazione ispirandosi alle movenze di Micheal Jackson e rendendo iconico il suo personaggio dalla chioma alla Anna Wintour e il sorriso dalla dentatura perfetta. Dietro uno spesso strato di zucchero, c’era un mistero da scoprire. In Chalamet, «la sua magica capacità di far levitare cioccolatini o di trasformare uno spazio commerciale vasto e fatiscente in un cornucopia di meraviglie sembrano solo il tipo di scarabocchiature CGI di routine che si vedono nei pubblicità televisive.»

Non bastano le colonne sonore di Joby Talbot e Neill Hannon, frontman dei The Divine Comedy, nè il cameo di Olivia Colman e Tom Davis: Wonka non potrà mai diventare un classico se paragonato ai suoi predecessori, ma sarà sicuramente un successo. Come nel caso del colossal Barbie, la strategia promozionale passa anche per i look sfoggiati dai protagonisti durante le première. Da un lato nel film compaiono le sneakers Nike Wonka Dunk, realizzate in 5 paia e contraddistinte dalle suole color cioccolato, dall’altro gli outfit sfoggiati da Chalamet - dalla felpa hoodie personalizzata con la scritta “Oompa” sul davanti e “Loompa” sul retro per il Saturday Night Live sino al completo in velluto viola di Alexander McQueen - contribuiscono a innalzare l’attore a icona Gen Z ed sex symbol epitome della “nuova mascolinità”. Persino le interviste laconiche di Hugh Grant, che a Metro ha riferifo quanto sia stato “sciocco e orribile” interpretare l’Oompa Loompa Lofty sul grande schermo, contribuiscono a celebrare il nuovo lancio della Warner Bros. Ma è quell’assenza di inquietudine la descriminante per cui Wonka non è destinato a diventare un classico. 

In un anno in cui la comunicazione globale, tanto per i marchi quando per i Colossal, ha tentato di virare su produzioni rassicuranti e a basso rischio di problematicità, non sembra più esserci spazio per il realismo per i prodotti pensati guardando al pubblico mainstream. Eppure edulcorare tutto, persino i sogni, persino le opere frutto dell’immaginazione, non solo rischia di creare una narrativa completamente dissociata dalla società a cui comunica, ma anche di negare alle nuove generazione - che ricordiamolo, sono cresciute con il Covid - gli strumenti per interpretare in modo critico il presente. Certo, da un film per bambino ci aspettiamo escapismo, ma non basta un film piatto a rendere il mondo bello ai loro occhi.