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Il nuovo direttore creativo di Alexander McQueen è l'ennesimo uomo bianco

Nonostante i buoni propositi, la moda ha un problema con l'inclusività

Il nuovo direttore creativo di Alexander McQueen è l'ennesimo uomo bianco Nonostante i buoni propositi, la moda ha un problema con l'inclusività

Il nuovo direttore artistico di Alexander McQueen, il brand che questa settimana ha dovuto dare il suo addio finale a Sarah Burton, è l’irlandese Sean McGirr, ex head of menswear di JW Anderson. Nonostante il curriculum di McGirr comprenda referenze che spaziano da Dries Van Noten a Burberry, i suoi primi progetti alla guida di McQueen lo vedranno confrontarsi con un’audience di scettici, delusi della scelta di Kering di portare al vertice della direzione artistica di una maison storica un altro uomo bianco. Alla vigilia del Fashion Month, un mese prima che Kering rendesse pubblica la nomina di McGirr, tutti gli utenti dell’High Fashion Twitter avevano cominciato a dividere le proprie fish sui nomi dei designer emergenti che avrebbero potuto essere stati presi in considerazione per l’incarico. In molti avevano puntato su Dilara Findikoglu, la designer anglo-turca autrice di look simili per riferimenti storici a quelli di Lee McQueen, altri avevano previsto il passaggio di consegna ad un uomo bianco, come suggerivano le ultime decisioni degli altri agglomerati del lusso, rivelandosi a posteriori nel giusto. Tempo fa avevamo inneggiato alla necessità di una maggiore rappresentanza femminile ai vertici della moda, ed oggi ci ritroviamo a ribadire lo stesso concetto.

Durante la prima settimana del Fashion Month, la piattaforma Vogue Business ha pubblicato i risultati del sondaggio Success in Fashion, chi ha il diritto di avere successo nella moda? Oggi questa domanda ha una risposta scontata e deludente: gli uomini bianchi. Con il nuovo appuntamento di McGirr alla direzione artistica di McQueen e con l’abbandono di Gabriela Hearst a Chloé, i portfolio artistici di Kering e Richemont hanno perso le loro uniche quote rosa, e non solo. Da adesso, il gruppo di Francois Pinault e quello di Jerome Lambert entrano a far parte della lista di aziende del lusso i cui direttori creativi sono tutti uomini bianchi, la prova definitiva degli enormi passi indietro compiuti dai vertici dell’alta moda nell’ultimo anno e del messaggio ambiguo che continua a venire proposto dai media del settore, una narrativa di inclusione che non corrisponde di certo ai fatti. La moda è un hobby da donne, ma un lavoro da uomini? Secondo quanto emerso nell’ultimo mese, sì. Proprio nel sondaggio di Vogue Business, il sessismo e il razzismo sono stati tirati in causa come i motivi principali della mancanza di rappresentazione nella fashion industry. Il 52% degli intervistati ha dichiarato che la propria etnia ha influenzato negativamente la loro carriera, mentre alcune donne hanno detto che il clima di cameratismo solito instaurarsi tra gli uomini sul luogo di lavoro ha impattato gravemente sul loro percorso professionale. Allo stesso modo, ripetuti fenomeni di sessismo le hanno fatte sentire inadeguate, costrette ad allontanarsi da una posizione ideale per l’avanzamento di carriera. Nonostante il sondaggio preceda la nomina di McGirr, spiega perfettamente perché in questi giorni giornalisti e appassionati di moda si stanno facendo avanti sui social media per sottolineare la carenza di minoranze alla direzione artistica, sottolineando come il ritratto della moda contemporanea che vediamo in passerella e nelle campagne pubblicitarie continui a non corrispondere a ciò che si nasconde negli atelier e negli uffici.  

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Il problema non è la mancanza di talento o di impegno dei nuovi direttori artistici eletti, ma il divario di opportunità con cui i gruppi marginalizzati continuano a dover fare i conti per arrivare allo stesso livello delle controparti privilegiate. La percentuale nulla di minoranze alla direzione artistica dei gruppi Kering e Richemont dimostra che esistono ancora barriere da abbattere nel sistema, in quanto il casting inclusivo di una campagna non garantisce automaticamente la diversità della struttura interna che lo sta promuovendo. I governi, i fashion council, e i CEO dei conglomerati stessi devono fare di più, continuare a scegliere talenti come McGirr ma ricordare che nella maratona iper-competitiva che è la fashion industry non tutti iniziano la corsa dallo stesso punto di partenza. Finché l’opportunità di lavorare al fianco di Pierpaolo Piccioli e di Jonathan Anderson non sarà disponibile per donne e persone BIPOC così come lo è stato per i nuovi eletti alla guida di Gucci e di Alexander McQueen, l'appuntamento da parte di un gigante del lusso di un direttore creativo uomo bianco continuerà a risultare una scelta anacronistica e controproducente.

Se oggi si elogia la moda come uno dei settori più diversificati nel mondo delle arti è grazie alle minoranze che hanno reclamato un posto nel sistema, non di certo per merito di chi, a posteriori, ha applaudito la loro tenacia. Prova di questo fenomeno sono creativi come lo stylist Law Roach e il designer Tremaine Emory - nonostante siano stati sul lungo termini costretti a ritirarsi dalle scene, stanchi di un settore ancora succube di razzismo sistemico - o ancora i talenti indiscutibili Wales Bonner e Martine Rose. Il privilegio di chi oggi si ritrova a dirigere le maison di lusso più famose al mondo è evidente, continuerà ad esserlo anche negli anni a venire e gli unici che possono effettivamente cambiare il sistema sono essi stessi parte del problema. Il sondaggio di Vogue Business e le recenti nomine di direttori creativi del lusso dicono che solo gli uomini possono avere successo nella moda, ma il talento e la perseveranza con cui le minoranze continuano a stupire la fashion industry sono pronti a provare il contrario.