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La creazione dell’estetica italoamericana

Dagli anni ‘90 all’amateur football passando per i Soprano’s: storia di un calcio che non è il nostro

La creazione dell’estetica italoamericana Dagli anni ‘90 all’amateur football passando per i Soprano’s: storia di un calcio che non è il nostro

L’estate americana del 1994 non finisce solo a Pasadena. Per qualsiasi tifoso o semplice appassionato di calcio italiano, il rigore di Baggio che finisce alto sopra la traversa della porta difesa da Taffarel, le sue mani sui fianchi di una maglia Diadore con i pattern in jacquard e il codino a pendere sul numero 10, potranno anche essere gli unici ricordi di quella stagione. Ma nell’estate del 1994 nasceva il calcio americano. O soccer, come viene chiamato dall’altra parte dell’Atlantico.

La MLS viene infatti fondata qualche anno prima, proprio in funzione e come merce di scambio per quei mondiali. E’ il momento in cui l’America si illude che quella della MLS possa essere la mossa vincente per portare il calcio americano allo stesso livello di NFL, NHL e NBA, in cui il modello di entertainment americano prova a venire calato sul calcio. Non funzionerà, perché gli shout-out sono una galassia troppo distante da quello a cui il calcio degli anni ‘90 è abituato, ma la MLS ha il merito di - complice anche il processo di esotizzazione che USA ‘94 aveva messo in atto - essere riconosciuta per la sua estetica. Lalas, le divise dei portieri o l’estetica dei New York Metrostars fanno parte di un processo di incremento dell’appeal del calcio per certi diversi completamente opposto a quello dell’estetica terrace e hooligans europea.

Nel 1994, a New York, a LaFayette Street, nasceva lo store, la cultura, che avrebbe rivoluzionato per sempre il concetto di streetwear. Supreme - che, ironicamente, nei colori e ispirazioni, ricordava USA 94 - ha avuto il merito di creare una cultura e pian piano avvicinarla al mainstream. Proprio quello che la MLS non è mai riuscita a fare. Ma se lo streetwear nasce negli USA, e anche qui che le prime commistioni tra lo stesso e il calcio hanno luogo. Nel 2014 PUMA realizza un kit per la Coppa del Mondo in collaborazione con ALIFE, qualche anno dopo è il turno di KITH che dialoga con adidas nella realizzazione dei kit per i Cobras. In entrambi, Florencia Galarza è volto e anima dei lavori. Galarza è una DJ, content creator ed ex calciatrice professionista (di Boca Juniors e Argentina), già parte del collettivo Been-Trill di cui facevano parte Virgil Abloh ed Heron Preston.

«Quando ero più giovane, vivevo in questa situazione in cui eri immerso nello streetwear costantemente. Erano gli anni ‘90 e la gente indossava basket jersey ovunque, si indossavano solo Jordan e nessuno, ma davvero nessuno, giocava a calcio. Poi tornavo a casa e il calcio in realtà era parte della mia vita, in tutto e per tutto». Sono anni in cui il calcio viene ancora associato all’Europa, e in particolare all’Italia. Nei Sopranos, la serie HBO che ha riscritto tutti i canoni estetici dell’epoca, il calcio è soprattutto un affare da italo-americani, che indossano con orgoglio le maglie di Napoli, Juventus e Lazio.

E’ vero che sono gli stessi anni in cui la Serie A vive il massimo del suo splendore, sia sul campo che come sistema. Sono gli anni delle sfilate a Italia ‘90, come sottolinea Florencia Galarza a nss, quando si paventa l’ipotesi che il rapporto tra calcio e streetwear potesse essere nato negli USA. «Non so se sia una lettura corretta, sono certa che ci siano stati tanti tentativi sperimentali in Europa molto prima, a partire da Italia 90, alle collaborazioni con Carrera, o quello che ha fatto Bikkemberg». L’idea che l’unione tra calcio e streetwear possa essere nata negli Stati Uniti è, in effetti, molto difficile da accettare. Diego Moscosoni, direttore creativo di Nowhere FC ha un'opinione simile, seppur leggermente diversa: «Forse gli USA hanno questa incredibilmente varia popolazione di immigrati cresciuti con il calcio e che adesso si trovano in un'età dove possono esprimere tutto il loro potenziale. La ricetta è tutta lì. Inoltre posti come NY o LA o San Francisco sono in genere ottimi spazi dove condividere idee con il mondo ed è per questo che molto spesso queste cose partono dagli USA. Esiste però una intera categoria di queste idee che arrivano da altri posti, come Gosha, Soph FCRB, Spezial e altri che partono da ben prima di Nowhere. Ricordo che Supreme fece una jersey con Umbro nel 2005. Quindi vedo tutto questo come un qualcosa che ruota attorno al mainstream USA da un punto di vista di corporate fashion ma che in realtà ha un respiro molto più globale».

Un trend, quello delle maglie da calcio come puro elemento di stile, che prima di arrivare nella dimensione del PSG e Jordan e Juventus Palace si è fatto le ossa nel calcio amatoriale, attraverso progetti come Nowhere FC, Calcetto Eleganza, Le Ballon, Soho Warriors che centrano la loro intera esistenza attorno al concetto di maglia: «se prendiamo in considerazione le città dove questi progetti nascono, NY, Milano, Parigi e Londra, dove le persone indossano davvero le maglie da calcio. Quindi questo ci dice grossomodo il perché di questo fenomeno. Se metti queste città insieme hai più o meno tutte le città della moda mondiali. Ci aggiungerei Nivelcrack e Liga Toquio, con Seoul e Tokyo». Un trend all’interno del quale si inserisce anche una tendenza alla valorizzazione del calcio femminile, come dimostra Florencia Galarza o il lavoro di Season Zine: «provo spesso a pensare all’esistenza di uomini che realizzino contenuti particolari come quelli che facciamo io o Felicia Pennant (la founder di Season Zine, ndr), ma non ce ne sono tantissimi. Tra i professionisti Hector Bellerin, che è della nuova generazione, è l’unico forse che riesce a unire i due mondi. Non so perché questo accada, sicuramente la natura iper-competitiva del calcio maschile mette da parte tutto il resto».

Un atteggiamento che sta cambiando ed è destinato a cambiare sempre di più, come testimonia l’apertura dei club alle collaborazioni con brand di streetwear, che avvicinando il calcio sempre più a quello che il basket è stato negli anni ‘90. Quello che ancora manca è la creazione di un immaginario condiviso, come quello portato avanti dalla NBA o dalla NFL: una cosa che la MLS non è mai riuscita a portare avanti e che non sembra aver le possibilità di fare. Galarza e Moscosoni sono d’accordo sul fatto che il rapporto tra calcio e moda crescerà sempre a livelli più esponenziali, diventando prima o poi la norma. «Tutto Tutto è già stato fatto, si tratta solo di evolvere i trend e di renderli diversi. Credo che le donne avranno un ruolo molto importante,non so ancora come, ma succederà. Il calcio è uno sport globale ma credo che negli USA arriverà a un punto in cui matcherà football e basket come influenza globle. Cominceremo a vedere più persone avvicinarsi al calcio». Un po’ come è stato per lo streetwear, il futuro del calcio in America e del rapporto tra i due sembra poter evolversi solo in una direzione, che potrebbe contemplare tutte le fasi di esplosione dello street: dal resell alla logomania, passando per le collabo. La creazione di una estetica calcistica globale, d’altronde, non è che iniziata.

Credits

Napoli shooting

Talent J Lord
Photographer Gaetano De Angelis
Styling Francesco Tizzano


New York shooting

Talent Daniele Paudice
Photographer Salim Langatta