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Skypelife...

Skypelife...

Che la riproduzione in serie omologa l'arte e l'individuo è ormai superstizione. Come che la sterilità di tanti di scatti  nascondono e mortificano la vera essenza della figura umana rappresentata. In realtà i volti vagamente partecipi sembrano indossare maschere invisibili: l'inconscio perso nel vortice della onnipresente velocità del web li trascina nella grande messa in scena della vita contemporanea. Dietro a tale contemporaneità c'è la grande scenografia della comunicazione multimediale, democratizzata e deificata. Alla nuova teologia dei rapporti umani queste fotografie offrono ritratti come fossero sacrifici votivi. Il presente che guarda al futuro non ha più tempo di voltarsi alle spalle e farsi investire dal tanfo mummiesco dei secoli. Alle spalle dei piccoli uomini di skype c'è la storia o la natura millenaria in cui vivono e sono immersi. Ma la realtà di skype e della comunicazione virtuale se non omologa più almeno si è arrogata il diritto di sovvertire i vecchi idoli e le antiche e false credenze: madre natura, la storia, gli elementi possono restare fluttuanti su uno sfondo meramente ornamentale oppure possono tacere dietro la parete che delimita il microcosmo dei nuovi mortali. Queste fotografie non servono più a guardarci dentro come avveniva per i nostri avi quando si intestardivano nella ritrattistica. Queste foto sono un gigantesco specchio che riflette la nostra immagine così come risulterebbe dentro stanze disseminate nei disparati e lontani angoli del pianeta. Non siamo noi che col web giriamo intorno al mondo. E' il web che gira intorna al nostro piccolo mondo, alla nostra stanza, alla nostra vita.