
Dimmi che zaino usi e ti dirò chi sei Cinque archetipi per il Back to School
Pronti a tornare alle abitudini quotidiane, di nuovo in compagnia dell’amato zaino che racconta e raccoglie tutto di noi. È il vero termometro della vita lavorativa contemporanea: non mente, non filtra e rivela molto più di un job title su LinkedIn. Da vecchio compagno delle medie a regalo aziendale imbarazzante, da statement di benessere a colorato baluardo eco-conscious, fino alla tote bag ormai stabilmente integrata nel quotidiano, ogni modello tradisce un’identità precisa. Non è soltanto un oggetto funzionale, ma un biglietto da visita.
In questi giorni in cui le città tornano a riempirsi, i mezzi pubblici riprendono gli orari affollati e le pensiline trasformano sconosciuti in comunità nomadi, l’elemento che si riaffaccia nello scenario urbano è lo zaino da lavoro. Se LinkedIn può essere hackerato con passaggi non del tutto veritieri, lo zaino non mente. Che lo si voglia o no, quando si decide con quale borsa andare al lavoro si compie una scelta precisa, anche quando si crede di non aver scelto per nulla: dietro a quell'azione stilistica c’è una parte altrettanto precisa della propria identità che viene messa in mostra. Ecco, allora, cinque archetipi che meglio rappresentano i diversi personaggi avvistabili in città.
La corporate bag
@therealdirkjohnson In midtown today on my finance bro hunt I ran into Not one not 2 BUT 3 interns and they all have backpacks They even work for Morgan Stanley ouuu
original sound - Dirk Johnson
La corporate bag ha poche semplici regole: assenza di loghi, rigidità obbligatoria e dimensioni ridotte. Deve contenere solo il minimo indispensabile, perché chi lavora nel centro finanziario non ha bisogno di spazio extra: il pranzo si fa fuori e i device fissi sono già pronti in ufficio. Se da un lato è d’obbligo l’utilizzo di inglesismi a intervalli regolari, l’altro obbligo imprescindibile è il no logo. Non è una scelta politica, anzi l’opposto: l’anonimato diventa uno statement che dichiara che ci «interessa solo lavorare e tornare a casa», evitando qualsiasi associazione a posizioni troppo nette.
La scelta del nomade digitale
@atravelchick dream job, dream life
Diverso è il caso del creativo nomade, che vive una vita instabile e precaria, esattamente come il suo lavoro. Il nomadismo è d’obbligo e, ora che anche in Italia è stata sdoganata la possibilità di lavorare ovunque, la sua giornata inizia con la corsa a conquistarsi il posto migliore nel caffè più fancy della città. Più che un daypack, il suo è uno zaino da camping per il weekend: The North Face, Helly Hansen o Salomon, purché possa contenere studio, cucina e libreria temporanea. Il peso specifico è notevole, con la conseguenza che gran parte dei freelance sviluppa problemi di schiena ben prima dei trent’anni.
L'alternativa sostenibile per i tipi granola
Una forma estrema, molto diffusa soprattutto a Milano, è quella del creativo che va a correre alle cinque del mattino e divide i weekend tra club ed escursioni: per loro basta una camel bag che possa contenere un telefono e si può già lavorare. A rendere il quadro ancora più riconoscibile c’è l’eco-conscious warrior, la cui area professionale spazia dall’architettura alla psicologia fino alle start-up e agli enti pubblici. Si distingue per i colori accesi dello zaino – spesso Freitag o Patagonia – e per la forte coscienza sociale: ogni scelta è dichiaratamente consapevole e serve a ricordare a tutti che anche gli oggetti quotidiani sono atti politici. All’interno dell'ultima categoria rientrano anche coloro che, pur non scegliendo affatto, raccontano moltissimo: è il caso di chi gira con lo zaino regalato da una zia lontana, magari ex scout, che ne aveva uno in più avanzato da un vecchio viaggio.
La business class bag di Milano
« Je ne peux pas me permettre d’investir »
— Dividend King (@Divs_King) March 2, 2025
Starter Pack pic.twitter.com/5xaOco8AZL
Sul fronte opposto dell'ultima categoria si colloca invece la business class bag, fatta di zaini giganteschi che restano quasi sempre vuoti. Calciatori, proprietari di negozi che rivendono sneakers e orologi, ristoratori e imprenditori di provincia ne fanno largo uso, prediligendo Bottega Veneta intrecciato o Louis Vuitton monogram. Dentro ci si trova una sigaretta elettronica, qualche documento per il commercialista e un beauty case, perché non si sa mai dove si dormirà la notte.
Lo zaino che non lascia il posto fisso
Poi c’è il relitto sentimentale, forse l’esemplare più romantico: un Eastpak devastato dal tempo, logorato nei punti strutturali, ma impossibile da abbandonare. Continua a vivere accanto al proprietario, testimone silenzioso di storie di provincia, amici lontani ed ex pessimi.
@yungjackinnanen Day in the life of a performative man in nyc fall edition w/ @UNIQLO USA #UNIQLOPartner #UNIQLO original sound - Jack Innanen
Infine, sforando le cinque categorie canoniche, si affaccia l’antagonista: la tote bag da modella 48h, riservata ai più coraggiosi. Dentro si trova pranzo, ricambio, computer - rigorosamente senza fodera protettiva - e tutto il necessario per un interrail improvvisato. In tutte le sue forme, lo zaino non è un semplice accessorio, ma un vero e proprio biglietto da visita, sintesi perfetta di chi lo porta e delle sue giornate tipo. In un mondo in cui tutto è branding – anche il corpo e la carriera – lo zaino diventa un logo non detto.














































