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Cosa significa l’anonimato per Maison Margiela? Ora che il brand ha scelto Miley Cyrus come ambassador, sembra esserci un cambiamento in vista

«Certo che mi piace Martin Margiela», disse una volta Alexander McQueen al The Independent. «Lo indosso proprio adesso. I suoi abiti sono speciali per la cura dei dettagli. Pensa a tutto, al polsino di una giacca, alla struttura del giromanica, all'altezza delle spalle. Credo che sia soprattutto una questione di taglio, proporzioni e forma, di semplicità e sobrietà. I suoi abiti sono dei classici moderni. Non conosco nessuna donna che non abbia almeno un capo di Martin Margiela nel proprio guardaroba». Quando McQueen parlava, Martin Margiela era ancora alla guida del suo brand, che lasciò nel 2009 quando le ambizioni del gruppo OTB divennero troppo vaste per il tipo di progetto che il designer belga aveva in mente e il suo mito era ancora alimentato dalla sua radicale ricerca dell’anonimato

Per anni e anni l'anonimato di Martin Margiela non fu solo uno stile, ma una reazione contro l'industria della moda commercializzata degli anni ‘80, quando in Italia e poi in Francia iniziò a svilupparsi il mito dei direttori creativi e il culto della loro personalità. Oggi le cose sono cambiate moltissimo: Maison Margiela è diventato un enorme brand internazionale e ha dovuto trovare un equilibrio più sostenibile per sopravvivere nell’ecosistema media di oggi – un processo culminato prima con la lunga direzione creativa di John Galliano, poi con la nomina di Glenn Martens e, nelle scorse settimane, con l’annuncio che il brand ha trovato il suo primo celebrity ambassador in Miley Cyrus. Il che ha scatenato la discussione su quale debba essere la filosofia di un brand come Maison Margiela. Ma da dove deriva questa sua filosofia?

Perchè Martin Margiela volle sempre rimanere anonimo?

Martin Margiela, nato nel 1957 in Belgio, fondò Maison Martin Margiela nel 1988 insieme a Jenny Meirens. Fin dall'inizio, Margiela scelse l'anonimato come forma di ribellione contro l'industria della moda, che negli anni '80 e '90 era dominata dal culto della personalità degli stilisti, dalle top model e dalla commercializzazione eccessiva. Non ha mai concesso interviste faccia a faccia, rifiutava foto e comunicava spesso via fax - un po' come oggi fanno le gemelle Olsen da The Row, ispirandosi a lui anche nel design. Non appariva nemmeno ai saluti finali delle sfilate, preferendo far parlare il "collettivo" della maison invece che se stesso. In un celebre shooting su Vogue, nel 2001, l'intero atelier sedeva in una foto di gruppo dove una singola sedia era vuota in prima fila: quella del fondatore. Il suo era un tentativo di eclissarsi dietro il design puro, che doveva astrarsi oltre le illusioni della celebrità e lasciare spazio ai soli vestiti. Quando la linea MM6 venne presentata nel 1997, anch’essa rimase programmaticamente anonima e lo è ancora oggi. 

Parlando anonimamente a Interview Magazine nel 2008, il collettivo del brand spiegò: «Quella che alcuni considerano una strategia di marketing e una sorta di snobismo è più simile a un sacrificio: avrebbe potuto avere tutti gli occhi puntati su di lui, la gloria e la fama. Invece ha deciso di fare un passo indietro, di lasciare che fossero i capi e la Maison a parlare per lui, per il suo amore per ciò che fa e per il rispetto che nutre per il suo team. […] Preferiamo che le persone reagiscano a un capo in base al loro gusto e al loro stile personale e non all'impressione che hanno dell'individuo o del gruppo che lo ha creato, così come viene tradotta e pubblicizzata dalla stampa» Anche dopo aver lasciato la maison nel 2009 Margiela è rimasto invisibile per anni, pur continuando a lavorare come artista. 

Come si esprimeva l’anonimato nel design di Martin Margiela?

@margielarchive Café de la Gare, a well-known theater and artistic venue in #Paris, was chosen as the location for Margiela's SS89 runway presentation. #margiela #maisonmargiela #martinmargiela #fashion original sound - margielarchive

Il primo e più importante codice del brand sono le maschere. Sono apparse per la prima volta nella sfilata SS89 al Café de la Gare a Parigi, dove le modelle indossavano veli o maschere per oscurare i volti. Inizialmente, c'era una ragione pratica: il budget limitato non permetteva di ingaggiare modelle famose come quelle di Dior, quindi le maschere servivano a focalizzare l'attenzione sui vestiti, non sui volti. Ma presto le maschere divennero una scelta filosofica evolvendosi: nella SS93, erano eterei veli di mussola di cotone; nella FW95, colorate; nella SS95 erano bande nere come nastro adesivo che censuravano gli occhi; nella SS96, del tutto nere; nella FW2000, c’erano frange esagerate; e nella SS2009 (l'ultima di Margiela), erano combinate con parrucche e finte labbra rosse. 

Questa tradizione continua con i successori. Matthieu Blazy (a capo del team dal 2012) le ricoprì di cristalli, facendole amare a Kanye West che le rese virali nel tour Yeezus 2013, e poi con John Galliano. Glenn Martens, l'attuale direttore creativo, le ha usate nel suo show di debutto in maniere diverse: sia sotto forma di veli che di cristalli, ma soprattutto ricavandole da scatole di latta martellate e piegate intorno alla testa dei modelli come elmi. Ma l'anonimato si estende ai design generici e al branding. Tutti i dipendenti indossano camici bianchi da laboratorio per eliminare gerarchie e focalizzarsi sul collettivo. Le etichette sono bianche e vuote per i prodotti Artisanal, senza logo o monogramma e contro la visibilità ossessiva. I prodotti sono numerati da 0 a 23, con cerchi neri per indicare la linea, mentre la linea "Replica" ricostruisce capi storici e vintage – anch’essi cioè “anonimi” perché privi di un autore definito.  

Il significato del bianco per Margiela

Un altro simbolo della volontà di Martin Margiela di creare un’identità uniforme e lasciare che il tempo la ricoprisse dei segni del suo passare è l’uso del bianco, detto “bianchetto”, sia sugli abiti stessi, come ad esempio gli stivali Tabi ricoperti di una vernice bianca che nel tempo va scheggiandosi e sbiadendosi creando colorazioni uniche; sia nella storica sede del brand, ovvero la vecchia Ecole Professionnelle de Dessin Industriel di Parigi, acquisita nel 2004 in uno stato di completo abbandono. «Ci sono due ragioni per cui abbiamo scelto il bianco: una pratica e una concettuale», ha dichiarato un portavoce del marchio alla rivista Another Magazine nel 2009. «Quando Jenny [Meirens, cofondatrice del marchio] e Martin hanno iniziato, hanno raccolto mobili da ogni parte. Non avevano soldi e gli arredi erano tutti di stili diversi, quindi per dare un senso di coerenza hanno deciso di dipingerli tutti di bianco».

Il bianco segnò l’identità del brand durante il celebre show menswear del 2006 al Teatro Puccini di Firenze, quando i modelli arrivarono su auto di lusso e motorini bianchi, indossando riedizioni di capi d’archivio, ricreati per l’occasione interamente in bianco: patchwork di jeans, giacche con fibbie, cappotti shearling, blazer avorio e maglieria spessa. Tutti sfilano con gli occhi coperti da nastro argentato, anticipando i celebri occhiali L’Incognito del 2008. La scelta del bianco andava oltre i vestiti: tutto il contesto, dal teatro agli spazi circostanti, viene ridisegnato nel segno della Maison con edicole, negozi, gelaterie, manifesti, fino a una grande mongolfiera bianca sospesa sopra il luogo dell’evento. In maniera interessante, questo show mostra come, per quanto fosse amante dell’anonimato, Margiela fosse ancora più amante della teatralità e dell’ironia. 

La linea “Replica” e le German Army Trainers

La linea Replica nacque con la collezione FW95, una delle più concettuali e rivoluzionarie del brand, dove il designer sperimentò con l’idea di riprodurre fedelmente abiti esistenti sia d’archivio che vintage accompagnandoli con un’etichetta bianca che ne raccontava l’origine. Uno dei nuclei più leggendari della collezione fu il gruppo “Clothing reproduced from a doll’s wardrobe”, dove capi di una bambola degli anni ’60, secondo molti quelli di Barbie, vennero ingigantiti di 5,2 volte, mantenendo le sproporzioni originali dei bottoni e delle cuciture. In questo gesto, Margiela non solo introduceva la nozione di replica, ma decostruiva l’idea stessa di taglia perfetta e di corpo ideale, aprendo la strada a una nuova concezione di moda come linguaggio critico.

@rabbithole.arch This shirt/jacket and the whole collection perfectly describes the design language of the house and was extremely important for the whole fashion history. In 1994 Margiela launched the Replica line witch focused on reproducing identically already existing garments. And the first approach to it was reproducing dolls garments and resizing them to human size, with the same cut and disproportions Impossible to get it anywhere else, there hasn't been any other sold online, the only photos where you can see it are from the original 1994 photos from Martin's studio and from the museums. Available for $4200 on my Vestiaire and Vinted. #fashion #archivefashion #margiela #maisonmargiela #archive Angel - Massive Attack

L’approccio Replica, quindi, non era un semplice recupero di abiti usati (pratica che valse a Margiela l’etichetta di “grunge sofisticato”) ma un atto consapevole di ricostruzione e recontestualizzazione. Capi militari, sportivi, artigianali o d’epoca venivano osservati nei dettagli, dalle proporzioni ai materiali, e riprodotti per dare nuova vita a pezzi già testimoni di altre epoche. La filosofia Replica sottolineava anche la centralità del processo rispetto al prodotto finito: il capo più celebre sono le sneaker GAT, oggi note come Replica, introdotte nel 1999, che ricopiano le scarpe da ginnastica dell’esercito tedesco disegnate in origine da Adolph e Rudolph Dassler. Nel 2002, il brand acquistò un lotto di queste sneaker, cambiò le etichette, dipinse a mano le suole e ogni membro del team ci disegnò o scrisse sopra qualcosa, per poi venderle con un foglietto che invitava il compratore ad aggiungere i propri graffiti. Negli anni successivi le scarpe furono riprodotte ma quelle del 2002 rimangono le più desiderate dai collezionisti. Quando il brand si espanse ulteriormente, nel 2012, ottenendo la certificazione Haute Couture, estese il concetto di Replica anche ai profumi con l’omonima linea – oggi uno dei suoi best-seller.