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Le influencer hanno scoperto un nuovo modo per fare soldi

Un archivio infinito di link affiliati

Le influencer hanno scoperto un nuovo modo per fare soldi  Un archivio infinito di link affiliati

Se bazzicate il web con disinvoltura e vi appassiona scoprire le nuove it-girl, tra i vostri seguiti di Instagram appare sicuramente il nome di Devon Lee Carlson. Sorriso smagliante, lunghi capelli scuri e un armadio da paura, l’imprenditrice e modella californiana ha fatto una fortuna con il brand di cover per il telefono Wildlflower Cases così come con il suo stile inconfondibile, eclettico e anni 2000. Su Youtube, Carlton su prepara in una cabina armadio ricca di accessori e abiti firmati, tra vintage Gucci e nuovi collezioni Celine che da anni motivano oltre 300mila iscritti a commentare «dove lo hai preso?» Da poche settimane, questa domanda ha una sola risposta: «visita il mio sito.» Carlson, come altre starlette di Instagram tra cui Elsa Hosk, Claire Holt e Leandra Medine Cohen ha trovato un nuovo modo per fare soldi chiamato SMTM. Ispirato ai tempi in cui i social media non esistevano ancora e le influencer utilizzavano i blog per condividere i propri look, il generatore di siti archivia tutti gli outfit mai postati da queste creator con una lista di link affiliati di cui le influencer coinvolte prendono una percentuale. «Smetti di lavorare per loro e comincia a lavorare per te stesso» recita il mission statement di SMTM, ad indicare che lavorare con loro garantisce alle creator un ulteriore modo di guadagnare, ma soprattutto un nuovo strumento per regolamentare le partnership con i brand. Ma quanto è effettivamente conveniente? 

Sul sito di SMTM, le fondatrici - tutte donne - dichiarano «Crediamo che siano i creator a dover possedere le loro piattaforme, non le piattaforme a possedere i creator. Sappiamo che l'empowerment attraverso i dati sarà il futuro dell'economia dei creator. E siamo ossessionati dalla progettazione di esperienze digitali che deliziano i clienti e riportano il divertimento nello shopping.» Le sponsorizzazioni, ossia le collaborazioni tra brand e influencer per pubblicizzare i prodotti sulla pagina instagram delle creator, sono sempre stati il metodo più redditizio per fare soldi sui social. Ti scatti un selfie al volo indossando il nuovo underwear di Miu Miu  e di colpo ti ritrovi un bonifico sul conto corrente - a questo punto, però, la partnership finisce finché non arriva un nuovo progetto. È qui che entra in gioco SMTM: raccogliendo tutti i look dell’influencer in un dominio esterno a Meta e associando ad ogni indumento il sito su cui poterlo comprare, ogni volta che uno dei loro follower fa shopping tramite quel link “regala” alle creator una percentuale. In realtà non è una risorsa che le fa guadagnare di più rispetto alle partnership con i brand, ma uno strumento per aumentare le entrate, anche se di poco. È il sito a trarre un vero profitto, che sfruttando il traffico generato e le commissioni sui link. 

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Secondo la testimonianza di Pia Baronicini, influencer americana che usa SMTM anche per il suo brand, il site builder la permette di «creare link in un secondo. Sono in grado di ospitare i miei contenuti e allo stesso tempo di generare dollari e raccogliere dati per migliorare le mie partnership o avviare nuove collaborazioni.» Basato unicamente su immagini ricondivise e link diretti ai negozi online, il solo scopo di questi nuovi siti sembrerebbe essere lucrativo. Non ci sono testi che descrivono il look, non ci sono spiegazioni romanticizzate di come la nuova borsa in pelle italiana The Row abbia cambiato la vita di Elsa Hosk - che peraltro sul suo sito ha anche una sezione Home su cui poter acquistare tutti i suoi mobili: l’unica cosa che puoi fare sul sito della modella è guardare e comprare. L’ascesa di site builder come quello di SMTM potrebbe indicare due aspetti critici relativi all’influencer marketing: il primo è che le creator online stanno decidendo di spostarsi dalle piattaforme Meta verso alternative indipendenti, il secondo è che i consumatori hanno smesso di credere allo storytelling, in primis grazie al tanto discusso deinfluencing e in secondo luogo alla presa di coscienza sempre maggiore che gli utenti hanno in relazione ai social media - prova ne sono gli ultimi flop delle influencer brand. I siti di Hosk e Carlson sono asettici, privi di fantasia, ma offrono a qualsiasi fan - abbiente, sia chiaro - di copiare l’armadio delle proprie beniamine con un solo click. Per tutti gli altri, c’è Pinterest