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Il cambiamento incompiuto di Burberry con Daniel Lee

Si può replicare un miracolo?

Il cambiamento incompiuto di Burberry con Daniel Lee Si può replicare un miracolo?

Tra gli eventi della London Fashion Week, il più chiacchierato e atteso era sicuramente il debutto di Daniele Lee alla direzione creativa di Burberry: gli addetti ai lavori erano curiosi di scoprire come lo stilista nato a Bradford avrebbe reinterpretato l’heritage dell’inglesissima maison. In effetti, all’alba dello show, le premesse per un'interessante rilettura dell’archivio c’erano tutte - dal debutto di un nuovo logo, che riprende la grafica "Prorsum" dei tempi di Christopher Bailey (presente tra il pubblico), a una schiera di grandi nomi per la sua prima campagna, tra cui Shygirl, Skepta e John Glacier - quel che è mancato, forse, è la piena realizzazione di tali premesse in passerella. Un tripudio di stampe check, l’atmosfera di una Londra piovosa, abbigliamento da caccia e tanti, forse troppi, look: la FW23 di Burberry è stata una disamina dell’eredità e dell’identità britannica in un periodo di chiaroscuri per la Nazione, ma le aspettative erano, forse, troppo alte. Ci si chiede se durante il suo mandato Lee sarà in grado di replicare il fenomeno Bottega risollevando le sorti di un brand davvero poco in forze in termini di hype o se i miracoli accadono una volta sola.

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Come sede della sua prima sfilata per il brand il designer ha scelto un appezzamento a Kennington, erigendo un'enorme tenda in un parco locale e riempiendola di cuscini brandizzati a quadri marroni e coperte. Come tutela contro il volubile clima londinese, sulle poltrone dei partecipanti erano appese anche delle borse dell'acqua calda abbinate. “The wind of change” non è solo la canzone su cui hanno sfilato i modelli ma una vera dichiarazione d'intenti: "Il cambiamento è inevitabile", recitava la manica di una t-shirt. I tropi della cultura inglese rivisitati secondo l’heritage della maison erano il perno della collezione: il tartan, proposto nelle nuance care a Burberry (giallo, bordeaux, blu), la rosa, retaggio degli stemmi araldici dell’aristocrazia inglese ("una rosa non è sempre una rosa" riportava la grafica di una tee insieme a decorazioni 3D per adornare i sandali portati con le calze), l’abbigliamento da caccia. Il look venatorio della campagna britannica è approdato in città tramite il colbacco con la coda, stivali in camoscio, infradito pelose e persino una borsa dell'acqua calda portata come pochette. Sulla scia di un senso dello humor tipicamente brit la nuova mascotte del marchio ammiccava su grafiche e ricami: un'anatra, riferimento all’espressione "Lovely weather for ducks!", tipica frase che gli inglesi si scambiano quando s'incontrano sotto il diluvio. Anche il trench, il capo must have che ha reso Burberry celebre nel mondo, ha conosciuto una nuova vita in chiave genderless, tramite volumi over, spalle squadrate, orli midi e colli furry.

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Il risultato di un mix di piume, tartan, colori terrosi, volumi decisi, è un massimalismo acerbo e in cerca di una direzione. Il cambiamento c'è ed è evidente rispetto all'operato di Tisci, ma il risultato sembra ancora troppo confusionario per darci un'idea definita del nuovo corso immaginato da Lee. Forse i tempi non sono maturi, forse le aspettative sono troppo alte. Dopotutto, Lee è stato lo stilista a cui è stato attribuito il merito di aver trasformato Bottega Veneta da polveroso marchio a colosso del lusso amato dai critici di moda e copiato dalle catene fast fashion. Potrà Burberry suscitare lo stesso desiderio? Solo il tempo potrà dircelo.