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GucciFest: la rivoluzione silenziosa della moda

Una sfida alla tradizione per esaltare la libertà del mondo creativo

GucciFest: la rivoluzione silenziosa della moda Una sfida alla tradizione per esaltare la libertà del mondo creativo

Qualche mese fa, mentre l'industria della moda cercava freneticamente di acclimatarsi agli effetti della pandemia e all'impraticabilità delle sfilate fisiche, la grande domanda era: "Cosa succederà? Che aspetto avrà il futuro della moda?" Una domanda a cui molti stanno ancora tentando di rispondere oggi, vista la profonda incertezza che domina ancora la questione. 

Tuttavia, Guccifest, il festival digitale creato da Gucci per presentare la collezione SS21 attraverso una web-serie in sette episodi di nome Ouverture of Something That Never Ended è la prova che ci stavamo ponendo la domanda sbagliata. Alessandro Michele, in collaborazione con il regista Gus Van Sant, ha abbandonato tutte le domande sul futuro e si è invece concentrato sul rispondere agli stimoli del presente, affrontando le conversazioni che in questi mesi hanno coinvolto l'industria e, più in generale, il mondo intero.

In un tipico film ci si attenderebbe di essere trasportati da un regista/autista verso una destinazione precisa attraverso delle tappe strategiche – ma nella web-serie di Gucci il creative director e il regista si comportano più come dei ciceroni che conducono gli spettatori attraverso una visita, senza avere altra destinazione che la vita stessa, intesa nel suo senso più generale. Ogni capitolo della serie tocca aspetti diversi, andando dal considerare il gender come un costrutto sociale alla bellezza del multiculturalismo, evocata attraverso diversi medium creativi. Sebbene ciascuno di questi argomenti venga esplorato, la storia non vuole indottrinare lo spettatore ma piuttosto è una parte di una coreografia poetica che semplicemente vuole incoraggiare la conversazione. Come Alessandro Michele ha spiegato nella sua premessa:

"Il film non vuole affermare. Non c'è proclamazione. Nessuna dichiarazione. Quanto piuttosto un'evocazione. Non esiste un significato ultimo e definitivo, perché finirebbe per ridurre il sensibile all'intelligibile".

Nell’intraprendere questo percorso intellettuale, è impossibile dimenticare che quello che si ha davanti è un fashion film per il semplice motivo che, per l’intera durata della web-serie, i protagonisti sono gli abiti. Michele usa il proprio linguaggio di design per creare questi curiosi personaggi, la maggior parte dei quali, sebbene muta, raccontano le proprie storie attraverso gesti e atteggiamenti che sono basati sui loro look. Nel corso dei sette episodi appaiono anche come guest star Florence Welch, Harry Styles e Billie Eilish senza che però la loro celebrità metta in secondo piano i loro ruoli: anche loro, cioè, entrano senza soluzione di continuità nel proprio personaggio, in modo da guadagnare un layer di identità aggiuntivo a quello della propria personalità pubblica. 

Parallelamente alla presentazione della collezione SS21, GucciFest include anche i lavori di 15 giovani designer le cui collezioni sono sempre presentate attraverso la videografia. Così il brand si fa piattaforma sulla quale questi talenti emergenti possono innalzarsi – pur mantenendo la libertà di esplorare creativamente le rispettive direzioni artistiche.

Questi sette giorni di GucciFest hanno segnato l’ingresso di qualcosa di nuovo nel mondo della moda e, nel processo creativo, Michele e Van Sant sono riusciti a visualizzare la moda attraverso la lente di una forma artistica. L’arte è stata creata per riflettere e interpretare il cambiamento dei tempi – e allo stesso modo Michele ci propone di guardare alle cose con la medesima flessibilità. Anche se l’industria della moda si basa sulla tradizione, questo tipo di presentazione ne sfida la nozione stessa. Questo ci porterà a vedere tutte le sfilate fisiche soppiantate da fashion film? No. Significa semplicemente che, al momento, quella di Michele è la migliore delle strade possibili. Nell’assumere questo approccio, il designer romano sfida l’industria non tanto a trovare nuove forme della tradizione, o nuove maniere di presentare le sfilate, ma di riconoscere al mondo creativo (seppur con una declinazione commerciale) la libertà e la flessibilità di reagire al presente nella maniera che ritiene più opportuna.