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Abbiamo fatto un giro nel Metaverso

La terza edizione del Circular Fashion Summit vista attraverso un visore VR

Abbiamo fatto un giro nel Metaverso  La terza edizione del Circular Fashion Summit vista attraverso un visore VR
Credits: Samy LaCrapule

Sono bastati un visore e un avatar per partecipare alla terza edizione del Circular Fashion Summit al Grand Palais Éphémère, nel Metaverso, un convegno sul ruolo dello sviluppo sostenibile nel futuro dell'industria della moda in cui un comitato di organizzatori, tra cui Vogue e il gruppo Kering, seleziona gli innovatori e i designer più meritevoli in quest’ambito. Tra i punti in programma c'era anche un incontro networking tra avatar VR - ospiti, relatori, designer e innovatori - al quale tuttavia non ho partecipato perchè, per quanto il concetto di spazio nel web3 sia labile, il concetto di tempo invece esiste eccome, ed è così che un banale ritardo mi ha fatto mancare per un pelo uno storico incontro con l’avatar di Anna Wintour. Incontri virtuali a parte, quella andata in scena è stata una mostra sulla sostenibilità come tante altre, se non fosse che si è svolta in questa sorta di ‘spazio’ virtuale che sfugge ad ogni definizione. Ed è così che sullo schermo del visore si profilava un padiglione centrale con diversi "edifici" dalla forma di igloo luminosi all’interno dei quali si diramavano una serie di stanze identiche e tridimensionali, piuttosto realistiche e dignitosamente arredate, tra pavimenti in marmo e piante decorative, senza neanche una mappa o dei cartelli a indicare il percorso da seguire.

Ma tolto lo spazio virtuale e l'idea di essere già nel futuro, ero solo io che ogni volta che muovevo un passo fuori dal perimetro di gioco prestabilito mi ritrovavo segnali rossi e lo spigolo della scrivania contro cui sbattere, con grande divertimento dei miei colleghi. Messi da parte i preventivabili problemi di orientamento, la mostra si componeva di una serie di installazioni con un maxi schermo per ciascuna stanza su cui venivano proiettati video sui processi di produzione del cotone o veniva spiegato come l’azienda vincitrice del premio per la sostenibilità di quest’anno sia stata in grado di trasformare i rifiuti alimentari in materiali tessile. Immagini in loop di batuffoli di cotone in contrapposizione al mare di rifiuti prodotti dal fast fashion o ai fumi di scarico delle industrie. Estenuante. Non discuto che si tratti di una tematica importante che sento particolarmente vicina, dato che il climate clock preannuncia solo 7 anni di vita a ciascuno di noi, ma non c’è universo o metaverso in cui valga la pena sorbirsi due ore di video sui metodi più sostenibili per tessere la lana con un visore di due chili in fronte, soprattutto se poi non sai tessere. La parte migliori sono stati i fashion film che ritraevano capi creati da nuovi designer della moda sostenibile tra sfilate e performance. 

Per quanto riguarda invece la sensazione di ritrovarsi virtualmente, eppur fisicamente, in una specie di Internet incarnato, il panorama che si prospetta dallo schermo ricorda quei film in 3D che siamo abituati a vedere al cinema da Avatar a questa parte, una specie di videogioco vivissimo e allo stesso tempo surreale a cui si accompagna la consapevolezza che l’ambiente che vedi non è quello che ‘realmente’ ti circonda, quasi un avvolgente senso di vertigine. Eppure il vero problema di questa esperienza è stata la mostra, non il Metaverso. Un primo ambizioso tentativo di trasporre un format di convegno che nel quotidiano magari funziona benissimo e che nel Metaverso risulta invece come loop infinito di video che forse era più comodo vedere su Youtube. Se volete organizzare una mostra nel Metaverso, questo è sicuramente il modo sbagliato.