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Quale film ha immortalato meglio Little Italy al cinema?

La storia intima dello storico quartiere di NY attraverso due capolavori del cinema

Quale film ha immortalato meglio Little Italy al cinema? La storia intima dello storico quartiere di NY attraverso due capolavori del cinema

«Quando si è stati allevati a Little Italy, che cosa diventare, se non gangster o prete? Ora, io non potevo essere né uno né l'altro», disse una volta Martin Scorsese. Nell’ormai iconica sequenza iniziale di Quei bravi ragazzi, il regista newyorchese, accompagnato dalla voce inconfondibile di Tony Bennet, ci mostra attraverso i suoi occhi il cursus honorum del giovane Henry Hill (Ray Liotta) il cui sogno, più di essere il Presidente degli Stati Uniti d’America, è proprio quello di affermarsi nel mondo della malavita organizzata. Se pur le sue origini si concentrano nell’est di New York, più precisamente nel quartiere di Brooklyn, le prime esperienze di Hill nella stazione dei taxi della famiglia Cicero sembrano accomunarsi perfettamente ai primi passi nella grande mela di alcuni altri grandi protagonisti del cinema americano che arrivando ad Ellis Island venivano trasportati in Mulberry Street, a Little Italy.

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Come analizzato da Jonathan Cavallero, docente in Film and Television History presso il Bates College, la storia della cinematografia americana è costellata da registi che hanno saputo costruire la multiforme “comunità immaginata dell’America italiana”, modellando al tempo stesso le modalità con cui i singoli italoamericani comprendono e formano la propria identità etnica. Attraverso questa metodologia critica l'autore dimostra che, nonostante le diverse rappresentazioni dell'etnia italo-americana, ciascun regista «contribuisce alla nostra comprensione collettiva del modo in cui l'etnia italo-americana funziona socialmente, culturalmente e storicamente. Le opere di questi registi sono diventate un aspetto pervasivo del discorso culturale non solo sull’etnicità ma anche sull’assimilazione, l’acculturazione, l’immigrazione e la tolleranza». La famiglia Corleone, nella visione di Mario Puzo e Francis Ford Coppola, distrugge e ribalta la visione della cultura italoamericana raccontata sul grande schermo sino al 1970, trasportando lo spettatore nelle dinamiche più intime a private di una famiglia detenente di un grande potere travolta dal cambio di guardia del proprio capostipite, in cui Little Italy diventa lo scenario perfetto per raccontarne evoluzioni sociali e contraddizioni. Infatti se nel primo capitolo l’evoluzione dello stesso quartiere è raccontato unicamente attraverso l’evolversi dell’opera tragica, è soprattutto nella seconda parte che ne vediamo la conformazione attraverso l’arrivo in America di Vito Andolini, ovvero il primo nome di Don Vito Corleone. 

Come nel caso di Quei bravi ragazzi, sono gli occhi del giovane Vito a mostrarci un quartiere ancora in fase di formazione, un quartiere dove il sogno americano deve ancora insinuarsi. Piccole botteghe a gestione famigliare, teatrini dove piccole compagnie tengono spettacoli musicali come forza di coesione all’interno della comunità sia dal punto di vista linguistico che socio-culturale, e la musica composta da Nino Rota che si lascia guidare dal turbinio linguistico di quella via accompagnando il tutto unicamente dal suono di un mandolino a richiamare il respiro di casa, di famiglia, di identità culturale. Nonostante Il Padrino abbia contribuito a riscrivere la figura della cultura italoamericana nell’immaginario collettivo, come testimoniato dal libro di Tom Santopietro, The Godfather Effect, il regista che più in assoluto è stato in grado di far coabitare questi due aspetti è stato senza alcun dubbio Martin Scorsese, non solamente per aver saputo raccontare gli aspetti più storiografici legati al quartiere del Lower East Side di Manhattan ma soprattutto per aver mantenuto fede alla sua autenticità famigliare, alla sua musicalità e al suo stile inconfondibile.

In un bellissimo articolo del 1998 di Rick Lyman, sul New York Times, veniva illustrata attraverso gli aneddoti dello stesso Scorsese il suo arrivo a Little Italy e il modo in cui si fosse evoluta nel tempo, entrando di diritto nel suo immaginario registico. Cresciuto inizialmente nel Queens, arrivò all’età di otto anni ad Elizabeth Street e ciò che vide dalla scala antincendio della casa di sua nonna fu letteralmente un nuovo mondo, una nuova realtà, a tratti orrorifica per il giovane Martin. Ne sono la perfetta raffigurazione i primi due film di Scorsese (Chi sta bussando alla mia porta e Mean Streets)  di cui ha spesso ricordato come la principale ispirazione fosse da ritrovare proprio nella vita del quartiere della sua infanzia. «Era solito sedersi sulla scala antincendio o sul tetto del suo edificio e guardare le strade affollate, dove vedeva un mix di americani della classe operaia di origine italiana, ragazzi di strada e frequentatori di club sociali, a volte vestiti con abiti su misura con motivi dai colori vivaci. Indossavano scarpe lucide, gioielli e altre ambiziose manifestazioni di richezza soprattuto per le ricorrenze religiose come la festa patronale di San Gennaro». Lo stesso club su cui si basa Mean Streets, aggiunge il regista: «Era il circolo che io e i miei amici abbiamo creato. Sapete, volevamo copiare i circoli che gli altri italiani avevano in tutta Little Italy. Allora abbiamo messo una macchinetta del caffè, dei tavolini, un jukebox. Mean Streets era basato un po' sul nostro club sociale».

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La scelte musicali dei suoi film, inoltre, ne riflettono l'educazione nel contesto multiforme di Little Italy, con il suo crogiolo di suoni che si riversavano attraverso le molteplici vie; così da spaziare dalla musica lirica e operistica che si fondeva con lo stato emotivo di malinconia per aver lasciato la propria terra natale, all’evoluzione musicale degli anni 60 che condizionò moltissimi italoamericani di seconda generazione e che nei film di Scorsese ritroviamo soprattutto nel raccontare e contrappuntare la fine di una certa cultura gangster come dimostrato benissimo dall’utilizzo di My Way di Frank Sinatra (stereotipo perfetto dell’italoamericano) nella versione di Sid Vicious, nel finale di Quei bravi ragazzi. Aver definito così fortemente uno stato sociale attraverso una perfetta visione cinematografica, ha creato nel tempo dei veri propri stilemi nella rappresentazione dell’italoamericanità e di Little Italy stessa nel mondo. Ne sono piena dimostrazione la viralità di una canzone come Luna Mezzo Mare nella versione di Lou Monte (originariamente Lazy Mary) che cantata durante il matrimonio di Conny Corleone è diventata successivamente esempio di rappresentazione di italianità in molteplici video su TikTok; così come aver creato dei veri e propri attori caratteristi come dimostrato dalla presenza di ben 27 attori di Quei bravi ragazzi nel cast de I Soprano. L’arte ne ha forgiato la leggenda e la storicità di questo luogo passato da autenticità a materialismo. Little Italy è entrata di diritto nell’iconicità del pensiero culturale e cinematografico.