
Capire la fuga di modelli europei in Asia Il dietro le quinte di mercato spiegato da chi ci lavora
Sono tantissimi gli stereotipi e le congetture che ruotano attorno alla professione della modella. Nell’approssimativo immaginario collettivo, le modelle sono bellissime, altissime, creature magnetiche lontanissime da noi comuni mortali al di sotto del metro e 80. Adelaide Mati, che abbiamo incontrato in videocall da Tokyo è una modella, sì, ma il suo titolo è accompagnato da un asterisco: è alta un metro e 62 cm, ed è più vicina a noi di chiunque altro.
Regna sovrana, tra tutti i preconcetti, l’idea che il mestiere da modella sia semplice, praticamente un attributo donato ai portatori sani di bellezza e gambe lunghe fin dalla nascita, un’attività che non richiede loro alcuno sforzo, alcuna preparazione, alcun impegno.«Le persone pensano che per la modella bassa sia ancora più semplice, quando è ancora più restrittivo a livello di misure. Devi essere ancora più proporzionata per risultare bene in camera» spiega Mati, petite model e content creator che ha intrapreso questa carriera per puro caso.
Nel 2021, realizza uno shooting collaborativo (in gergo, un test shoot) con un fotografo amatoriale e scopre di essere portata per l’obiettivo. Nonostante i rifiuti delle agenzie per via della sua altezza, Mati non si arrende e, alla fine, ce la fa. «Mi sono chiesta: se una modella è proporzionata e se si stanno affermando le modelle curvy, perché le modelle basse non possono dimostrare di poter stare davanti alla macchina fotografica? Nonostante io sia bassa, sono la prima ad ammettere che non ci deve essere troppo squilibrio in passerella: vedere una modella di 1,80 m seguita da un’altra di 1,58 m non è proprio armonioso. Ma ci sono comunque lavori in cui la l'altezza non è così evidente». Oggi, Adelaide Mati lavora in Giappone, dove il problema dell’altezza non c'è.
Vivere e lavorare come modella in Giappone
Com’è la vita di una modella petite italiana a Tokyo? Stando al racconto di Adelaide Mati, la maggior parte dei suoi ingaggi riguardano e-commerce, lookbook, servizi fotografici per beauty e intimo. «Spesso mi è capitato di fare dei casting per brand molto conosciuti a livello internazionale, perché dicono che gli outfit stanno meglio sulle modelle basse. In Giappone, le modelle alte fanno fatica lavorare perché i pantaloni risultano corti, quindi preferiscono modelle un pochino più basse». Dalle sue parole, pare che il Paese del Sol Levante prenda molto seriamente il lavoro delle modelle. Altro che attributo dalla divina provenienza.
Il caso Adelaide Mati è particolarmente di successo. Forte di una community digitale coesa, condivide su TikTok e Instagram le sue giornate a Tokyo, curiosità sul proprio lavoro e il proprio stile, con uno stile di comunicazione autentico e trasparente che riduce irrimediabilmente le distanze tra modella e pubblico. Un approccio che ha portato alla creazione di Artemisia Magazine, progetto editoriale nato per avvicinare Giappone e Italia. «Desideravo dimostrare che possiamo ancora essere acculturati e leggere - è brutto da dire, ma la mia generazione non è molto interessata al cartaceo - e che possiamo usare il nostro telefono per scrollare in modo divertente, ma anche per leggere cose sensate» e aggiunge «C’è un forte desiderio del Giappone da parte dell'Italia. Tuttavia, lo sentiamo distante da noi, in primis perché non è facile andarci, e poi perché l'arte qui è tanta, ma in Europa non se ne parla abbastanza. Del Giappone c'è molto di più di quello che in Europa vediamo e che conosciamo».
L’Asia come nuovo polo del modelling europeo
@vakulann Taiwan wait for me!! Babushka clothes mommy is coming back soon #model #modeling #fashionweek #milanfashionweek #parisfashionweek Per quanto la sua esperienza sia unica, quello di Mati non è un caso isolato. Negli ultimi anni, stiamo assistendo allo spostamento continuo di talent europei verso il continente asiatico tanto che, durante l’ultima settimana della moda di Milano, molte modelle hanno ironizzato su un’imminente «migrazione di massa». A tal proposito, Mati racconta che «nonostante la moneta sia svantaggiata, qui ci sono tanti brand, quindi tanti lookbook e tanti e-commerce. Percepisco in Italia un atteggiamento che porta ad assumere modelle non professionali senza pagarle, piuttosto che assumerle e pagarle tramite agenzie. Qui, esiste ancora la prassi per cui i brand si rivolgono alle agenzie. Oltre ad esserci tantissimi brand, poi, qui le persone ancora comprano molti capi di design. C'è il budget perché il cliente compra in primis».
È stato Donald Braho, Head of Men’s Division di Wonderwall Management, a raccontarci di più sull’effettiva attrattività del mercato asiatico. «Non è un fenomeno recente. I modelli si spostano in Asia da anni, prima più verso la Cina, e oggi anche verso Corea e Giappone, che sono diventati mercati fortissimi. La Corea in particolare sta vivendo un boom grazie ai designer emergenti sostenuti da fondi statali e privati. I contratti sono stagionali (da uno a tre mesi) e garantiscono condizioni più sicure: copertura dei voli, driver, alloggi, advance. Ma la parte economica non è solo l’unica parte positiva, lì si lavora anche sull’immagine, sullo sviluppo del book e sulla crescita professionale.» Una testimonianza che rafforza la reputazione di paesi che riconoscono e avvalorano il lavoro dei modelli più del nostro.
E infatti, lo scenario che emerge dalle loro parole non è certo positivo, specie per il nostro paese. A Milano si registra una competizione altissima - come testimoniano le file chilometriche ai casting e le model house strapiene - e un’offerta di lavoro altalenante, concentrata nelle settimane della moda normalmente precedute e seguite da lunghi periodi di stallo. Due aspetti che impediscono alle modelle di poter vivere unicamente di questo lavoro. «Le aziende chiamano modelle a quantità, più che a qualità. Tante mi hanno parlato proprio di questo problema: a Milano sei considerata solo una modella che verrà sostituita da quella dopo. Anche qui in Giappone assumono modelle a rotazione, però ai casting siamo molte meno quindi abbiamo più possibilità di ottenere lavoro. E sopratutto, qui puoi costruirti una vita grazie ai tuoi clienti regolari. Ovviamente, all'inizio non ti conosce nessuno e la concorrenza c'è, ma io ho potuto sistemarmi qui, mentre in Europa spesso le modelle sono costrette ad abbandonare perché devono pagare affitti assurdi senza un lavoro stabile», racconta Mati.
I compensi in Italia sono tra i più bassi rispetto a Parigi, New York o ai mercati emergenti, come quelli asiatici. Lo conferma anche Donald Braho, specificando che, com’è noto per tutti i settori, nel nostro paese «parlare di stipendi è quasi un tabù sociale: chi lo fa rischia di “svelare” i privilegi di chi guadagna da anni alle spalle dei lavoratori. Questa mentalità si riflette anche nella moda. Tuttavia, tra agenzie, modelli e casting director la trasparenza interna c’è, anche se i compensi restano bassi. Il vero nodo è sistemico: finché il lavoro del modello non verrà riconosciuto e tutelato dallo Stato, il mercato italiano continuerà a perdere terreno».
Eccovi svelata la mela marcia del sistema di modeling italiano: nel nostro paese, il lavoro del modello non è legalmente riconosciuto come professione, provocando problemi burocratici e mancanze di tutele. «In Francia, ad esempio, serve una licenza statale per lavorare durante la Fashion Week: lo Stato protegge il mercato. A Milano invece regna una sorta di “bagno di sangue”, dove le agenzie internazionali entrano e sottraggono fette di mercato che dovrebbero restare alle agenzie italiane. È un sistema privo di regole, e questo si riflette anche sui compensi», aggiunge Braho.
Il potere economico tra le capitali della moda e il ruolo delle model agency
Attenzione, però, perché adesso la faccenda si complica. La fuga da Milano non è dovuta solo ad aumento di competizione e regolamentazioni mancanti, bensì a un radicale cambiamento delle dinamiche economiche relative all’attività di modelling nelle varie capitali della moda. «Parigi resta uno dei mercati più forti: mantiene rate alti, clienti solidi e una legislazione che protegge il lavoro. Londra, dopo la Brexit, ha perso gran parte del suo peso, e molte agenzie si sono riconvertite a seguire influencer e content creator o editoriali. Milano è un mercato che fluttua: ci sono alti e bassi dovuti ai continui cambi di direzione creativa e a un’incertezza generale» racconta Donald Braho. Oggi, quindi, il potere si sta centralizzando nuovamente su Parigi, a discapito di Milano e Londra, mentre New York, complice la politica dei dazi e la crisi interna, non ha più la forza trainante di un tempo. E, nel frattempo, il mercato asiatico continua a crescere.
A proposito di influencer, quando si parla di social media e modelle digital-first, Braho ha un opinione ben precisa. L’abbassamento dei compensi erogati alle modelle per i propri servizi deriva principalmente da un atteggiamento tipico del panorama meneghino, teso a premiare la tanto millantata visibilità: «Molti grandi brand a Milano oggi non pagano più come una volta, sostenendo che lavorare per loro porti visibilità. È una dinamica tossica e ormai datata. Le agenzie più piccole spesso accettano questi compromessi, sottovalutando il valore reale dell’immagine. Così si crea un circolo vizioso in cui i compensi continuano a scendere. Parigi e Londra mantengono ancora budget più alti, ma in Italia si è arrivati a livelli imbarazzanti. Il problema nasce anche dal fatto che molte agenzie, grandi e piccole, accettano tutto, perdendo qualità e controllo sul mercato».
@calumharper18 On a real I’m obsessed with Tokyo #tokyo #model #modeling original sound - Calum Harper
Il ruolo fondamentale ricoperto dalle agenzie nella definizione del lavoro dei modelli è emerso in entrambe le interviste. Per esempio, il rapporto con la propria agenzia ha reso il lavoro di Adelaide Mati più piacevole e sostenibile nel corso del tempo - nonostante le implicazioni fisiche e il rischio, sempre dietro l’angolo, di assumere abitudini alimentari scorrette: «Quando mi hanno avvisato che in Giappone non c’è molta body positivity e che avrei dovuto dimagrire per mantenere una certa proporzione, mi sono spaventata. Essendo una donna, con gli ormoni e tanti fattori, il corpo cambia anche di settimana in settimana. È impossibile mantenere sempre le stesse misure. Invece, la vivo molto meglio qui rispetto che in Europa. Innanzitutto, la mia agenzia mi pesa al massimo una volta ogni anche 3 o 4 mesi. Non ogni settimana».
Allo stesso modo, per le agenzie instaurare un rapporto di trasparenza e rispetto reciproco è la chiave per proteggere i propri talenti, garantendo loro tutele ed equità specie nei mercati esteri. «Nessuna agenzia manda i propri modelli in un mercato estero senza un accordo chiaro e prestabilito. Ogni talento ha un valore diverso in base al mercato, e il nostro compito è negoziare perché quel valore sia rispettato» racconta Braho.
Non sappiamo cosa riserverà il domani per il turbinante fashion system, tuttavia possiamo concederci qualche pronostico. «Credo che la vera sfida oggi sia mantenere standard etici alti, anche in un sistema che cambia velocemente. Quanto a Milano, prevedo che la Fashion Week Uomo si unirà a quella Donna, perché il mercato maschile è troppo debole per reggere da solo. Parigi continuerà a crescere, e l’Asia porterà sempre più i suoi designer in Europa, ma il cuore della moda resterà qui» prevede Donald Braho. E noi scegliamo di credergli.
Takeaways
– L’Asia è il nuovo baricentro del modelling europeo, tra Giappone e Corea si concentra un mercato più ricettivo, strutturato e pagato, con condizioni contrattuali più trasparenti e una domanda continua di talent.
– Il sistema italiano sconta limiti strutturali pesanti: Milano resta competitiva solo in apparenza tra compensi bassi, lavoro discontinuo, mancanza di tutele e l’assenza di un riconoscimento legale della professione spinge molte modelle verso altri mercati.
– Tra accordi esteri, negoziazione del valore e protezione delle modelle, le agenzie sane diventano l’unico baluardo contro un mercato che tende a sfruttare visibilità, rotazione continua e budget in calo.










































