Che Guevara, il rivoluzionario che divenne merce Storia dell’icona comunista preferita dal mondo della moda
Come fa un’icona a sopravvivere? A volte, trasformandosi. Prendiamo il caso di Ernesto "Che" Guevara, il leggendario rivoluzionario marxista argentino, medico, autore e leader guerrigliero che svolse un ruolo cruciale nella Rivoluzione Cubana accanto a Fidel Castro. Le imprese della sua vita furono moltissime, il suo impatto enorme – ma oggi, quando riconosciamo il suo volto su una t-shirt, sapremmo spiegare i dettagli della sua vita? Sapremmo raccontare dei suoi viaggi in motocicletta, della guerriglia a Cuba, del regime di Batista sostenuto dagli Stati Uniti e del suo genio strategico nel farlo cadere? Sappremmo dire che fu Ministro dell'Industria di Cuba, che sostenne insurrezioni nel Congo e in Bolivia e che infine venne catturato e ucciso da forze boliviane sostenute dalla CIA? Molti non lo saprebbero e, non di meno, la sua icona permane nella cultura pop (ben altra cosa è la storia) grazie a una singola fotografia.
Fu infatti lo scatto poi intitolato Guerrillero Heroico di Alberto Korda, risalente al 5 marzo 1960, durante un funerale a L'Avana per le vittime di un'esplosione a bordo di una nave francese, a diventare il pilastro visivo del suo lascito. Scattata inavvertitamente durante la cerimonia (Guevara era entrato nel frame per soli 10 secondi) il ritratto di Korda catturò il rivoluzionario trentunenne con berretto, barba e sguardo intenso, contro uno sfondo nero austero nella maniera più onesta immaginabile. La foto non venne pubblicata a Cuba per il suo tono troppo cupo e fu invece il fotografo stesso a donarla a Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir nel 1961, che molti anni dopo la cedettero a Paris Match dove apparve nel 1967 in mezzo ai resoconti della campagna boliviana di Guevara e sul precipizio dei moti giovanili che avrebbero smosso l’Europa.
Martire o icona?
La commercializzazione di Guerrillero Heroico iniziò quasi subito dopo la morte di Guevara, trasformando un simbolo di fervore anticapitalista in un emblema da miliardi di dollari della cultura consumistica. Nel 1968, l'artista irlandese Jim Fitzpatrick, che aveva brevemente incontrato Guevara da adolescente, creò una versione in serigrafia del poster su sfondo rosso e la distribuì gratis a concerti rock e raduni studenteschi. Il design di Fitzpatrick divenne immensamente popolare, arrivò in breve nelle stamperie clandestine di Londra e Parigi ed entro la fine degli anni '60, adornava i muri durante le sommosse parigine del ‘68 e le proteste anti-Vietnam negli USA.
Negli anni ’70 e ’80 il fenomeno del Guerillero Heroico continuò a crescere: magliette bootleg, poster e spille proliferarono ai concerti di band punk come i Grateful Dead e ai gig punk, manifestando il primo “distacco” tra la foto e l’ideologia che essa rappresentava. Entro il 1969, stamperie USA come Print Mint a Berkeley le producevano in massa per 2–5 dollari, vendute a raduni e head shop; le vendite schizzarono durante le sparatorie del 1970 a Kent State, simboleggiando la defiance anti-guerra. Gli anni '70 portarono distacco: con la fine del Vietnam, le magliette Che si spostarono dall'ideologia allo stile, apparendo nella scena della Factory di Andy Warhol e nelle zine punk. Anarchici olandesi stamparono varianti nel 1968, reclamando la benedizione di Sartre, mentre un falso dipinto "Che" di Warhol (in realtà di Gerard Malanga, venne poi “autenticato” da Warhol stesso a patto che i soldi andassero a lui) fu venduto a Roma
Entro gli anni '90, la nostalgia post-Guerra Fredda e la globalizzazione economica la trasformarono in un classico del design: la parodia del 1997 di Shepard Fairey scambiò il volto di Che con quello di Andre the Giant nella campagna Obey Giant, criticando come le icone diventino "significanti vuoti." Nota interessante fu che Korda, un rivoluzionario convinto, non registrò mai la proprietà dell'immagine, considerandola di dominio pubblico per la causa. L’unica volta che fece causa a qualcuno fu quando, nel 2000, la vodka Smirnoff la usò presentando Che come un "rivoluzionario" festaiolo. La causa venne vinta e i proventi destinati agli ospedali cubani.
Capitalizzare sull’anti-capitalismo
Già nei primi 2000 l’ironia di un’icona comunista trasformata in prodotto di massa era di fronte a tutti. Il documentario del 2004 Chevolution espose questa ironia stimando circa 2 miliardi di riproduzioni in tutto il mondo entro il 2008. Jay-Z citò Che nella sua traccia del 2003 Public Service Announcement ("I'm like Che Guevara with bling on"); Johnny Depp e il principe Harry le sfoggiarono a eventi, mentre il film del 2004 di Bruce LaBruce The Raspberry Reich le satirizzò come "terrorist chic".
Passato il momento caldo in cui l’icona di Guevara mantenne il suo originario significato, emersero poi anche riletture storiche, come quelle degli esiliati cubani che denunciarono il ruolo di Che in 55–105 esecuzioni nella prigione de La Cabaña a L'Avana. Eppure, come argomentò Aleida Guevara (la figlia di Che) in un'intervista al Guardian del 2008, l'ubiquità dell'immagine favorisce la non-conformità, allineandosi con il sogno del padre di equità globale. Nei primi anni 2000 la boutique di Los Angeles La La Ling stampò il Che su tutine ecosostenibili, il magazine The Onion creò una t-shirt satirica in cui il rivoluzionario indossava il suo stesso ritratto mentre nel 2008 la Tartan Army scozzese fece delle magliette di beneficienza che misero il poeta Robert Burns nella posa di Che che vennero indossate alle partite di Euro 2008 da oltre 5.000 sostenitori.
Persino il poster Hope di Obama venne considerato un calco della foto del Che. Nel 2012 toccò a Urban Outfitters che, nonostante fossero dei top seller specialmente tra i giovani, poi le ritirò dal mercato dopo diverse proteste. Oggi, con oltre 26.000 annunci eBay per merce Che, esemplifica il genio del capitalismo nel cooptare il dissenso vendendo la rivoluzione indietro alle masse.
Che Guevara e la moda
Mentre la maglietta democratizzò l'immagine di Che, brand di lusso e streetwear la elevarono all'alta moda, spesso scatenando periodiche controversie. Il primo in assoluto fu Jean Paul Gaultier nel 1999 con una campagna per occhiali da sole in cui reimmaginò surrealisticamente Che in un disegno di Fred Langlais che imitava i murales ponendolo accanto a Frida Kahlo. Allo show SS98 di Gaultier, poi, uno dei modelli indossava un berretto nero e portava un sigaro in una chiara citazione a Guevara. Più frivolo ma molto più iconico fu il brand Cia.Marítima che nel luglio 2002 alla Settimana della Moda di San Paolo, aprì con la supermodella Gisele Bündchen con indosso solo un bikini ricoperto dalle stampe del volto di Che stampato.
Ancora più divertente fu il caso di Elizabeth Hurley che nel 2004 attirò diverse attenzioni quando fu avvistata mentre ballava nel nightclub China White di Londra, portando una Speedy custom di Louis Vuitton da 4.500 dollari ricamata con le fattezze di Che. Un episodio che purtroppo non venne documentato da alcuna foto ma la cui memoria sopravvisse nelle colonne della stampa. Nello stesso anno, giganti dello streetwear come Stüssy e Fuct commercializzarono magliette e felpe stampate con il volto di Che. Nel 2005 Belstaff immortalò Che nella "Trialmaster Che Guevara Replica Jacket"— replica fedele del modello verde oliva dai viaggi del 1952 di Guevara, dettagliato con spalline e tasche a soffietto mentre nel 2006 fu Converse a stampare il Guerillero sulle Chuck Taylor per poi rincarare la dose nel 2010.
Si ritornò a discutere di Che Guevara diversi anni più avanti e per un’occasione non da poco: la storica sfilata Chanel Cruise 2017 del maggio 2016. Per l’occasione, Karl Lagerfeld organizzò a L’Avana uno show da 12 milioni di dollari con 600 ospiti e presentò modelle in giacche color oliva che ricordavano le divise dei guerriglieri e berretti ricoperti di cristalli che riecheggiavano quello famoso del Che con in più le due C intrecciate di Chanel. Una sovversione di ironia quasi diabolica. In mezzo al disgelo Cuba-USA, lo show romanticizzò la rivoluzione, ma diversi esiliati cubano-americani lo bollarono come glamorizzazione offensiva dell'oppressione arrivando a protestare fuori dai negozi Chanel. Più di recente fu Supreme, nella collezione SS21, a svelare una jersey da football nera in nylon con stampa oversized di Che che finì esaurita in pochi minuti.
Oggi, a distanza da così tanti anni, anche se le ideologie e le divisioni sono rimaste vive, e il sentimento dell’anti-capitalismo è più che mai attuale (prendiamo ad esempio il culto che si tributa online a figure come Luigi Mangione) possiamo serenamente dire che Che Guevara è un’icona datata. Sia perché in Occidente si è decisamente persa la memoria del contesto storico in cui operò, sia perché ciò che Che Guevara rappresentava negli anni ’50 aveva senso nel tumulto generale pre-sessantottino. Le premesse di quella protesta, però, non hanno conservato la propria validità nel tempo. Forse, per questo, la moda potrebbe serenamente fare a meno del Che: non rinnegarlo, ma semplicemente lasciarlo riposare.