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E ora che succederà a Moschino?

Proviamo a immaginare il futuro del brand dopo un decennio di Jeremy Scott

E ora che succederà a Moschino? Proviamo a immaginare il futuro del brand dopo un decennio di Jeremy Scott
Moschino SS94
Moschino FW86
Moschino FW86
Moschino FW91
Moschino FW91
Moschino SS91
Moschino SS91
Moschino SS91
Moschino SS94

È un po’ come dopo un break-up: una storia d’amore è durata così tanto che, alla sua improvvisa fine, non è possibile concepire una realtà precedente al suo inizio. Così Jeremy Scott ha annunciato il suo addio a Moschino - un addio per cui, diciamolo pure, i tempi erano abbondantemente maturi. Rimane da capire cosa farà il brand adesso. L’ipotesi più scontata è facile da immaginare: viviamo in tempi in cui la moda spiritosa, pop e colorata non è popolare, la persone sono affamate di realtà, di concretezza, di certezze. In questa nuova era i colori neon, gli orsacchiotti, i cuoricini e tutto quell’armamentario infantile e stucchevole di simboli e loghi non solo hanno stancato, ma sono anche profondamente inattuali. La prossima virata che dobbiamo aspettarci, dunque, sarà non tanto verso il minimalismo (nè il brand è mai stato minimalista nè Scott ha interpretato male lo spirito del founder) quanto una maggiore sottigliezza e rimandi più precisi a un archivio che, nella sua surreale unicità, è difficile da tradurre in maniere troppo commerciali. Se i design di Scott erano in certi casi più appariscenti che eccentrici, è difficile incasellare e riprodurre per i nostri tempi il gusto per il pastiche post-moderno di Franco Moschino – non di meno, è molto probabile che il rinnovamento upscale del brand passi attraverso un linguaggio meno dipendente da loghi e grafiche e da uno sguardo più attento all’archivio.

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Moschino SS94
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Moschino SS91
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Moschino SS91
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Moschino FW91
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Moschino FW91
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Moschino FW86
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Moschino FW86
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Moschino SS94

Sicuramente il prossimo capitolo del brand proverà a trasportare nel presente la vena di attivismo del Moschino di un tempo: il brand infatti non era fatto di sola ironia, ma le sue capacità di straniamento (gli orsacchiotti erano sull’orlo di un celebre abito a imitazione delle stole di pelliccia che ancora indossavano le signore bon ton negli anni ’90) erano messe al servizio di tematiche sociali serissime. Nel finale dello show SS94, disegnato da Rossella Jardini dopo la morte di Moschino stesso, dove un abito di buste di plastica protestava contro l’inquinamento e i simboli della pace e del riciclaggio si mescolavano come stampe e applique sui vestiti, un nugolo di bambini vestiti da fiocchi rossi dell’AIDS invasero la passerella. All'epoca, quegli abiti erano protesta e rottura e non solamente il camp da soap opera per «unhinged plastic women» di oggi, per citare un recente sketch di SNL. La moda di Franco Moschino, oltre che divertente, era anche anti-establishment e probabilmente un designer con un particolare occhio per la leggerezza e il camp (pensiamo, come Andrea Batilla, a Cormio o Marco Rambaldi) potrebbe risuscitarne il piglio polemico e dissacrante ma anche la sua passione per il patchwork e per tecniche costruttive inusuali. Il riposizionamento del brand, o comunque il suo cambio di rotta, potrebbe anche essere segnalato con un abbandono (almeno sulle passerelle) di loghi pacchiani e di quella giocosità così cartoonesca per ritornare a un surrealismo non meno brioso ma più artistico.

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Fra tutti i brand nati in quel tratto di anni ’70 e ’80 in cui si sviluppò la moda italiana come la conosciamo, in effetti, Moschino è uno dei principali superstiti ma anche un marchio che, nel corso degli anni, si è relegato in una nicchia un po’ stretta del mercato piena di capi logati, colori caramellosi e di un vibe un po’ kitsch. Nel marasma di brand tamarri iper-logati e iper-variopinti degli scorsi anni, lo spirito originale di Moschino si era forse un po’ perso, il suo heritage era diventato anche troppo pop perdendo in preziosità ed elevazione – malgrado gli sforzi di Scott che in certi casi erano davvero validi. Ma chi aspira a indossare Moschino oggi? La clientela più ricca del mondo vuole davvero magliette con i personaggi dei cartoni animati, grandi cuoricini e loghi a lettere cubitali? Questa è la domanda che il prossimo direttore creativo dovrà porsi. La questione cruciale di ogni brand, oggi, in un mercato così iper-saturo, è quella di suscitare desiderio e diventare aspirazionale, promettere un lifestyle e farci sentire parte di una narrativa e una continuità più grande – e tutto ciò per sedurre quella audience che durante la glaciazione dei consumi sarà ancora in grado di spendere ma vorrà investire in pezzi dotati di effettivo e intrinseco valore. Stranamente, la sovrabbondanza di moda old money, in un periodo in cui anche Versace e Dolce & Gabbana hanno placato la propria sete di corone, fregi barocchi e paillettes, crea per il potenziale, nuovo Moschino uno spazio libero in cui svilupparsi e definire una nuova e più matura identità.