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Diamo il benvenuto alla stagione del minimalismo

Nell'era della moda come intrattenimento, alcuni designer scelgono la semplicità

Diamo il benvenuto alla stagione del minimalismo Nell'era della moda come intrattenimento, alcuni designer scelgono la semplicità
Kenzo FW23
Gucci FW23
Hed Mayner FW23
Hermès FW23
Junya Watanabe FW23
J.W. Anderson FW23
Saint Laurent FW23
Ludovic de Saint Sernin FW23
Lemaire FW23
Prada FW23
Wales Bonner FW23
Zegna FW23
Loewe FW23

Nell'epoca della normalizzazione delle sfilate in paradisi tropicali, di una moda che oltrepassa i limiti dell'intrattenimento e in cui sempre più distrazioni si frappongono tra pubblico e collezioni, si ha spesso la sensazione che l'abbigliamento sia l'ultima cosa che ci viene chiesto di considerare. Dal cabaret di Tyra Banks per Kid Super al cameo di Rosalia per Louis Vuitton, passando per la comparsata di Doja Cat in Schiaparelli, l’era dei fashion gimmick - per utilizzare l’espressione coniata da Rachel Tashjian per descrivere l’abito spray di Bella Hadid da Coperni - lascia tanto spazio al marketing e poco spazio ai capi. Ed è proprio qui che la moda si divide in due fazioni, tra designer che per vendere scendono a compromessi con lo spettacolo e altri, canonicamente massimalisti o comunque altamente stilizzati, che aderendo a un nuovo desiderio del mercato, scelgono la semplificazione. Gucci, Saint Laurent, J.W. Anderson, Loewe, Dolce & Gabbana, Junya Watanabe: sono solo alcuni dei nomi che nelle recenti fashion week hanno puntato sul minimalismo.

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Gucci FW23
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Loewe FW23
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Saint Laurent FW23
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Hed Mayner FW23
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Hermès FW23
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Junya Watanabe FW23
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J.W. Anderson FW23
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Kenzo FW23
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Ludovic de Saint Sernin FW23
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Lemaire FW23
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Prada FW23
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Wales Bonner FW23
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Zegna FW23

«Sento che "less is more", ma in un modo nuovo», ha detto Jonathan Anderson a proposito della FW23 di Loewe, in cui un universo spoglio, con una fila di modelli che camminano in uno spazio bianco, ha dato vita ad «un atto riduzionista». La sua collezione ha esasperato la materialità dei capi fino a farla diventare pura scultura 3D: giacche di rame e peltro scolpite da artigiani specializzati, camicie in pergamena rigida e stropicciata, seta martellata in tinta con i boxer, ali d'angelo. Pur sempre avanguardia, ma ben lontana dal tripudio di forme e colori a cui il designer ci aveva abituato in passato. Similmente, Domenico Dolce e Stefano Gabbana hanno optato per una semplicità inaspettata proseguendo nel loro lavoro di esplorazione e rielaborazione degli archivi. Uno show intitolato Essenza e basato su look bianchi e neri, una sartoria dal rigore matematico anni '90 che sa anche essere languida, eppure priva di tutti quegli orpelli, accessori e pattern che siamo soliti aspettarci dal duo. Ludovic De Saint Sernin invece, da poco nominato direttore creativo di Ann Demeulemeester, sembra fare le prove per il suo nuovo ruolo nella casa di moda belga: il suo immaginario genuinamente Y2K, ricco di glitter, piume e trasparenze, sembrava più pudico del solito con un tripudio di look total black.

Allo stesso tempo i brand classici sono rimasti tali, presentando collezioni semplici e basate sul prodotto: Brunello Cucinelli, Hermès, Lemaire, persino Gucci, che dopo l’addio di Michele segna una nuova direzione ideologica e stilistica per il futuro del brand. Una collezione disegnata dal team interno ha mostrato pezzi ragionati e ben tagliati, capi che ciascuno di noi si figurerebbe addosso, lontani anni luce dall'immaginario barocco dell'ormai ex direttore creativo. Anche da Prada i capi erano classici, abiti che richiamavano l'idea di una moderna gioventù d'affari minimalista, tra modelli in abiti con colletti staccabili e tote bag con pratiche borracce d'acqua. Anthony Vaccarello invece, ha continuato il suo lavoro di semplificazione per Saint Laurent, allontanandosi dall'estetica rock-chic di Hedi Slimane a favore dell’immaginario sublime di Yves. La FW23 ha seguito i propositi di questo progetto presentando un capolavoro dark di equilibrio e misura, lontana dalle suggestioni subculturali e in cerca di una perfezione formale che, con tutta la sua universalità, rimane comunque dotata di una voce e di una identificabilità totale e immediata. Alla luce di queste collezioni, non ci resta che chiederci: il futuro della moda è minimale?