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L'ultima campagna di Dior è stata accusata di appropriazione culturale

Le reazioni e i commenti sui social media pongono una domanda: siamo diventati troppo sensibili o non lo siamo ancora abbastanza?

L'ultima campagna di Dior è stata accusata di appropriazione culturale Le reazioni e i commenti sui social media pongono una domanda: siamo diventati troppo sensibili o non lo siamo ancora abbastanza?

Nel corso degli ultimi anni temi come i principi morali e l'etica sono diventati centrali nell'industria della moda. Dalle accuse nei confronti di Prada, colpevole di aver promosso blackface, allo scandalo di Dolce&Gabbana in Cina, fino alla questione del maglione accusato anch'esso di blackface di Gucci di qualche mese fa, il 2019 è stato l'anno in cui i marchi di moda sono stati costretti ad ascoltare i propri consumatori, principalmente a causa del potere dei social media e delle conseguenze finanziarie che uno scandalo potrebbe provocare.

L'ultima Maison a subire l'ira dei critici di Twitter e Instagram è stata Dior, che durante il weekend appena trascorso ha presentato la campagna pubblicitaria per la sua nuova fragranza, chiamata Sauvage. Il progetto è stato immediatamente accusato di appropriazione culturale e razzismo, dato che il concept del video riguardava la cultura dei Nativi Americani. Il brand ha pubblicato sui propri canali il video che accompagna la campagna e che ha come protagonista l'attore Johnny Depp, con la caption Un viaggio autentico nell'anima dei nativi americani in un territorio sacro, fondatore e secolare. 

Nel video, narrato dallo stesso Depp, l'attore indossa un cappello da cowboy mentre suona una chitarra elettrica, mentre nei fotogrammi si alternano inquadrature di Depp e di Canku Thomas One Star, un membro della tribù dei South Dakota Rosebud Sioux, mentre balla avvolto in un vestito tribale di di piume. 

Il motivo principale che ha scatenato la controversia intorno alla campagna è stato l'uso della parola "Sauvage" (tradotto in Savage in inglese - selvaggio in italiano) e la sua associazione con la cultura dei nativi americani. Nella sua forma francese la parola è in realtà un termine dispregiativo usato in riferimento agli indigeni francesi, e anche la sua versione inglese è nota per le sue connotazioni razziste, soprattutto se usata per descrivere persone native americane. Già solo questo ha fatto salire la tensione. Il secondo motivo di controversia risiede nella scelta del testimonial, Johnny Depp. L'attore americano vanta origini inglesi, con antenati in Belgio, Olanda e Francia. Tuttavia, in un'intervista del 2002, Depp aveva affermato di essere imparentato anche con i Nativi Americani. Questa affermazione non è passata inosservata, tanto da essere esaminata attentamente alla ricerca di una prova conreta di tale parentela. In ogni caso, Depp è stato nominato figlio onorario da un membro della Comanche Nation in seguito al film The Lone Ranger

Nel comunicato stampa ufficiale della campagna, Dior afferma

Non appena abbiamo iniziato a evocare immagini e simboli cari ai nativi americani, la Maison Dior, Jean-Baptiste Mondino e Johnny Depp hanno immediatamente deciso di contattare i consulenti dei nativi americani che sono cittadini iscritti della Comanche, Isleta e Taos Pueblos e della Pawnee Nation, con anni di esperienza nella lotta all'appropriazione culturale e nella promozione dell'inclusione. 

Il brand ha anche sottolineato il suo lavoro con l’associazione American Indian Opportunity (AIO), che avrebbe dato la sua approvazione per la campagna e che avrebbe inoltre ricevuto una donazione dalla maison. 

In seguito alle reazioni negative sui social media, Dior ha cancellato la campagna dai suoi canali Instagram, Facebook, ecc, mentre il dibattito sull'appropriazione culturale impazzava. Mentre molti sembrano difendere Dior, sostenendo che il brand non ha fatto nulla di grave o di dannoso, altri sono arrabbiati per l'uso commerciale che il brand ha fatto della cultura dei nativi americani. 

Molti accusano i Millennial e gli utenti dei social media di essere diventati troppo sensibili, sostenendo che alcune delle loro accuse sono in realtà futili, inutili e a tratti vendicative. Il che, naturalmente, può anche essere vero, non tutti nell'esercito dei social media sono animati da buone intenzioni. Allo stesso tempo, però, perché non mettere in discussione tutto? Perché non dare vita ad una conversazione? Perché non chiedersi come mai un marchio francese si sia improvvisamente interessato alla cultura dei nativi americani? Perché non discutere della necessità di includere un volto di Hollywood come soggetto principale mentre si rende omaggio a una cultura autentica e dalla storia lunghissima? Forse è questo l'unico modo per stabilire il confine tra troppo sensibile e non abbastanza attento.

Sebbene Dior sembrasse avere il supporto dei membri della comunità dei nativi americani, questo loro appoggio non è stato reso noto nelle dichiarazioni fatte su Instagram o in un comunicato ufficiale dopo le reazioni dei social media. Forse, in futuro, anziché eliminare immediatamente tutte le tracce dei propri errori, intere campagne pubblicitarie comprese, i brand potrebbero voler prendere in considerazione l'analisi della propria posizione e possibilmente trovare modi per unirsi alla conversazione con i propri accusatori o assumere persone in grado di farlo.