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Instagram è diventato un posto per boomer?

O i boomer siamo diventati noi?

Instagram è diventato un posto per boomer?  O i boomer siamo diventati noi?

C'è stato un momento nelle nostre vite in cui la nostra identità non era definita dai vestiti che portavamo, dal taglio di capelli che sfoggiavamo, o dal nostro carattere, ma da un solo, apparentemente insignificante dettaglio: l'immagine di copertina sul nostro profilo Facebook. Se siete troppo giovani per ricordarvi questa cosa - oltre a spezzarmi il cuore - non potete comprendere l'intrinseca importanza e la difficoltà dietro la scelta di un'immagine che dovesse rappresentare al meglio quanto fossimo indie, alternativi, quando i nostri gusti fossero migliori di quelli degli altri, di quanto noi fossimo superiori a tutti, anche se finivamo per controllare di notte i likes alla foto. (Io passavo da immagini dei film di Sofia Coppola e Wes Anderson a quotes prese da Pinterest, giusto per farvi capire). 

Come quando ad una festa anche gli ultimi ubriachi si addormentano sul divano, abbiamo capito che era arrivato il momento di andarcene - e con abbiamo intendo noi Millennial - lasciando Facebook in favore di Instagram (ma tenendo accesa la fiamma di FB per i compleanni e per gli eventi a cui andare). Dai tempi delle foto al cibo prima di ogni pasto e dei tramonti ogni sera n'è passato di tempo, e tutto è cambiato. Se prima avere un feed curato e armonico nei colori faceva di te una persona interessante e vagamente artistica, oggi fa di te una persona che si impegna troppo per una cosa che non è il suo lavoro, che in fondo ci crede un po' troppo. Instagram l'abbiamo usato per qualsiasi cosa: rimorchiare, trovare lavoro, trovare nuovi amici, scoprire nuovi posti in cui andare in vacanza, pubblicare le foto delle vacanze, ultimamente anche per mostrarci politicamente impegnati (e ha funzionato, aggiungerei), ma lo scopo più importante è rimasto sempre lo stesso: farci i cazzi degli altri. Un'impresa che si è fatta progressivamente sempre più ardua, sia per la tendenza dell'utente medio a postare meno e in modo più studiato, calibrando bene i contenuti da pubblicare, sia per l'ultimo anno trascorso, che tra pandemia e FOMO ha fatto passare a molti la voglia di mostrarsi. 

Mentre Instagram ha avuto la capacità di evolversi nel tempo - vi ricordate quando non c'erano le Stories? - adattandosi alle esigenze dei suoi utenti, Facebook è rimasto molto più rigido e con poche funzionalità davvero utili. Con il declino di un social enorme che ha attirato diverse generazioni, si sono moltiplicati i social verticali, basati su un solo tipo di argomento e di format, come TikTok, imperniato su brevi video. Ma è proprio questo medium, il modo in cui la piattaforma funziona, il modo e il motivo per cui si posta ad aver alzato delle barriere altissime con le generazioni più grandi, che non capiscono come funziona il social e quindi ne stanno alla larga. Se da Facebook avevamo fatto in tempo a scappare prima dell'approdo definitivo dei boomer, su Instagram non siamo stati altrettanto svelti, soprattutto perché non ci è ancora chiara una cosa: sono arrivati anche qui genitori e parenti o siamo noi i genitori e i parenti agli occhi dei più giovani? (brividi di paura anche solo a scriverla questa cosa). C'è un vuoto cosmico per una generazione che non sente di avere più un suo posto, una piattaforma in cui esprimersi - cosa avremo mai da dire poi non lo sappiamo neanche noi - e che vede TikTok ancora con ostilità, perché non si sente accettato, compreso, quasi osteggiato. L'approdo di mamma e papà sul social network doveva già farci presagire qualcosa, con le foto dei fiori sul balcone per le mamme e le bici e le partite allo stadio per i papà, scusate la generalizzazione, ma va detto che non è loro la colpa dell'evoluzione di Instagram, che se usato nel modo giusto assomiglia sempre di più a LinkedIn. 

È bene sottolineare che è stata l'evoluzione stessa di Instagram a provocare un cambiamento nel nostro approccio ad esso. Se da una parte brand di ogni tipo iniziavano ad invadere i feed con post sponsorizzati, dall'altra molta della colpa va all'utente a metà tra l'influencer e l'utente X, quei piccoli creator, o micro influencer, che erano un po' la spina dorsale di Instagram, che fungevano da ispirazione per gli utenti normali e che postavano contenuti troppo fuori dagli schemi per i veri influencer. Con il passare del tempo sono i loro contenuti ad essere diventati o troppo sponsorizzati, e quindi finti, artificiali, o troppo impegnativi, monotematici, al punto di aver stufato. 

Abbiamo evitato come la peste le dirette e ci siamo rifugiati nelle Instagram Stories, 24 ore di rilevanza prima di perdersi nei meandri dell'internet, nel bene e nel male, dove abbiamo finalizzato un nuovo record di velocità di skipping delle Storie parlate, anche dei nostri amici più cari, anche di quelli che ci mettono nei loro amici più stretti senza un motivo apparente. Perché tutti prima o poi ci siamo domandati: ma che ci devo fare su Instagram? Molti l'hanno vissuto come un'agenzia di collocamento, condividendo i propri lavori, facendo networking, e ancora meglio facendo polemiche, accendendo dibattiti, anche a sproposito, anche senza esserne entitled, giusto per aumentare le interazioni, e far salire gli analytics del profilo. Da un punto di vista estetico questo si è tradotto in un immaginario improvvisato, quasi frettoloso, di caroselli che altro non sono che photo dump, una carrellata non particolarmente legata o sensata di immagini che stavano da un po' nel rullino del telefono. Un tramonto, ma non perfettamente a fuoco, una fetta di pizza, un accendino appoggiato sul tavolo e per finire un selfie allo specchio, è la formula praticamente invariata che rende tutto *aesthetic*. A noi che abbiamo usato all'impossibile ogni filtro di VSCO, mettendo orgogliosamente l'hashtag #vscocam sotto ogni post, non è chiaro cosa dovrebbero comunicare queste immagini, ma il like lo piazziamo (soprattutto perché l'abbiamo visto fare a nostra cugina 18enne). 

Siamo di nuovo davanti ad un bivio, pillola rossa o pillola blu: restare, e trasformarsi consapevolmente in un boomer, una decisione che passa obbligatoriamente da una bio su IG fatta solo da emoji di aerei, cibo, fiori e cuori, un concentrato di normalità che resiste al passare del tempo, o andarsene, avventurandosi in lande sconosciute, come TikTok. La domanda comunque resta, cosa dovrebbe spingere un Millennial all'alba dei trent'anni ad avvicinarsi a TikTok? Non basta l'intrattenimento puro per una generazione che ha usato i social come show off, per rimorchiare o trovare lavoro, obiettivi impossibili da raggiungere su una piattaforma unilaterale, da consumare quasi in modo passivo e per questo molto meno appealing per chi non vorrebbe fare altro che mettersi in mostra. Tutti quelli che passavano da una Story all'altra per vedere cosa facevano gli ex compagni delle medie si trovano davanti ad una grande domanda, che quasi certamente non li porterà dalle parti di TikTok, ma che li lascerà languire su Instagram ancora per un po'. Io non ho ancora deciso cosa farò, ma nel dubbio la Story per questo pezzo inizio a prepararla.