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Cosa sta succedendo con l’eredità di Gianni Agnelli

Investigatori privati, cause legali e una collezione d’arte contesa

Cosa sta succedendo con l’eredità di Gianni Agnelli Investigatori privati, cause legali e una collezione d’arte contesa
Gli Agnelli a Villar Perosa scattati da Laurent Sola (1986)
Gli Agnelli a Villar Perosa scattati da Laurent Sola (1986)
Gli Agnelli a Villar Perosa scattati da Laurent Sola (1986)
Gli Agnelli a Villar Perosa scattati da Laurent Sola (1986)
Gli Agnelli a Villar Perosa scattati da Laurent Sola (1986)

Giovedì scorso, la Corte di Cassazione italiana ha respinto l’ordinanza con cui veniva archiviata la causa intentata da Margherita Agnelli nei confronti dei suoi stessi figli, emettendo una decisione che ha gettato nuova luce sulla tumultuosa disputa legale che coinvolge la famiglia Agnelli, una delle dinastie industriali più prestigiose d'Italia. La causa, che ha radici profonde e si snoda tra diritto successorio, controllo aziendale e un patrimonio multimiliardario, è un intricato intreccio di vicende che risalgono a diversi decenni fa. La disputa all'interno della famiglia Agnelli affonda le sue radici in anni di storia familiare e nel fervore della leadership di Gianni Agnelli. Da un lato c'è Margherita Agnelli, figlia di Gianni, e i suoi figli dal secondo matrimonio con Serge de Pahlen. Dall'altro ci sono i tre figli avuti da Margherita con il primo marito, Alain Elkann: John, Lapo e Ginevra. La questione principale è il controllo di Dicembre, azionista principale della Giovanni Agnelli BV, che a sua volta controlla importanti aziende come Exor, Stellantis, Ferrari, Cnh Industrial e Juventus - una società chiave che funge da "cassaforte" per l’intera famiglia. Qualche tempo fa, il tribunale di Torino aveva deciso di sospendere la causa intentata da Margherita Agnelli contro i figli Elkann, attendendo l'esito di procedimenti giudiziari svizzeri analoghi. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha ribaltato questa decisione, chiedendo ulteriori chiarimenti e ordinando la ripresa della causa entro tre mesi. Questa controversia, oltre alle questioni finanziarie, si concentra anche sulla custodia di una collezione d'arte di inestimabile valore.

Il giallo dei quadri scomparsi

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Gli Agnelli a Villar Perosa scattati da Laurent Sola (1986)
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Gli Agnelli a Villar Perosa scattati da Laurent Sola (1986)
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Gli Agnelli a Villar Perosa scattati da Laurent Sola (1986)
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Gli Agnelli a Villar Perosa scattati da Laurent Sola (1986)
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Gli Agnelli a Villar Perosa scattati da Laurent Sola (1986)

Le proprietà oggetto di controversia includono immobili a Torino e Roma: Villa Frescot, Villar Perosa e un ampio attico nei pressi del Quirinale a Roma. Secondo quanto indicato nel testamento del 1999 da Agnelli, alla sua morte, queste proprietà avrebbero dovuto essere assegnate con «usufrutto vitalizio alla mia moglie Marella e nuda proprietà ai miei due figli Margherita e Edoardo», quest'ultimo purtroppo deceduto per suicidio nel 2000. Tuttavia, nel 2004, la figlia Margherita firma a Ginevra un accordo transattivo e un patto successorio con la madre, rinunciando alla futura eredità in cambio di circa 1,4 miliardi di euro. Al decesso di Marella nel 2019, Margherita acquisisce le tre proprietà, nel frattempo concesse in uso ai suoi figli. Secondo gli avvocati di Margherita, dagli immobili risultavano mancare 636 opere di grande valore di artisti del calibro di Canaletto, Tiepolo e Goya ma anche Francis Bacon e Monet. I fratelli Elkann replicano sostenendo che l'inventario degli «oggetti contenuti nell'immobile di Roma», firmato da Marella e Margherita, omise intenzionalmente la pagina 75 in cui tali quadri erano indicati. Il motivo addotto è che le opere appartenevano a Marella, che le aveva acquistate, e non a Gianni; pertanto, avrebbero dovuto passare in eredità ai tre nipoti, come stabilito nel testamento della consorte di Gianni Agnelli. Tuttavia, questa ricostruzione è contestata da Margherita che, nel 2019, sollevò l'accusa di occultamento di opere d'arte contro i figli Elkann.

Margherita Agnelli, nella sua ricerca della collezione d'arte, ha ingaggiato investigatori privati per rintracciarla. Quest’estate, il 31 agosto, la Procura di Milano e i magistrati svizzeri avevano pianificato una perquisizione mirata presso il «box n. 253 delle cabine extraterritoriali presso i Magazzini Generali con Punto Franco Sa di Chiasso», come riporta il Corriere. Questo spazio, affittato da una società elvetica di consulenza e compravendita d'arte, era stato indicato da Margherita Agnelli e i suoi investigatori privati come il luogo in cui si presumeva fossero custodite le opere sottratte. Tuttavia, nella cabina doganale indicata, non sono stati trovati né i quadri né alcuna traccia rilevante attraverso esami delle telecamere, analisi dei registri informatici o verifiche di accesso tramite badge. La documentazione doganale ha dimostrato che ogni movimento delle opere è stato effettuato sotto la supervisione rigorosa dei doganieri, rendendo difficile attribuire agli indagati alcuna condotta illecita.  La Procura di Milano, alla luce di tali circostanze, ha richiesto l'archiviazione dell'ipotesi di reato di furto. Non solo mancavano prove dei dipinti, ma anche il titolare della società che affittava lo spazio e i suoi trasportatori non sono stati implicati in alcuna attività illecita. Margherita Agnelli, tuttavia, non si è arresa, opponendosi all'archiviazione insieme al suo avvocato Dario Trevisan presso l'Ufficio Gip del Tribunale di Milano. 

L’eredità del clan Agnelli

Per comprendere le ragioni della controversia legale che coinvolge Margherita Agnelli e i figli di Gianni Agnelli, John, Lapo e Ginevra Elkann, è necessario risalire alle radici del problema, un principio sempre sostenuto dallo stesso Gianni Agnelli: che in famiglia dovesse esserci un unico capo. Dopo il tragico suicidio di Edoardo Agnelli e la morte dell’altro possibile erede designato, Giovannino Agnelli, a causa di un tumore all'intestino nel 1997, il mantello dell’erede ricadde su John Elkann, il primogenito di Margherita Agnelli, con l’approvazione dall'intera famiglia. Nel 1997, John Elkann possedeva già il 24,87% delle quote della Dicembre e, con la morte di Gianni Agnelli nel 2003, quella quota salì prima al 33,3% e 58,7% con l'uscita di Margherita dalla compagine azionaria. Quando Margherita si ritirò, per così dire, dalla partita e prese il suo cash-out, rinunciò alla futura eredità della madre e, di conseguenza, ai diritti sulla società Dicembre. Ma nel 2020, Margherita Agnelli avviò una nuova azione legale sostenendo che l'accordo del 2004 fosse nullo, poiché la rinuncia a una futura successione non è prevista dal diritto italiano. I legali di Margherita Agnelli, guidati dall'avvocato Dario Trevisan, sostengono che Torino sia la giurisdizione competente, poiché la madre morì in Italia e aveva la sua residenza abituale nel paese. I figli Elkann, invece, affermano che i giudici torinesi dovrebbero astenersi in base alla convenzione italo-svizzera del 1933, in quanto in Svizzera è in corso un procedimento analogo e la nonna aveva la residenza nel paese – cosa che però Margherita contesta. Al momento la decisione della Cassazione di giovedì scorso lascia le cose in sospeso. Se Margherita Agnelli prevalesse, le attribuito il 50% dei beni, creando un profondo squilibrio in Dicembre – ricordiamo infatti che nella fazione di Margherita si trovano anche i suoi figli del secondo matrimonio con Serge de Pahlen. La complessità della questione è accentuata dai contenziosi aperti in Svizzera, dove si discute la validità degli accordi del 2004 e del patto successorio. La decisione dei giudici italiani, basata su quale diritto applicare - svizzero o italiano - sarà determinante. Margherita Agnelli ha presentato al tribunale di Torino una dettagliata memoria, frutto anche del lavoro di investigatori privati italiani e svizzeri che hanno ricostruito gli ultimi 15 anni di vita di Marella Caracciolo. La madre avrebbe trascorso la maggior parte del tempo in Italia, e non in Svizzera come sostengono gli Elkann, il che rende il caso ancora più intricato. 

Cosa ha deciso la Cassazione

Lo scorso giovedì la Cassazione ha annullato parzialmente l'ordinanza emessa dai giudici torinesi nel giugno precedente, la quale aveva sospeso la causa in attesa della definizione di tre procedimenti giudiziari in corso in Svizzera. La Cassazione ha evidenziato che l'ordinanza torinese non esplicita in maniera completa la decisione presa e ha violato l'articolo 7 comma 3 della legge 218/1995, il quale consente la sospensione dei giudizi interni solo nel caso in cui il processo all'estero sia ancora pendente. La Corte Suprema ha sottolineato che, una volta che il processo all'estero è definito, il processo in Italia deve riprendere il suo corso. Nel caso in questione, i processi pendenti in Svizzera erano tre, ma ciò non esentava il giudice di merito dall'esaminare attentamente ciascun processo, considerando che ognuno di essi, a partire dal primo ad essere definito, avrebbe influito sul processo in corso in Italia.  La Cassazione ha rilevato che l'ordinanza non solo ha omesso di effettuare un'indagine in questo senso, ma ha anche disposto la sospensione in modo tale da escludere qualsiasi verifica sulla persistenza dei presupposti per la sospensione, fino alla conclusione dell'ultimo processo in Svizzera. Questa decisione è stata considerata al di fuori dell'ambito consentito dall'articolo 7 comma 3 della legge 218/1995. In sintesi, la Corte Suprema ha stabilito che la sospensione del processo in Italia deve essere commisurata allo stato di pendenza del processo straniero e non può protrarsi oltre la sua conclusione. Entro tre mesi sarà fissata la ripresa della causa.