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Quindi Coco Chanel era una spia nazista o faceva parte della Resistenza?

Probabilmente tutti due, ha rivelato una nuova mostra a Londra

Quindi Coco Chanel era una spia nazista o faceva parte della Resistenza? Probabilmente tutti due, ha rivelato una nuova mostra a Londra

Di recente si è tenuta al Victoria and Albert Museum di Londra una mostra su Chanel, dove sono stati messi in mostra documenti ufficiali che provano che la stilista francese fosse parte della Resistenza francese durante l’occupazione nazista, che lottava per la liberazione della Francia. «Abbiamo la verifica del governo francese, incluso un documento del 1957, che conferma la sua partecipazione attiva alla Resistenza» ha detto al Guardian la curatrice della mostra Oriole Cullen. La questione è rilevante soprattutto perché è stato ampiamente dimostrato che, nel corso della Seconda guerra mondiale, Chanel fosse anche molto legata a vari e controversi funzionari nazisti, e che condusse alcune missioni di spionaggio per conto della Germania nazista, collaborando attivamente con i servizi segreti tedeschi. La sua vicinanza al regime, secondo Cullen, è da attribuire al fatto che la stilista francese fosse «istintivamente di destra», avendo avuto un’infanzia molto difficile, trascorsa in un convento francese dopo la morte della madre – uscì da queso stato di povertà, di cui si vergognava molto, frequentando nobili e artisti che la introdussero alle élite del tempo. Chanel, se da un lato fu raccontata come una persona generosa, leale e brillante, dall’altro manifestò più volte idee conservatrici, antisemite e omofobe.

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Chanel e i servizi segreti nazisti

Come riporta la biografia Sleeping with the Enemy: Coco Chanel's Secret War, scritta dopo che alcuni documenti francesi riservati furono resi pubblici, la stilista a seguito dell’invasione nazista della Francia si trasferì all’Hotel Ritz, nel cuore di Parigi, dove si erano insediati i più importanti militari e diplomatici nazisti. Tra questi c’era anche il barone Hans Günther von Dincklage, con cui Chanel ebbe una relazione, e che introdusse la stilista all’agente Louis de Vaufreland. Quest’ultimo, in cambio della sua collaborazione con i servizi segreti tedeschi, le garantì la liberazione di suo nipote, che dal 1940 era prigioniero in Germania. Chanel, il cui  nome in codice era Westminster, fu così assoldata dal generale Walter Schellenberg, capo dei servizi segreti tedeschi, per un’operazione chiamata "Modellhut": anche se ancora oggi non è chiaro lo scopo finale della missione, la stilista avrebbe dovuto riferire a Churchill, con cui era amica dagli anni Venti, che alcuni alcuni importanti esponenti delle SS avevano intenzione di arrendersi o collaborare. Schellenberg fu poi processato e condannato a Norimberga, ma venne rilasciato nel giro di qualche anno per motivi di salute – Chanel si fece carico delle sue spese mediche, di garantirgli un vitalizio e, quando morì, di finanziare interamente il suo funerale.

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Il post-guerra di Chanel

Una volta conclusa l’occupazione nazista della Francia, per evitare ritorsioni per aver collaborato con i tedeschi, Chanel si rifugiò in Svizzera. Negli anni seguenti, un importante funzionario dell’intelligence britannica, Malcolm Muggeridge, cercò di avviare un’inchiesta sul rapporto tra la stilista e il barone  Dincklage, che l’aveva introdotta negli ambienti nazisti, ma lo stesso Churchill intervenne e ogni possibile incriminazione finì nel vuoto. La mostra al Victoria and Albert Museum, chiamata Gabrielle Chanel. Fashion Manifesto, riporta le trascrizioni degli interrogatori di tre funzionari nazisti che indicarono Chanel come una fonte dei servizi segreti tedeschi, eppure – al contempo – mostra anche documenti ufficiali che indicano come la stilista figurasse in un elenco di 400mila persone che ebbero un ruolo attivo e comprovato nella Resistenza francese. «Le nuove prove non la scagionano. Rendono solo il quadro più complicato. Tutto quello che possiamo dire è che era coinvolta in entrambe le parti del conflitto», ha precisato Cullen. La stampa francese non perdonò mai il collaborazionismo di Chanel: quando nel 1954, a 15 anni dalla chiusura dell’azienda e a 71 anni di età, decise di presentare una nuova collezione e di rimettersi in gioco: fatta di cardigan, scolli a V, camice con fiocchi al collo e pantaloni a zampa di elefante, in Francia la linea ebbe un’accoglienza a dir poco tiepida, mentre negli Stati Uniti e in Inghilterra fu giudicata giovane e nuova.