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Ci siamo dimenticati di Snapchat

Che fine ha fatto il social che ha inventato le stories?

Ci siamo dimenticati di Snapchat Che fine ha fatto il social che ha inventato le stories?

Quando si parla del 2016, si fa sempre riferimento a come quell'anno sia stato indimenticabile per la Generazione Z: l’uscita di alcuni album diventati iconici, l'esplosione dello streetwear, la nostalgia legata ai ricordi della prima adolescenza collaborano a rendere dorato nei nostri ricordi un periodo che, sebbene sia lontano solo sei anni, sembra appartenere a un altro secolo. Parte di quel periodo erano ovviamente anche i social di riferimento in cui, oltre ai soliti Facebook e Twitter, avevano il loro vero punto di riferimento in un nome poi scomparso dalle memorie di molti: Snapchat. Fondato nel 2011 da Evan Spiegel, Bobby Murphy e Reggie Brown, l’app raggiunse il suo apice di popolarità a cavallo tra il 2015 e il 2016 distinguendosi dalla concorrenza non solo per una grafica colorata e vivace, ma anche per un aspetto tecnico che non aveva eguali. Snapchat piaceva perché era inedito, potendo contare su due feature all’epoca inedite: i filtri e gli Snap. Se rientrate in quel gruppo di persone che non ha mai creato uno snap, probabilmente siete solo troppo vecchi o troppo giovani. L’idea di poter creare un contenuto dalla durata limitata di 24 ore era qualcosa di mai visto, totalmente opposta alla visione di “un post è per sempre” usata da Facebook e Instagram e per questo capace di attrarre a sé una fetta di utenti nuova e creativa. Snapchat riuscì a spostare più in là il confine tra comunicazione e immediatezza, dando un fascino tutto nuovo ai post da social network.

Ad abbellire gli Snap, ovviamente, c'erano i filtri che con la loro estetica esageratamente divertente hanno segnato inevitabilmente l'estetica dei selfie nel 2016. Nessun social network prima di allora aveva pensato in questo senso agli autoscatti, e anche per questo l’app riuscì a diventare un vero e proprio cult capace di inquadrare i bisogni dei teenager in elementi semplici come i selfie, ma soprattutto con il desiderio e il bisogno di esserci sempre, connessi e reattivi, pronti a rispondere a uno Snap o ad "aggiungere" persone nuove. Snapchat giocava di proposito con la voglia di essere sempre raggiungibili dei più giovani, e su queste fondamenta ha costruito il suo successo, finché, come tutti i social network, ha esaurito il suo ciclo. La popolarità di Snapchat, per la verità, è durata molto poco, e la colpa non è neanche tanto sua. Finito l’effetto novità, gli Snap e i filtri non erano abbastanza per convincere gli utenti a utilizzare un’app dedicata solo a quelle feature che poco dopo, nel 2016, diventarono la nuova arma segreta di Instagram e delle sue Stories. Con un bacino d’utenti ben superiore rispetto a quello di Snapchat, Instagram ci mise poco a convincere gli utenti, dandogli una nuova forma di comunicazione capace di attrarre tutti, dagli adulti che usavano l’app in modo maldestro ai creator che in poco tempo impararono a sfruttarla per il loro tornaconto personale. A stretto giro le Stories integrarono anche i filtri, dando la possibilità agli utenti di crearne di propri mettendoli a disposizioni della community e contribuendo, nel bene e nel male, a far sbarcare il format delle Storie su qualsiasi altro social: Facebook, Twitter e addirittura Whatsapp. 


Oggi Snapchat è difficilmente definibile come il social di riferimento dei teenager, anche se forse non lo è mai stato davvero. Fenomeno passeggero, troppo avanti per essere capito, la creazione di Evan Spiegel, Bobby Murphy e Reggie Brown può contare su 300 milioni di utenti ogni giorno - negli Stati Uniti, nel 2021, il 48% degli utenti aveva tra i 15 e i 25 anni - un numero comunque abbastanza rilevante per continuare a considerare Snapchat tra i social su cui almeno i brand devono restare. Quello che conta di più attualmente è che, nonostante i dati non parlino esplicitamente di una vera e propria caduta rovinosa di Snapchat, oggi nessun teenager - almeno in Italia - dichiarerà più di preferire il social del Ghostface Chillah (questo il nome dell'iconico fantasmino nel logo) a qualsiasi altro social network. E questo sì che rischia di diventare un problema a lungo termine per la piattaforma fondata da Evan Spiegel, Reggie Brown e Bobby Murphy ormai undici anni fa.