
Addio a Cesare Paciotti Una vita dedicata al Made in Italy nelle calzature
Cesare Paciotti, designer e imprenditore italiano nel settore delle calzature, è morto ieri, 12 ottobre, a Civitanova Marche, la cittadina marchigiana dove era nato e aveva costruito la sua carriera. Aveva 69 anni, e le cause del decesso non sono state rese note, anche se si parla di un improvviso malore che lo avrebbe colpito nelle prime ore della sera. Circondato dalla famiglia e dai figli, Paciotti lascia un'eredità nel mondo della moda che si è distinta per la costanza nel promuovere l’indipendenza del proprio nome e l’artigianalità della provincia italiana, quella delle Marche nel suo caso, dove si trovava il calzaturificio di famiglia da cui iniziò la sua fortuna negli anni ‘80. Proprio il suo brand eponimo, indipendente, italiano e radicato nella tradizione artigiana, ha contribuito a consolidare l'immagine del Made in Italy come sinonimo di qualità manuale. Pur non raggiungendo i livelli di fama di altri mega-brand italiani del lusso, Paciotti è stato un nome leggendario di quella “moda pop” italiana che ebbe il suo periodo di gloria nei primi 2000, diventando col suo logo a pugnale un brand riconoscibile per intere generazioni di italiani e non e che oggi è diventato giustamente un cult.
La carriera di Cesare Paciotti
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Nato nel 1958 a Civitanova Marche, una delle capitali italiane della produzione calzaturiera grazie alla sua posizione sulla costa adriatica e alla vicinanza a distretti industriali specializzati, Paciotti crebbe in un ambiente intriso di tradizione familiare. I suoi genitori, Giuseppe e Cecilia, avevano fondato nel 1948 un piccolo laboratorio artigiano dedicato alla realizzazione di scarpe da donna su misura, interamente fatte a mano con materiali di prima qualità. Fin da bambino, Cesare assorbì i rudimenti della calzatura insieme alla sorella Paola fino a divenire un maestro calzolaio lui stesso. All'inizio degli anni '70, si iscrisse al DAMS presso l'Università di Bologna, studiando la storia dell'arte e del teatro. Durante gli studi, Paciotti iniziò a schizzare prototipi di scarpe, combinando le lezioni paterne con idee più libere e sperimentali. Fu in questi anni che maturò l'idea di un design che unisse sensualità e forza, temi che sarebbero diventati centrali nella sua futura carriera.
A metà degli anni '70, dopo aver completato gli studi e intrapreso viaggi intorno al mondo, Paciotti rientrò a Civitanova. Nel 1980, all'età di circa 24 anni, assunse la guida creativa dell'azienda di famiglia insieme alla sorella Paola, che si occupò degli aspetti operativi e manageriali. Insieme fondarono la Paciotti S.p.A. e lanciarono la prima collezione sotto il marchio Cesare Paciotti, un passo che segnò il passaggio da un laboratorio artigianale a un brand vero e proprio. La collezione iniziale mantenne l'eredità paterna, con scarpe classiche per un pubblico borghese, ma introdusse già elementi di innovazione, come forme più affusolate e materiali più lussuosi. Il successo arrivò rapidamente: brand come Versace (Paciotti conosceva personalmente Gianni), Romeo Gigli e Dolce & Gabbana gli commissionarono produzioni su misura alimentando il suo business ancora neonato.
Il boom
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— (@badestoutfit) September 22, 2024
Paciotti mantenne gran parte della manodopera ereditata dal padre, trasferendo la produzione in un nuovo stabilimento a una ventina di chilometri da Roma per questioni logistiche, ma senza snaturarne il cuore artigiano. In pochi anni raggiunse un fatturato annuo più che salutare. Fu in questo decennio che introdusse il logo iconico a forma di pugnale, inizialmente per una linea maschile. Questo simbolo, indubbiamente romantico e immaginoso, divenne presto il simbolo più riconoscibile del brand in un'epoca in cui la moda italiana riscopriva il rock e il punk. In seguito, come riporta una sua biografia online, il designer spiegò di aver scelto il pugnale perché era un simbolo molto riconoscibile ma anche perché attraverso tutte le epoche era stato uno "strumento” per gli uomini. Ben presto il logo rappresentò il brand intero.
Il punto di svolta arrivò nei primi anni '90. Nel 1990, Paciotti rivoluzionò la collezione femminile, che fino ad allora era rimasta ancorata a forme più sobrie. Basandosi su una maturità artistica consolidata, introdusse nelle sue collezioni un tacco stiletto vertiginoso, alto e riconoscibilissimo, che allargava per certi versi l’originale accezione simbolica del logo del pugnale. Nello stesso periodo il brand investì in una comunicazione internazionale, collaborando con fotografi influenti come Ellen von Unwerth, Terry Richardson, Steven Meisel e Mario Sorrenti. Prima di assestarsi sui registri della sensualità e dell’opulenza le sue campagne avevano toni decisamente tenebrosi: uno scatto stupendo della campagna SS98 ritrae il modello Franco Musso (uno dei volti del Gucci di Tom Ford, tra le altre cose) legato in una sedia tra le onde del mare; la campagna SS20 era ambientata durante un funerale; in quella FW99, firmata Terry Richardson, due ragazze con tacchi e lingerie guardano le gambe stese di un uomo sul pavimento, presumibilmente morto; nello stesso anno, quella per la linea Heroes, mostrava semplicemente un groviglio di gambe maschili e femminili tra le lenzuola; nella FW00, invece, Annie Morton era una donna che si rivestiva in fretta come dopo l’incontro con un amante.
Negli anni 2000, il successo si amplificò grazie alle celebrità. Scarpe Paciotti calzarono i piedi di star come Beyoncé, Paris Hilton, Rihanna, Alicia Keys, Anne Hathaway e Lady Gaga, che le sfoggiarono in red carpet e concerti. Modelli iconici emersero in questo periodo: dai sandali foderati di pelliccia alle pumps asimmetriche che giocavano su equilibri precari ma affascinanti. Diane Kruger le indossò ai GLAAD Awards nel 2016, mentre Lea Michele optò per un paio di décolleté neri al Billboard Music Awards del 2017. Queste apparizioni non solo portarono a un giro d'affari che sfiorava i 500 milioni di dollari annui, ma consolidarono Paciotti come designer votato all'empowerment femminile. Nel 2007, espanse l'offerta con il debutto della linea apparel Paciotti 4US, una collezione completa di abbigliamento che includeva gonne, top e accessori in pelle, mantenendo il DNA del pugnale e del tacco affilato. Questa mossa mirava a creare un ecosistema brand più ampio, estendendo il appeal dal footwear a un guardaroba coordinato.
Parallelamente, Paciotti diversificò il portafoglio con linee di gioielli e orologi, sempre sotto l'egida del lusso accessibile. Come raccontò una volta ad Harper’s Bazaar, preferiva le ore tarde della notte per creare, quando l'ispirazione fluiva libera, lontana dalle distrazioni mattutine. Per tutta la sua carriera mantenne un approccio eclettico, mescolando artigianato con dettagli glam-rock e volumi puri. Il brand fu celebrato dalla stampa internazionale per la sua fedeltà al Made in Italy, e Paciotti stesso fu visto come un "vero artigiano" che aveva elevato un distretto provinciale a palcoscenico globale.
Dal 2010 in poi, la direzione creativa passò gradualmente a un collettivo eterogeneo, che reinterpretò l'eredità in chiave più inclusiva, con temi come "In der Mitte" (per design genderless e non-binari) e "Hard Deco" (un mix di punk storico e vibrazioni geometriche elettroniche). Negli ultimi anni, poi, le sue presentazioni alla Milan Fashion Week hanno riflesso questo cambiamento attirando un pubblico sempre più giovane che, con il ritorno dell’estetica Y2K, ha riacceso l’interesse per il brand che ora si prepara a una nuova fase. L'eredità di Cesare Paciotti risiede nella capacità di trasformare un mestiere locale in un'icona globale: il suo brand continua a operare da Civitanova, custode di una lunga tradizione familiare, ricordandoci che nella moda, come nella vita, il vero impatto deriva dalla persistenza più che dal clamore.















































