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Ora che i diamanti si coltivano nel deserto

L'Arabia Saudita entra a gamba tesa sul mercato dei diamanti da laboratorio

Ora che i diamanti si coltivano nel deserto L'Arabia Saudita entra a gamba tesa sul mercato dei diamanti da laboratorio

Da quando l’Unione Europea e gli altri paesi del G7 hanno deciso di porre un divieto sui diamanti importati dalla Russia, il mercato delle pietre preziose si è trovato di fronte a nuovi problemi. L’ufficializzazione del ban non rappresenta solo un motivo di rallentamento e ribaltamento dell’industria dei diamanti, che fino ad adesso poggiava principalmente su Russia e Belgio, ma anche una questione che pone l’accento sull’importanza della tracciabilità e della trasparenza, fino ad adesso sottovalutate. È in questo quadro complicato che si incastra la produzione di diamanti da laboratorio, una tipologia di pietra preziosa prodotta naturalmente, ma per mano dell’uomo, che ha già debuttato tra i brand di lusso con Tiffany e Prada. L'economicità che permette la produzione dei diamanti da laboratorio, che paragonata all’estrazione a centinaia di metri sotto terra in Russia e in Africa può costare fino all’80% in meno, si affianca alla qualità etico-sostenibile del prodotto: mentre l’industria mineraria ha un impatto negativo sia sul territorio che sulle persone coinvolti, la coltivazione salvaguarda sia i lavoratori che l’ambiente. L’imprenditore Mohamed Sabeg ha intravisto le potenzialità dei diamanti da laboratorio, costruendo nel deserto dell'Arabia Saudita il primo centro di pietre preziose lab-grown del Paese, 2DOT4 Diamonds

Per creare un diamante in laboratorio occorre riprodurre tutti gli agenti naturali esterni che solitamente svolgono un ruolo decisivo nella sua formazione, ossia il calore, la pressione e i gas. Tutto parte da un diamante chiamato “seme” e grande fino a 0.6 millimetri che viene sottoposto a idrogeno, metano, ossigeno e argon, e a una quantità di pressione pari a due terzi della punta del Monte Everest, ha spiegato Sabeg in un’intervista alla CNN. Il diamante comincia a crescere di volume solo dopo essere entrato in contatto con una fonte di calore pari a mille gradi centigradi. È possibile scegliere a quale velocità produrre la pietra, ha raccontato Sabeg, ma come in tutte le cose, più tempo richiede, migliore sarà la qualità del prodotto finale. 

Malgrado per l’Arabia Saudita l’apertura del primo centro di diamanti cresciuti in laboratorio rappresenti un’opportunità di crescita economica unica nel suo genere, specialmente in un periodo costellato da scosse all'intero mercato, al momento dovrà fare i conti con due potenze ben inserite nel settore dei diamanti “man made”, l’India e la Cina, che però si occupano più della produzione di strumenti per il taglio di cemento e di metalli e meno di gioielleria. Con la crescita della domanda per pietre create con un occhio di riguardo per la sostenibilità e la trasparenza, e la cancellazione dei cosiddetti “blood diamond” dalle capitali europee, l’ascesa al potere dell’imprenditore arabo Sabeg comincia adesso, e parte proprio dal deserto dove coltiva i suoi nuovi gioielli.