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«Creare semplicità con complessità»: intervista a Songzio

In occasione del suo show a Parigi, il designer coreano racconta sé stesso e il suo brand

«Creare semplicità con complessità»: intervista a Songzio In occasione del suo show a Parigi, il designer coreano racconta sé stesso e il suo brand

C’è molta responsabilità nell’essere il fondatore e la forza creativa del brand di moda più grande di tutta la Corea del Sud – specialmente se il brand di cui parliamo, e cioè Songzio, è anche uno dei più storici presenti oggi nel paese. Jay Songzio, il suo fondatore, presidente e direttore creativo, però ha una visione molto chiara, anche dopo tanti anni: la sua filosofia di design consiste nel «rimanere fedele a me stesso e creare uno stile che mi rifletta e che, dunque, sia reale, naturale e autentico». Ma c’è di più: il brand principale dell’impero di Jay Songzio, quello che porta il suo nome e che vediamo sulle passerelle di Londra e Parigi, non è un semplice brand commerciale ma può essere descritto come avant-garde per il suo approccio così spiccatamente artistico al lavoro della sartoria – un approccio che nulla concede a trend di mercato o al fascino superficiale della fama fine a sé stessa per «guardare al di là di convenzioni e dei trend e provare a creare qualcosa di esclusivamente nostro». E dato che lo spirito creativo del brand non si adatta agli schemi imposti dall’industria, nuove ispirazioni o idee sono il frutto di un processo interiore, un ragionamento che tocca ogni volta le ragioni stesse del design: «Ogni anno e ogni stagione, scaviamo a fondo dentro noi stessi per esprimere, nella maniera più pura e creativa, chi siamo e la nostra idea di vera bellezza». Il risultato finale è l’apparente ossimoro di una «semplicità con complessità» o, in altre parole, una «figura audace, dai dettagli meticolosamente eseguiti».

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Nemmeno il passare del tempo e una carriera che si estende su quattro diversi decenni sono riusciti ad alterare lo spirito fondamentale e il profondo senso artistico della creazione secondo Jay Songzio. Quando gli domandiamo cosa significhi essere un designer avant-garde nel 2023 il designer dice con la massima serenità che «essere un brand avant-garde è lo stesso ogni anno» ma anche che a distanza di così tanto tempo dagli esordi, dopo che tanto è stato costruito, «molto si è evoluto, anche se per noi ogni anno è come ogni altro anno, e cioè un nuovo inizio». L’idea è assai affascinante: perché ispirarsi alla finitezza di un mondo esterno ricco ma esauribile quando dentro di noi ci sono universi infiniti? È proprio questo l’antidoto all’obsolescenza, il cui fulcro, come punto di connessione tra ideale e reale, si trova in un’altra disciplina artistica: la pittura. Come reitera Jay Songzio, parlando sempre al plurale, «cerchiamo sempre di non farci ispirare o influenzare da fattori, immagini o idee esterne, ma vogliamo piuttosto trovare la prossima collezione attraverso l'auto-riflessione, cercando introspettivamente di creare qualcosa di nuovo». Fase iniziale di ogni nuova collezione, dunque, è il dipingere ovvero «il processo di visualizzare questo processo». Tutto nasce come dipinto, nell’astrazione di forme e colori, per poi tradursi secondo un linguaggio nuovo, più razionale e strutturato se vogliamo, passando dalla vernice alla stoffa. «Dopo tanti anni e tante stagioni», confessa il designer, «ricordo le vecchie collezioni più dai dipinti che dai vestiti».

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Il passaggio dall’astrazione alla razionalizzazione diventa una sorta di cascata quando si esce dai confini del brand ammiraglio, Songzio, e si passa alle label che dal suo ceppo si ramificano successivamente, le roccaforti che mantengono in piedi l’intera struttura di quella che è, ricordiamolo, la principale azienda di moda in tutto il Sud Corea. «La priorità è sempre il brand con cui sfiliamo perché tutti gli altri marchi sono influenzati dalle sue collezioni. Il processo generale è più o meno lo stesso, ma il focus è diverso per ogni brand. Per Songzio, si tratta esclusivamente di esprimere le nostre idee e concezioni nel modo più creativo e originale possibile. Per Songzio Homme si tratta di reinterpretare la collezione in un abbigliamento per tutti i giorni. Zzero vuole creare una collezione divertente e facile da indossare, sia per gli uomini che per le donne. Zio Songzio, invece, crea una collezione più formale e sartoriale. Ogni marchio ha caratteristiche, team e obiettivi diversi, e tutti mi entusiasmano; non ci si annoia mai». È proprio attraverso questo approccio che il brand si è evoluto «in maniere infinite», come spiega il suo fondatore. «La moda coreana moderna e la moda di lusso, soprattutto quella maschile, erano un territorio inesplorato quando il brand è nato. Abbiamo iniziato vestendo un numero molto ristretto di persone, non necessariamente perché eravamo selettivi con i nostri clienti, ma perché solo pochi erano disposti a seguire questo stile». Ma dopo gli esordi, nel 1993, con l’accelerazione della media culture nei primi 2000, il lavoro del brand venne ripagato, dato che proprio Songzio si ritrovò a essere il principale tra due o tre marchi nati in Sud Corea «dove gli uomini sofisticati e alla moda, spesso celebrità o leader nel proprio ambito, potevano venire a comprare i propri abiti».

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Il discorso portato avanti da Songzio con il suo brand, poi, si va a iscrivere nel quadro più ampio della cultura sud-coreana di oggi. Quando il brand era stato fondato il paese e il suo panorama culturale erano diversi – ma la principale caratteristica che il designer riconosce nella cultura del proprio paese è la capacità di evolversi e adattarsi a rapide velocità. Oggi le cose sono molto diverse dagli esordi: «Le persone, soprattutto le giovani generazioni, sono diventate molto aperte all'espressione di sé e sono disposte a sperimentare di più. Però, forse perché siamo troppo sensibili alle novità, questa espressione di sé sembra riflettere più i trend che lo stile individuale. Questo è perché siamo sempre stati abituati ad adottare la cultura e l'estetica occidentali», spiega Jay Songzio. Ma le cose sono pronte per cambiare: «Stiamo attraversando una sorta di periodo di transizione. Innumerevoli brand e designer esordienti appaiono e scompaiono, ma pochi si distinguono. Credo che la scena della moda coreana stia ancora trovando la sua individualità». In fondo a questa ricerca, però, c’è la ricerca di un’individualità che è anche identità collettiva della cultura coreana stessa – ricerca che, paradossalmente, passa proprio attraverso il confronto della moda del paese con quella del resto del mondo che sta avvenendo in questi anni: «Con il riconoscimento e l'apprezzamento della cultura coreana a livello mondiale, credo che arriveremo ad apprezzare la nostra estetica coreana e ci esprimeremo presto in modi più unici».

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Non bisogna pensare, però, che tutta questa introspezione e riflessione rappresenti un ripiegamento su se stessi. È vero che tanti brand avant-garde (specialmente in Europa) tendono a crogiolarsi nella propria nicchia culturale, sdegnando il contatto con il mondo esterno e lo stesso advertising – ma con tutta la sua carica artistica, la sua attenzione al dettaglio e anche le sue complessità concettuali Songzio rimane un brand vitale, che vuole comunicare e raccontare se stesso ma soprattutto che vuole interfacciarsi con il mondo intero. «Negli ultimi 30 anni siamo diventati un marchio di grandi dimensioni in Corea ma, come dicevo, questo è solo l'inizio», prosegue Jay Songzio. «Con tutto quello che siamo riusciti a realizzare in patria e con il costante desiderio di auto-evolverci, cercheremo di espandere il brand a livello internazionale aggressivamente. La Paris Fashion Week è solo il punto di partenza». In effetti il brand ha presentato tra Parigi e Londra con cadenza regolare negli ultimi anni, facendosi sempre più strada nel mercato occidentale (i suoi capi sono disponibili su Farfetch, ad esempio) ma questo sembra dover essere l’anno della svolta, quello in cui Jay Songzio diventerà una presenza fissa sull’orizzonte della moda occidentale.