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Come si vestono le serie tv italiane

Un po’ castigate e spesso senza brand

Come si vestono le serie tv italiane Un po’ castigate e spesso senza brand
'Suburra'
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'Skam Italia'
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'Gomorra'
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'Summertime'
'Baby'
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Il lavoro del costumista è molto delicato: lo stile di un personaggio, sia al cinema che in tv, è importantissimo per raccontare qualcosa della sua storia. Negli ultimi anni, alcune serie hanno proprio dettato moda: titoli come Love e Top Boy su Netflix, Fleabag su Prime Video, Euphoria per HBO fino all'ultima Normal People su Hulu hanno raccontato i Millennial con estrema precisione anche grazie a una cura particolare riservata ai costumi (la hoodie che indossa Zendaya in Euphoria di recente è stata messa all'asta sul sito della A24). 

Se si pensa all'Italia, invece, viene un po’ da ridere, perché tutti i personaggi si vestono sempre uguale: castigati e dal sapor democristiano. Le serie tv italiane soffrono tutte dello stesso difetto: per quanto provino a replicare la realtà, spesso non ci riescono e finiscono per rappresentare una versione sbiadita della realtà. Soprattutto per quanto riguarda i teenager, nelle serie italiane si vede una generazione vestita sempre uguale, che perde il gusto per la moda e la passione per i brand, che si tratti di una tee di Supreme o di un paio di Air Max. In effetti, i grandi assenti sono proprio i brand, come se non esistessero anche nell’armadio delle persone più comuni. Ma come insegna Favolacce dei fratelli D’Innocenzo, anche il più ottuso padre di provincia ha le polo di Fred Perry.

Di recente c'è da dire che la produzione di serie TV in Italia ha subito un’impennata: Gomorra – La serie (Sky) è stata la prima ad adottare accorgimenti tipici della serialità americana, seguita dallo sbarco di Netflix. Da qui in avanti, la serialità in Italia ha cambiato volto, avvicinandosi al gusto statunitense e al "modello Game of Thrones" (e in generale HBO). Insieme a questa “nuova era” è arrivato un nuovo pubblico, più ambizioso anche sull’abbigliamento dei suoi beniamini.

Parlando di costumi, Gomorra – La serie ci ha provato. Non era facile competere con il film del 2008: Matteo Garrone è stato impeccabile nei più piccoli dettagli, persino nella scelta delle mutande dei due ragazzi che giocano con le mitragliette. La serie, però, ha il solito difetto: Ciro (Marco D’amore), Genny (Salvatore Esposito), Don Pietro Savastano (Fortunato Cerlino) e Donna Imma (Maria Pia Calzone) si vestono più o meno come si può immaginare, con giubbotti di pelle, t-shirt un po’ cafone e pellicce leopardate, ma dove sono le felpe in acetato adidas? Perché nessuno indossa un paio di Nike? Persino la boss che si chiama "Scianel", di Chanel non ne vede nemmeno l'ombra.

Qualche anno dopo Suburra, la prima serie di Netflix Italia, ha provato a correggere il tiro: la ricerca sullo stile è raffinata e insieme alla chioma ossigenata di Alessandro Borghi azzarda alcuni capi di Marcelo Burlon e IUTER, indossati da Spadino (Giacomo Ferrara). Fatta eccezione per questi e per alcune giacche simil-Versace e Fausto Puglisi, però, di originale si vede ben poco.

'Suburra'
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Diverso è il caso di Baby, la serie che ha lanciato Alice Pagani (di recente insieme a Nicholas Hoult in una campaign di Armani) e Benedetta Porcaroli (protagonista dell’ultimo videoclip di Achille Lauro e arruolata nell’esercito di Alessandro Michele). In Baby la moda entra di prepotenza quando le protagoniste sanciscono la loro amicizia con una tee di Fendi. Finalmente arrivano i brand: i protagonisti sono tutti rampolli dell’élite romana (i famosi “pariolini”) e vestono MSGM, giacche a vento North Face e sportswear adidas, ma soprattutto gli zaini Eastpak, immancabili per ogni studente italiano. Nonostante questa selezione "corretta", la serie inciampa quando deve vestire i protagonisti: la grande capacità dei "ragazzi di oggi" infatti è quella di abbinare le Air Force a una felpa di Gucci, andare a scuola contemporaneamente con l'Eastpak e il marsupio di Prada. Un trend che, ahimè, Baby ha perso completamente di vista.

Anche Summertime introduce i brand, ma commette un errore: tutti i protagonisti sembrano vestiti dalla mamma prima di andare all’asilo con colori pastello, t-shirt a righe e zainetti in stile Invicta. Tolto un terribile product placement Vans e qualche t-shirt Lacoste, il resto è senza senso. Persino il bullo è ripulito. Non ci si riesce a spiegare, tra l’altro, perché nella stessa scena alcuni personaggi siano in costume, altri in giubbotto di pelle o giacca cerata.

'Baby'
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'Summertime'
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Nonostante tanti altri meriti, anche Skam Italia, la versione italiana del format norvegese che ha conquistato praticamente chiunque, raggiunge scarsi risultati: d'altronde, le prime tre stagioni sono state prodotte davvero con due soldi (Netflix era lontana). I brand spariscono di nuovo: ogni tanto s’intravede un paio di Vans, ma quando si pensa di aver scovato una tuta adidas si rimane delusi nello scoprire che ha solo due strisce. Tutti i personaggi indossano felpe anonime e vestitini di fast fashion. Per fortuna, il realismo che manca nei costumi viene recuperato dalla messa in scena: la sequenza in cui Eva “corregge” i suoi collant con lo smalto è notevole.

'Skam Italia'
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Le logiche dietro ai costumi in una serie tv in Italia sono abbastanza limitanti. La presenza di un brand è spesso legata a uno sponsor e quando manca la scelta ricade quasi sempre su un archivio di vestiti generici di fast fashion a cui è stata tolta l’etichetta. La tv generalista poi ha moltissime limitazioni e spesso i costumisti scelgono capi senza loghi per evitare ripercussioni fastidiose. La conseguenza è “appiattire” il personaggio, ma per le produzioni va bene così, anche in virtù di una certa edulcorazione per non “scandalizzare” il pubblico della tv.

"La premessa fondamentale è che noi costumisti da anni non abbiamo più la possibilità di collaborare con i principali brand di moda per importanti e insormontabili limiti contrattuali", ha dichiarato Isabelle Caillaud, rappresentante della A.S.C. (Associazione Scenografi Costumisti ed Arredatori Italiana); "Nella maggioranza dei casi, noi non possiamo assolutamente proporre capi con loghi evidenti e nemmeno scritte associabili ai brand, pena, in qualche caso la contraffazione (di fatto) di tutto ciò che risulti evidente in post-produzione (con annesso un costo extra per la produzione). In più, i budget a nostra disposizione ci impediscono spesso di acquistare proprio quei capi must, magari necessari per raccontare un ambiente sociale. Con particolare riferimento alle serie a tema teen, la richiesta che ci viene fatta è di frequente quella di sfumare, di attutire tutti gli elementi di trasgressione più rappresentativi."

Negli ultimi tempi anche in Italia c'è stato anche chi ha rinunciato al product placement per una rappresentazione realista: Ultras di Francesco Lettieri, per esempio, è pieno di loghi riconoscibili, nessuno dei quali è sponsorizzato. Il discorso potrebbe essere allora diverso per Netflix, se non fosse che tutte le produzioni di Netflix Italia sono co-produzioni, distribuite in tutto il mondo dalla piattaforma ma affidate a case italiane (spesso Cattleya). Non importa, quindi, che Benedetta Porcaroli sia nell'esercito di Alessandro Michele: il suo staff può presentare alcuni outfit Gucci, ma se non vengono accettati non c’è niente da fare.

"È singolare che proprio Netflix, oltre a Rai e Mediaset, pongano condizioni tra le più restrittive senza stanziare, per i progetti italiani, gli stessi budget delle serie prodotte in altri Paesi", ha continuato Caillaud; "Ovviamente tutte queste limitazioni hanno prodotto una decisa diminuzione d’interesse da parte dei marchi moda nei confronti delle serie italiane, non ricevendo granché come riscontro in cambio delle loro creazioni, spesso costose."

In generale, il lavoro del costumista è molto più libero al cinema che in televisione. È italiana, infatti, una delle costumiste che ha vinto più Oscar®: Milena Canonero, premiata per il suo lavoro in film come Barry Lindon di Stanley Kubrick, Marie Antoinette di Sofia Coppola e Grand Budapest Hotel di Wes Anderson. La serialità, purtroppo, è ancora lontana da questi risultati. Per digerire la delusione, per fortuna arriva Netflix a tirare su il morale: da venerdì 15 maggio è disponibile sulla piattaforma la quarta stagione di Skam Italia. Chissà, a questo giro, che scarpe indosseranno.