
Cosa succede veramente sul set di un porno etico Per capirlo, abbiamo assistito alle riprese del nuovo film di Erika Lust
Il porno è un po’ come la Coca-Cola: tutti lo consumano ma nessuno saprebbe dire con precisione come è fatto. In effetti, quando si parla del set di un porno l’immaginario comune sembra ancora legato alle sordide atmosfere anni ’70 dei film di Gerard Damiano o di Boogie Nights. Un tipo di luogo comune che, oggi case di produzione moderne stanno del tutto capovolgendo. La principale di queste è ERIKALUST, che è anche il nome d’arte della regista, produttrice e sceneggiatrice che la fondò vent’anni fa. Erika Lust è la creatrice di un nuovo tipo di porno: il porno etico. Ma cosa significa di preciso “porno etico”? Lei stessa ce l’ha spiegato qualche tempo fa in un’intervista uscita nella digital cover n° 21 Future Porn – ma si sa che una cosa è la teoria e ben altra è la pratica.
E proprio per farci vedere (e mostrare al pubblico) cosa significa in termini concreti produrre un porno secondo precisi standard di correttezza, la cineasta ci ha invitato sul set del nuovo film che sta producendo, diretto dall’italo-australiana Gianna Mazzeo in Sardegna. Il setting è stato un casale d’epoca di recente trasformato dalla curatrice d’arte Constance van Berckel in residenza artistica interdisciplinare con il nome di SOPRA SOTTO. Un’occasione speciale perché le riprese del film costituivano una “prima volta” non solo per chi sta scrivendo queste parole, ma anche per la regista stessa, la cui esperienza finora ha riguardato videoclip e pubblicità; e persino per una delle performer, Beatrice Segreti, per cui questo sarebbe stato il primo vero film dopo una carriera di grande successo su OnlyFans.
Come si fa il porno etico?
«Io non ho scelto di fare questo mestiere: mi ci sono ritrovata», ha detto Beatrice Segreti poco prima di entrare sul set. «Mi sono sempre sentita una persona molto esibizionista, carica di erotismo. Mi piace il sesso, ma non il sesso esplicito, fine a se stesso. Mi piace la condivisione, conoscere le persone, ritrovarmi con loro in intimità, che siano donne o uomini». Segreti, come dicevamo, viene dal mondo di OnlyFans. Un mondo che le ha sempre consentito un certo grado di autodeterminazione e dove «è tutto molto più spontaneo ma anche più amatoriale anche se allo stesso tempo ovviamente ci sono delle linee guida da seguire per rendere tutto adatto a essere guardato».
Qui Segreti è presente solo in veste di perfomer: non deve occuparsi, come di consueto, di telecamere, trucco e “regia”. Per il suo debutto sulla scena professionale vero e proprio, Segreti ha cercato «una produzione che fosse un pochino più conforme al mio modo di essere, di lavorare e alla mia mentalità» notando che «il modo di avere cura verso le perfomer manca ancora tantissimo nel mondo della produzione». Proprio questo tipo di tatto nella gestione delle riprese «si rivede nel film stesso ed è completamente diverso perché le donne non sono solo un oggetto di intrattenimento ma abbiamo tutta una parte sensoriale da curare, abbiamo delle emozioni». Ma qual è stata nel concreto l’esperienza di Segreti su un set “etico”?
«Prima di arrivare qui oggi ci sono state diverse videochiamate e anche dei fogli da compilare in cui chiedevano a me se avessi richieste o esigenze particolari», ci ha raccontato Segreti. «C'era un'attenzione veramente molto umana e l'ho sentita tantissimo. Era un continuo chiedermi se mi va bene. E c'era una domanda che mi è piaciuta tantissimo che mi è stata fatta tra le prime: “Come dovremmo comportarci se tu fossi in una situazione di disagio? Dicci pure tutto”. E quindi gli ho spiegato: secondo me sarebbe utile fermarci, parlare un secondo, ho bisogno proprio della persona umana che venga e si confronti con me».
Prima ancora di arrivare sul set, poi, «abbiamo avuto una piccola conversazione, ci siamo un pochino guardate». Per Segreti c’è sempre «una barriera sessuale da abbattere prima, non sai come ti devi comportare con la persona che hai davanti, non la conosci ancora e quindi sono sempre un pochino tipo restia ad iniziare». Per questo proprio prima delle riprese le performer si riuniscono con la intimacy coordinator (sul cui ruolo torneremo tra poco) per avere la cosiddetta “sex talk” in cui si discute liberamente di cosa si vuole fare o meno. «Una volta sorpassata quella barriera per me è una questione di mood, di sensazioni». Il che è essenziale perché «è bellissimo se senti di aver appagato il tuo partner e anche il resto della crew e tutti gli altri. Una bellissima sensazione».
Sui set di Erika Lust la priorità è il piacere dei perfomer stessi: l’aspetto etico della produzione sta proprio nel non porre condizioni né obblighi. «Io lo faccio per il mio piacere», ha spiegato Segreti, «non è solo una questione di soldi». Un focus sull’aspetto umano della produzione che fa sì che «il prodotto sia completamente diverso, l'estetica sia diversa. C'è un tocco d'arte ma, al di là dell'immagine, la stessa cura della persona e quindi delle performance all'interno dei film è totalmente diversa». L’idea di base è che «se si cura moltissimo questo aspetto della persona non solo si crea un prodotto che che è autentico, ma si sta tutti meglio», conclude Segreti per cui è molto importante non essere «solo l’oggetto del piacere delle persone che ci guarderanno» ma una protagonista di quel piacere e non solo in senso scenico. Ma per garantire che tutto ciò avvenga si rende essenziale un altro ruolo sul set: l’intimacy coordinator.
Il lavoro di un intimacy coordinator
«Il mio lavoro», scherza Anarella Martinez, intimacy coordinator sui set di ERIKALUST, «è quello di fare contenti tutti». Martinez ha appena trascorso una mattinata intensa: dopo aver assistito alle riprese più narrative del film, ha radunato le perfomer e la regista per un’ultima discussione sulle loro preferenze per la scena clou del film e, infine, durante le riprese stesse ha fatto avanti e indietro tra la postazione della regia e la scena vera e propria per confrontarsi con le perfomer e trasmettere indicazioni della regia. Qual è il segreto del suo lavoro? «La comunicazione», risponde senza esitare. «Creare uno spazio sicuro e un clima di fiducia».
Martinez ha un’esperienza notevole. Lavora come intimacy coordinator e producer per ERIKALUST, ha fondato la piattaforma Sex School Hub per promuovere l’educazione sessuale di performer, creativi e sex worker e ha un passato nell’organizzazione di festival. La sua specialità è la mediazione, in ogni sua forma. «Essere un intimacy coordinator è una questione di educazione sessuale», spiega in una pausa tra le riprese. «Serve saper comprendere il trauma. Ma anche leggere le persone. Bisogna essere empatici, presenti. Bisogna essere in grado di mettere gli altri e i loro sentimenti al primo posto».
Sui set di Erika Lust non ci sono script prestabiliti per le scene di sesso: si delineano solo l'inizio e la necessità di un determinato minutaggio per le inquadrature più esplicite. Martinez ci ha raccontato che i performer provenienti dal porno mainstream sono spesso confusi per l'assenza di script dettagliati. Ma nel mondo del porno etico tutto può essere sempre ridiscusso: «In fin dei conti, il consenso è fluido», spiega Martinez. «Penso che i desideri cambino: a volte vuoi qualcosa, a volte no — a volte non lo vuoi mai, a volte sì».
Quando subentra la scena di sesso, l'intero staff si ritira, lasciando sul set i cameramen e i tecnici del suono. «Prima di arrivare sul set, ci incontriamo online», spiega Martinez. «Poi ci confrontiamo con loro. Il regista spiega qual è il tono del film e quale sarà quello della scena di sesso. Poi ci risentiamo per verificare che tutto vada bene. Possono confermare o meno la loro disponibilità. Da lì chiediamo cosa si sentono di fare e quali sono i loro grandi “no” e i loro grandi “sì”. Poi, quando arriviamo sul set, rivediamo di nuovo tutto: valutiamo l’atmosfera, perché abbiamo già lavorato un po’ insieme, quindi qualcosa potrebbe essere cambiato».
Le attrici hanno previamente discusso, ma una volta che la camera è accesa durante la ripresa, possono definire e concordare le azioni in tempo reale. Queste sequenze in cui si parlano come avverrebbe nella vita vera vengono di solito tenute nel montaggio finale, poiché integrano organicamente consenso e intrattenimento. «Prima di girare pianifichiamo anche alcuni movimenti», spiega Martinez. «Sai, del tipo: “questo potrebbe rendere bene in camera”, oppure “potremmo usare questa posizione”, o semplicemente ne parliamo. Ma lasciamo loro libertà. È come dire: vogliamo che proviate piacere, vogliamo che la scena risulti il più autentica possibile». I momenti condivisi tra le attrici, dalle risate alle parole scambiate, costituiscono essi stessi parte integrante dello show.
La regista e la intimacy coordinator seguono le operazioni da un monitor posizionato alla postazione di regia, mantenendosi a una distanza maggiore dalla linea visiva per non “affollare” la scena con un eccesso di presenze e per concedere alle attrici lo spazio necessario. Dalla postazione, la regista impartisce indicazioni al cameraman tramite auricolare. «La differenza sta nel come lavoriamo. Seguiamo relativamente una storia ma i perfomer sono liberi», spiega Martinez. «Siamo qui per guidarli. Nelle produzioni mainstream, invece, ti dicono cosa devi fare». Il che lascia spazio all’improvvisazione: in un dato momento, la regista intendeva avvicinarsi per dare un'indicazione alle performer, ma si era venuta a creare una dinamica particolarmente intrigante, e dunque ha deciso di lasciarle fare da sé. Il che ci porta all’ultimo aspetto della nostra visita sul set: come si fa a dirigere un porno che non ha solo ambizioni etiche ma anche estetiche?
Come si diventa regista di porno?
«Non volevo intervenire troppo nella scena di sesso», ci ha detto la regista Gianna Mazzeo, subito dopo aver concluso le riprese del suo primo prono. «Si può impostare il tono, si può indicare certi momenti che vuoi includere nella scena. Ma voglio che gli interpreti facciano ciò che sentono di fare, che sia il piacere a guidarli». In effetti, continua a dirci, «la parte più difficile è capire quanto io possa dirigere e quanto affidare a loro». Durante la scena di sesso che era stata girata in mattinata, Mazzeo si chiedeva «quand’è che devo intervenire? Quand’è che le sto interrompendo e quando invece sto contribuendo a dare forma alla scena?»
Tutte domande oneste e noi possiamo dire, per averlo visto coi nostri occhi, che dopo aver discusso con le performer e con l'intimacy coordinator durante il sex talk, Mazzeo ha davvero lasciato che le protagoniste si facessero trasportare, “interrompendo” poco o nulla lo svolgimento delle riprese. «La parte più importante per me», ha detto Mazzeo, «è stata scoprire cosa piacesse al cast. Piuttosto che inventare tutte queste idee su cosa significhi il piacere per me o cercare di imporre il mio sguardo, penso che il modo giusto di catturare il piacere sia creare una situazione sicura e confortevole in cui le persone possano godersi il momento e trovare la loro chimica».
Il che non significa, certo, che Mazzeo non abbia impresso la propria impronta sulla storia, anzi. Per metà italiana, la regista ha infatti «ricreato per ogni scena un momento di un vecchio film italiano» e lo stesso soggetto del film è stato ispirato da Parthenope di Sorrentino. C’è un’inquadratura che ricorda il bagno nella fontana de La Dolce Vita, un’altra scena in cui la protagonista stende dei panni è ripresa da Malena mentre la Sophia Loren di Ieri, oggi e domani. «Volevo che Beatrice iniziasse la scena del sesso, perché volevo che la donna che di solito è osservata da lontano e che è passiva nei film italiani emergesse e fosse dominante. Quella è l'unica parte che ho modellato. Inoltre, c'era l'inquadratura durante la scena del sesso in cui Beatrice appoggia la gamba sulla sedia, lecca il palmo della mano e tira giù la calza», ha spiegato.
E quando le abbiamo domandato quale fosse l’obiettivo che si era prefissata con questo film, Mazzeo ha detto di voler «cercare una storia». La ricerca di una narrativa, di una dinamica psicologica il cui scopo, al di là delle singole scelte artistiche, riuscisse a «invertire o buttare via lo sguardo maschile che si vede sempre nel vecchio cinema italiano, quegli uomini che guardano donne da lontano, spesso in situazioni domestiche». Qui, invece, «questi stereotipi e queste immagini, come una donna che stende il bucato, una che raccoglie pomodori» venivano rifunzionalizzate «in un contesto lesbico». La storia riguarda insomma la creazione di una fantasia in cui la protagonista «si assume la responsabilità del suo piacere, che va e cerca qualunque cosa sia ciò che vuole. Per questo ho voluto inquadrature ampie, per vedere sia l’azione che la risposta, le espressioni facciali, il godimento. È lì che risiede l'erotismo, nello sfondo e nella storia. Non nel close-up di una vagina».










































































