
Temu and the end of the global low-cost era
The Chinese fast retail giant announced a nearly 50 per cent drop in sales after Trump-imposed duties
May 28th, 2025
Forse si è parlato così tanto dei dazi di Trump, della guerra economica contro la Cina e degli effetti delle tariffe sull’industria della moda che tutto è sembrato, per un certo periodo, un concetto quasi astratto, qualcosa di “lontano”. Anche perché lo stesso Presidente degli Stati Uniti cambia con estrema rapidità i termini del suo nuovo protezionismo, rendendo difficile tenere il passo con modifiche e annunci. Eppure, dopo mesi di pressioni commerciali e continui attacchi al governo e alle industrie cinesi, i primi risultati tangibili delle politiche sinofobiche di Trump iniziano a emergere con forza. Secondo quanto riportato dalla BBC, i risultati finanziari di PDD Holdings (cosietà madre di Temu) hanno confermato un un crollo del 47% nei profitti del primo trimestre dell’anno, toccando quota 14,74 miliardi di yuan (circa 2,05 miliardi di dollari). Le azioni, quotate a Wall Street, sono scese di oltre il 13% in una sola giornata. Secondo il presidente del gruppo Chen Lei, la responsabilità è da attribuire a un «radicale cambiamento nelle politiche esterne», in particolare alle nuove tariffe imposte dagli Stati Uniti. Il colpo di grazia è arrivato con la fine dell’esenzione “de minimis”, una norma che fino a poche settimane fa permetteva l’ingresso negli Stati Uniti di pacchi con valore inferiore agli 800 dollari senza l’applicazione di dazi doganali. Una scappatoia fondamentale per piattaforme come Temu e Shein, che potevano spedire migliaia di articoli low-cost direttamente ai consumatori americani, evitando costi aggiuntivi. Ma l’amministrazione Trump, nel tentativo di frenare l’ingresso incontrollato di beni cinesi a basso costo, ha eliminato l’esenzione a inizio maggio, imponendo dazi fino al 120% su queste importazioni. Il risultato? Temu ha annunciato ad inizio mese che smetterà di spedire prodotti dalla Cina direttamente ai clienti statunitensi.
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Sembra proprio che il business per Temu sia in crisi su ogni fronte. Già lo scorso anno, PDD Holdings aveva lanciato diversi segnali d’allarme sullo stato di salute, soprattutto in patria. Sebbene Temu sia riuscita ad affermarsi rapidamente in Occidente come principale concorrente di Shein e Amazon, in Cina la situazione è ben diversa. L’e-commerce non ha ottenuto la trazione sperata e il titolo azionario ha subito un calo marcato, penalizzato dalla percezione di scarsa redditività nel mercato interno. Il problema, secondo la stessa società, è duplice, da un lato la concorrenza spietata di giganti come Alibaba dall’altro una carenza di competenze manageriali. A pesare, inoltre, è la crisi della domanda interna dei consumatori cinesi che provati da mesi di incertezza economica, hanno tagliato la spesa, rendendo più difficile sostenere le metriche di crescita. Già nel secondo trimestre del 2024, PDD Holdings aveva messo in guardia rispetto al rallentamento dell’economia cinese, e i dati confermano il trend: nel trimestre fiscale conclusosi a settembre, i ricavi si sono fermati a 99,4 miliardi di yuan (circa 13,1 miliardi di euro), al di sotto delle stime degli analisti che prevedevano 102,8 miliardi di yuan (13,5 miliardi di euro). Nel frattempo, anche l’Europa ha iniziato a muoversi contro la circolazione incontrollata di prodotti low-cost, lo scorso mese infatti la Commissione Europea ha proposto una tariffa fissa di due euro su ogni pacco di piccolo valore spedito direttamente ai consumatori, mentre nel Regno Unito il governo ha annunciato una revisione del regime doganale per questi articoli, a seguito delle pressioni dei retailer locali. È arrivata finalmente la fine del fast commerce?