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Essere un nomade digitale è più difficile di quanto sembri

Uno stile di vita che non è affatto per tutti

Essere un nomade digitale è più difficile di quanto sembri Uno stile di vita che non è affatto per tutti

Con l’esperienza della pandemia e dell’emergenza sanitaria, molte persone si sono rese conto che non era necessario andare quotidianamente in ufficio per poter lavorare, e così – quando possibile – hanno continuato a farlo da remoto. Alcuni, poi, hanno approfittato di questa flessibilità cambiando periodicamente città, vivendo per diversi mesi all’anno in varie località del mondo (a volte anche vacanziere). Si tratta dei cosiddetti "nomadi digitali". Nel 2019 le persone che conducevano questa vita erano poco più di 7 milioni, mentre nel 2022 erano diventate più del doppio – quasi 17 milioni. Oggi questa è una pratica consolidata: i nomadi digitali si conoscono, si scambiano consigli e si riuniscono in comunità online, attive soprattutto su Instagram. Anche se non si tratta di un fenomeno di massa, si tratta di uno stile di vita che suscita molto interesse, in particolare sui social network, e non è raro imbattersi in contenuti che elogiano la pratica. I lati positivi, in effetti, possono essere tanti. Se si ha un lavoro che si presta totalmente a essere svolto da remoto, non c’è dubbio che poter scegliere di fare il nomade digitale sia un privilegio. Ma non bisogna dimenticare anche le conseguenze individuali e sociali, spesso per nulla raccontate sui social. Al contrario, alcuni profili dedicati ai nomadi digitali tendono a diffondere la credenza che questo stile di vita sia del tutto invidiabile, ma non è sempre e soltanto così.

Essere un nomade digitale non è per tutti

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Tra i lati negativi del vivere come nomade digitale c’è innanzitutto il fatto che molti di questi lavoratori sono di fatto dei liberi professionisti, con tutte le difficoltà che comporta. Viaggiare, poi, a volte può avere delle ricadute economiche da non sottovalutare, anche quando si decide di farlo in Paesi con un costo della vita tendenzialmente basso. Al di fuori dei Paesi occidentali, inoltre, spesso sono necessari visti o permessi particolari, e può diventare complicato e stressante ottenerli. La solitudine, l’instabilità e la difficoltà nel creare legami affettivi duraturi, infine, sono altri aspetti da mettere in conto. Anche per questo, nella comunità online dei nomadi digitali non è visto di buon occhio chi, sui social, fa di questo stile di vita un mito. Lo spiega bene Nicholas Barang, che da oltre un decennio lavora da remoto in giro per il mondo, e che ha pubblicato vari articoli a riguardo. «Faccio parte di una comunità di nomadi digitali che si guadagna da vivere facendo i blogger. [...] L’amministratore del gruppo ha condotto un sondaggio chiedendo se qualcuno avesse mai lavorato da una spiaggia. Su diverse centinaia di risposte, solo una piccola manciata di persone lo aveva fatto e nessuno lo stava facendo in quel momento. Sapete il motivo? Perché lavorare da una spiaggia non è qualcosa che le persone fanno realmente. La tua strumentazione si rovinerebbe con la sabbia. Il bagliore del sole renderebbe difficile vedere lo schermo del computer e, soprattutto, amache, lettini o asciugamani stesi per terra non sono luoghi comodi da cui lavorare».

Le conseguenze sociali dei nomadi digitali

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Dopo la pandemia diversi Paesi hanno iniziato a offrire visti lavorativi temporanei alle persone straniere che operano da remoto, a volte consentendo loro di pagare meno tasse rispetto a quelle del proprio Paese d’origine – cosa che ha incentivato la pratica. Il problema è che, spesso, il denaro spostato dai nomadi digitali non ha ricadute positive sulla vita dei luoghi in cui questi lavoratori si insediano momentaneamente. Di solito i nomadi digitali trovano alloggio nei cosiddetti co-living – edifici organizzati in modo che ognuno abbia un proprio appartamento, ma con alcuni spazi in comune, come la cucina. Queste strutture vengono aperte principalmente in posti poco frequentati dal turismo di massa, e il fenomeno finisce per influenzare negativamente il mercato immobiliare delle singole città, soprattutto nei centri urbani del sud-est asiatico – meta molto ambita dai nomadi digitali. Per rispondere all’afflusso di lavoratori da remoto occidentali, i co-living e gli spazi di coworking si sono molto diffusi in queste località. Il costo della vita e degli immobili, però, a loro volta è aumentato, perché i nomadi digitali hanno più possibilità economiche delle persone del posto, costringendo i residenti di lunga data a trasferirsi.