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Chi sceglie quali brand vestiranno gli attori agli Oscar?

C'è un motivo se i look di quest'anno non erano un granché

Chi sceglie quali brand vestiranno gli attori agli Oscar?  C'è un motivo se i look di quest'anno non erano un granché

Da un po’ di anni a questa parte, le recensioni dei look da red carpet hanno invaso le pagine social, format su cui personaggi come Luke Meagher, aka  HauteLeMode, hanno costruito la loro carriera. I tre video in cui Meagher commenta i look degli Oscar 2023 hanno accumulato un totale di 974 milioni di views, intanto che i quattro sul Met Gala sono arrivati a 1 milione e mezzo. Non che prima non ce ne fossero, ma da quando i brand si sono accorti della trazione mediatica degli eventi di Hollywood hanno rincarato la dose sul celebrity endorsement, fino a dieci anni fa applicato principalmente a profumi e al beauty. Questa notte, agli Oscar 2024, abbiamo assistito alla prova definitiva di come, dato che con i social media è cambiato il modo di fare moda, si è evoluto anche il modo di fare marketing. Più che una notte di glamour, di star dai look invidiabili (ce n’erano, ma come riporta l’High Fashion Twitter avrebbero potuto fare meglio), l’evento ha fatto da assist alla pubblicità dei brand di lusso grazie ai loro pupilli. 

Una sfilza di brand hanno organizzato party e afterparty (che forse in questo caso prendono il nome di eveparty) prima degli Oscar. Louis Vuitton, Chanel, Armani, Prada, Versace, Saint Laurent e Philipp Plein hanno dimostrato il loro supporto agli attori in lizza per una statuetta dorata lanciando feste da urlo in preparazione a domenica, mentre dopo le premiazioni è stato il turno di Gucci e di Armand de Brignac, marchio di liquori di LVMH. E così i brand di punta dell’Europa opulente hanno preso un aereo diretto a Los Angeles per supportare i loro ambassador - fortunatamente, si potrebbe dire, dato che in effetti i completi da uomo migliori erano tutti italiani, da Willem Dafoe in Prada a Mark Ronson in Gucci, Cillian Murphy in Versace e Simu Liu in Fendi. Ci sono abbinamenti tra attore e maison che sono ormai indissolubili: oltre a Dafoe e Prada, uniti da decenni, e a Ronson e Gucci, è un grande classico vedere Anya Taylor-Joy e Jennifer Lawrence in Dior, Emma Stone in Louis Vuitton o Michelle Yeoh in Balenciaga. Allo stesso tempo, ci ha stupito trovare Florence Pugh, storica ambassador Valentino, in Del Core e le stesse Taylor-Joy e Lawrence in Miss Sohee e archivio Givenchy agli afterparty. 

Se da un lato sono stati tantissimi i brand di lusso che hanno vestito gli ambassador - aggiungiamo la novella Kim Kardashian in Balenciaga, la epica Charlize Theron in Dior e Ryan Gosling in Gucci - dall’altro sono stati rari gli stylist che sono riusciti a rubare la scena ai look minimal e sleek della serata. Andrew Mukamal, curatore d’immagine di Margot Robbie, ha scelto due abiti vintage firmati Atelier Versace e Mugler, mentre Law Roach, che con Zendaya esplora da anni il mondo della moda d’archivio con ineguagliabile audacia, ieri sera si è limitato ad un abito in raso di Armani Privé. Mentre nel 2023 erano innumerevoli le star promotrici del lusso di seconda mano, quest’anno sembra essersi verificata un’inversione di tendenza: Tab Vintage, una delle piattaforme di ricerca vintage più amate di Hollywood, ha collaborato solo con Cardi B e Laverne Cox. Come se tutto il sistema dell’intrattenimento avesse sacrificato la creatività in favore dei brand deal (che novità), l’ultimo rimasuglio di esplorazione artistica nello stile era nei tacchi del cast di Godzilla Minus One, a forma degli artigli del mostro protagonista del film. 

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La crescente partecipazione dei grandi nomi di lusso agli Oscar potrebbe offrire due suggerimenti preziosi su una dinamica che sta prendendo piede a Hollywood: le star preferiscono essere pagate per presentarsi agli eventi più glamour, dato che partecipare in quanto ambassador è l’unica opzione che include una retribuzione (la gift bag arrivi a sfiorare il valore di 180 mila dollari, ma include voucher per vacanze e trattamenti estetici e non mazzette di banconote), e così sta sparendo completamente l’inclusività, dei brand indipendenti così come dei marchi diretti da minoranze, della creatività spregiudicata così come dei look che esprimono un messaggio politico o sociale. Restano solo delle minuscole spille contro la guerra, appese all’ultimo sul doppio petto di un attore vestito di nero. Negli ultimi dieci anni gli Oscar hanno subito un calo di ascolti, da 40 milioni di spettatori nel 2014 a 18 milioni nel 2023. Non possiamo attribuire le colpe ad un unico fattore, alla caducità della televisione contemporanea o alla perdita di interesse da parte del pubblico per la pop culture, ma è certo che anche l’iper-commercializzazione dei look sul red carpet sta contribuendo a diminuire la trazione mediatica della kermesse. A distanza di anni ricordiamo ancora le lunghe code di Littlefeather, l’abito a forma di cigno di Björk, la nuvola rosa che avvolgeva Gwyneth Paltrow mentre cercava di ringraziare l’Academy in lacrime, i lustrini anni ’70 di Cher e i boa bianchi anni ’90 di Madonna. Di quest’anno, resta forse solo il torso glabro di John Cena.