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I veri soldi per la moda non sono più nella moda

Come puntare tutto sui profumi ha fatto la fortuna di Puig

I veri soldi per la moda non sono più nella moda Come puntare tutto sui profumi ha fatto la fortuna di Puig

Quando si parla di grandi gruppi della moda non si pensa sempre allo spagnolo Puig, che infatti almeno sulla carta si occupa più di profumi e cosmetici che di moda di lusso. Quali sono i brand di Puig? Il brand di moda più tradizionale di cui sono azionisti maggioritari è Dries Van Noten, che ha lanciato una linea di profumi e fragranze nel 2022; ci sono poi Jean-Paul Gaultier, Rabanne, Nina Ricci e Carolina Herrera oltre che le licenze di brand come Louboutin e Comme des Garçons e ovviamente alcuni tra i pesi massimi del mondo beauty e dei profumi come Byredo, Charlotte Tilbury e Penhaligon’s. La lista non si ferma certo qui ma può dare un’idea di come e dove si muova il gruppo. Ora, negli ultimi due anni, il gruppo ha dato nuovo impeto ai propri brand di moda, organizzando show (incluse le famose ospitate di designer esterni per l’Haute Couture di Gaultier), creando collaborazioni e assumendo direttori creativi giovani e carismatici come Harris Reed per Nina Ricci. Ed è conoscenza comune che, anche se questi brand sfilano regolarmente, gli show alla fashion week servono a costruire una brand perception da giocarsi non tanto nell’abbigliamento ma nei profumi e nel beauty. Una strategia che funziona alla grande: in un anno come il 2023 in cui il luxury spending ha subito una significativa frenata, il Gruppo Puig ha superato la soglia dei 4,3 miliardi di euro in vendite, superando non solo la crescita media del mercato del beauty, stimata intorno all'8 percento, ma consolidando la posizione di Puig come protagonista dominante dell’industria.

Il presidente e CEO Marc Puig ha attribuito questa straordinaria performance alle iniziative strategiche dell'azienda, tra cui l'espansione del portafoglio di marchi di proprietà, l'accento sui prodotti di prestigio e il consolidamento della leadership nei profumi di nicchia e nel trucco. I profitti netti per l'anno hanno raggiunto i 465 milioni di euro, segnando un notevole aumento del 16 percento su base omogenea. Gli altri dati riportati dal gruppo dimostrano una salute a dir poco sorprendente: il margine operativo lordo è salito a 849 milioni di euro, aumentando del 33% rispetto all'anno precedente. Tutto in linea con l’ambizioso piano triennale presentato nel marzo 2021 e volto a raggiungere vendite per 3 miliardi di euro nel 2023 (obiettivo abbondantemente superato) e 4,5 miliardi di euro nel 2025. Tuttavia, sostenuta da una crescita robusta negli ultimi tre anni, Puig non solo ha superato il suo obiettivo di vendite del 2023, ma ha quasi triplicato le vendite due anni prima del previsto. C’è di mezzo anche una saggia amministrazione: dal 2021 a ora Puig ha mantenuto un debito netto che ammontava a 1,2 miliardi di euro alla fine del 2023 e cioè ha gestito le proprie finanze con giudizio mantenendo un bilancio sano e una stabilità finanziaria che tanti altri gruppi, nella furiosa ansia di investimenti ed espansione, spesso tendono a perdere. Un vero impero del profumo: a oggi Puig detiene l’11% delle quote di mercato dei profumi di lusso in tutto il mondo - un segmento (tecnicamente fatto di “profumi e moda”) che già rappresentava il 72% delle vendite totali e le cui vendite sono cresciute del 17%, trainate da 1 Million di Rabanne e Good Girl di Carolina Herrera, insieme alle numerose fragranze di Gaultier. Un altro 18% dal valore d 773 milioni di euro lo fanno i trucchi mentre il segmento in crescita più fulminea è la skincare con vendite volate a 431 milioni di euro in salita del 31%.

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Tutti risultati che hanno rappresentato una somma di diverse scelte strategiche, espansioni geografiche, strategie retail oltre che un partenariato con la 37esima America's Cup e secondo alcuni anche una futura quotazione in borsa. Ma sono anche risultati che dimostrano come nel mezzo di una normalizzazione delle spese del lusso, che non rappresentano tanto una crisi quanto un “raffreddamento” della crescita in un mercato assurdamente saturo, il principio secondo cui i profumi alimentano le vendite non è solo valido, ma è diventato fondante. Per Puig, dopo tutto, i profumi sono le vendite e, in maniera forse un po’ cinica, ha molto senso che quando si parla dei brand di moda, gli abiti siano solo la facciata di un business la cui natura è completamente diversa. E questo lo si vede anche sui siti web dei brand in questione, sempre equamente divisi tra moda e profumi. La cosa non è una grandissima novità: già negli anni ’20 e attraverso l’intera Seconda Guerra Mondiale, Chanel dipendeva dalle vendite dei profumi tanto che fece peste e corna per strappare la società Parfums Chanel alla famiglia Wertheimer che oggi possiede l’intero brand; lo stesso si dica Parfums Christian Dior stabilito nel ’47 e diventato uno dei più forti muscoli dietro il traino delle vendite del brand prima e di LVMH poi. Ma il successo di Puig rivela un cambio di marcia: adesso profumi e make-up possono sostenere un brand da soli – e magari dipendere meno dalle vendite degli abiti consente agli show e alle collezioni di operare con una libertà relativamente maggiore (pensate agli show couture di Gaultier, amatissimi e guardatissimi) rispetto a quella di brand che, per far lievitare le vendite e posizionarsi sempre più in alto, sono costretti a scrivere numero sempre più grossi sulle price tag. Il denaro non puzza – profuma benissimo.