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L'inarrestabile ascesa dei brand curator

Il sottile confine tra collaborazioni, archivi e curatele

L'inarrestabile ascesa dei brand curator Il sottile confine tra collaborazioni, archivi e curatele

Tra il 2018 e il 2019, quando Karl Lagerfeld prendeva sempre più coscienza delle trovate che stavano spopolando tra i disertori del lusso tradizionale, aveva arruolato Pharrell Williams per disegnare e vendere una sneaker a doppia C — erano collaborazioni, i cantastorie see now buy now più sofisticati di un algoritmo Meta che, a lungo, hanno dominato il mondo dello streetwear. Soltanto due anni prima Louis Vuitton annunciava la sua collaborazione con Supreme, mentre Helmut Lang inaugurava il format editor-in-residence ospitando Shayne Oliver come primo guest designer. Quelle storie e quei prodotti virali ben prima della release ufficiale ad un certo punto non sono risultati più interessanti e funzionali per due ordini di motivi: il primo è che l’espediente della collaborazione è diventato un calco linguistico tradotto nella lingua del fast fashion, il secondo è che la crisi economica e il mondo past-pandemia ne hanno alterato i connotati. L’insorgere del quiet luxury, in particolare, ha ribadito un concetto che probabilmente avevamo poco chiaro in mente: il lusso e la moda possono essere due cose completamente diverse, due vasi non sempre comunicanti. Se il lusso è esclusività e creatività, sposando l'ultima visione di Demna rintracciabile nella FW24 di Balenciaga, possiamo immaginare un’industria disposta a dare sempre più spazio ai curator?

Il caso di Jean Paul Gaultier, di Dolce & Gabbana e Moschino

Nel 2020 è Jean-Paul Gaultier a comunicare la decisione di volersi ritirare dalla scena, scegliendo stagione dopo stagione il portavoce delle sue ossessioni suggestive: Glenn Martens, Chitose Abe, Haider Ackermann o Simone Rocha, per citare alcuni dei suoi eredi lampo, sono stati i curator di maglie a righe da marinaio, corsetteria succinta e verve a stampa. Sebbene l’enfant terrible della moda abbia lasciato il mondo del ready to wear nel 2014 per dedicarsi esclusivamente alla Couture, «continua a trasmettere la sua energia, la sua creatività e il suo savoir-faire al suo team e la sua celebrazione delle collezioni insieme ai guest designer è il suo ultimo endorsement», ha dichiarato Marc Puig, presidente e amministratore di Puig (il gruppo catalano che nel 2011 ha acquisito la maggioranza del brand francese) a WWD qualche mese fa. Gaultier, che la moda l’ha inventata ben prima che diventasse un sistema ipersofisticato come quello contemporaneo, ha sempre giocato su formule blended tra vestiti e spettacolo – l’espediente narrativo del guest designer è da interpretare come processo di ricreazione che decodifica un archivio che altrimenti sarebbe rimasto amorfo. Se un fashion curator rilegge la produzione di creativi attivi su diversi fronti fornendo una retroprospettiva sul loro operato, Jean-Paul Gaultier ha aperto le porte del suo archivio trasformandolo in un hub di Couture. Non solo: rendendosi conto del successo dei format di collaborazione, il brand francese ha deciso di allargare ulteriormente il suo bacino di utenza rivolgendosi a stylist come Lotta Volkova, che ne ha curato una release nel 2022 fatta di naked dress e guanti baby doll.

Da Dolce&Gabbana la curatela dell’archivio, retrodatato ad un periodo oscillante tra il 1987 e 2007, è stata affidata a Kim Kardashian, a cui è stato lasciato il palcoscenico della collezione SS23: 85 pezzi da lei selezionati in pizzo e lingerie impreziositi da cristalli, preannunciati da un video in cui la celeb mangia della pasta su uno sfondo in bianco e nero. Per Moschino, nel periodo di sede vacante immediatamente successivo alla separazione da Jeremy Scott, la collezione SS23 è diventata il pretesto per guardare nuovamente all’archivio di Franco Moschino in occasione del 40° anniversario del brand italiano: Carlyne Cerf de Dudzeele, Katie Grand, Gabriella Karefa-Johnson e Lucia Liu sono state le stylist chiamate a celebrare la produzione vestimentaria databile tra il 1983 e il 1993 (anno dell’ultima collezione prima della scomparsa di Franco Moschino) rispondendo al claim “non c’è libertà senza caos”. 40 years of love, più che sopperire al vuoto lasciato dall’assenza di un direttore creativo in carne e ossa, è stato un preludio curato da 4 stylist alla ricerca di Moschino nell’epoca del post-fashion. Sul fronte dello streetwear, d’altra parte, l’esperimento più interessante è stato quello condotto da Kiko Kostadinov e ASICS: iniziata come una collaborazione nel lontano 2016, quando il giovane designer si era da poco laureato alla Central Saint Martins, ha finito con l'assumere la forma di una brand curation a tutti gli effetti. A partire dalla release del modello UB1-S Gel-Kayano 14, lo Studio Kostadinov ha così arginato i limiti produttivi  e temporali di una collabo che risponde al criterio “designer popolare x brand streetwear affermato” sviluppando nuove silhouette per conto di ASICS.

Al di là di quelle che potremmo definire curatele di natura prettamente commerciale, possiamo rintracciare una corrente di pensiero che integra l’arte all’interno del processo di sviluppo di una collezione e che include persino il visual del retail. Bottega Veneta, in questo tipo di scenario, si muove priva di atteggiamenti di ritrosia: nel 2023 con Vieni a Vedere aveva affidato all’artista italiano Gaetano Pesce la curatela dello store in via Montenapoleone trasformandolo in un’installazione in resina e tela - una grotta dalla silhouette antropomorfa - contenente due borse in edizione speciale, My Dear Mountaineers e My Dear Prairies. Sullo stessa linea di pensiero si è mosso e continua a muoversi Jonathan Anderson da Loewe: a novembre 2023, per celebrare i 50 anni del brand in Giappone, lo store Omotesando a Tokyo ha omaggiato una serie di artisti tra cui Anthea Hamilton con cui Anderson collabora già dal 2018. «Nei prossimi 10 anni penso che la moda e l'arte si avvicineranno sempre di più perché sono convinto che entrambe inizieranno a fare affidamento l'una sull'altra per la pubblicità e l'endorsement» ha spiegato il designer a Luke Leitch. È in questa metodologia creativa che si inserisce Crafted World, la prima grande esposizione sull’universo Loewe che ha appena debuttato a Shanghai e che sarà in tour, curata direttamente da Anderson. Anche Miu Miu, nella sua costante e ossessiva ricerca della contemporaneità, ha arruolato l’artista multimediale Cécile B. Evans come curator di video installazioni - estensioni MP4 del racconto della collezione FW24 sotto forma di un fashion film in cui la protagonista Guslagie Malanda è una traduttrice simultanea in un’aula parlamentare apocalittica dove i ricordi sono l’ultimo appiglio. «Alcune cose non esistono senza ciò che contengono» ha raccontato Evans a WWD, riflettendo sul rapporto intimo con i nostri device tecnologici.

L’ultima stagione di questa Paris Fashion Week ha trasformato i set design in curatele contemporanee: Acne Studios ha dato una seconda vita a pneumatici riciclati trasformandoli in poltrone grazie all’artista estone Villu Jaanisoo, così come Courrèges ha portato al centro dello show un pavimento bianco ottico in movimento diretto da Rémy Briere. Queste curatele che spaziano dalla collaborazione commerciale ai set design più elaborati non fanno che riflettere sul rapporto creativo fra il tempo e gli archivi delle maison, posizionandole in un’area di intersezione tra branding, evocazione e interrogazione. Interrogazione che, più che rispondere all’hype generato dall’annuncio di una collaborazione tra brand, diventa uno strumento di soft power per i brand di lusso e una forma di affiliazione più profonda per i loro clienti. La domanda, a questo punto, potrebbe essere questa: la brand curation è destinata a diventare la nuova leva commerciale dopo la nostalgia e i drop a cui siamo abituati?