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«L’outdoor è il nuovo street»: intervista a Todd Snyder

Abbiamo intervistato il nuovo direttore creativo di Woolrich

«L’outdoor è il nuovo street»: intervista a Todd Snyder  Abbiamo intervistato il nuovo direttore creativo di Woolrich

Todd Snyder ha fatto il suo arrivo in Italia e nella coscienza collettiva del pubblico europeo mainstream solo la settimana scorsa, con il suo show al Pitti. Ma il suo brand in America va forte da tredici anni, nei circoli dei fanatici di sartoria il suo nome è già un classico e il suo brand è pronto a espandersi anche al di là dell’Oceano – e non solo grazie alla sua presenza a Firenze, ma anche perché Snyder è diventato da poco il nuovo direttore creativo di Woolrich, uno dei pilastri dell’estetica americana outdoor come la conosciamo. Per il brand, Snyder disegna personalmente la nuova linea premium Black Label e dirige la creatività delle altre collezioni del brand – un’influenza che, scorrendo i lookbook delle diverse collezioni del brand, lampeggia nella semplificazione delle silhouette, nella ritrovata classicità del loro design, nell’occhio per il dettaglio modernissimo che rimanda agli archivi di un brand che ha contribuito a creare l’iconografia dell’outdoor americano. «Come americano, Woolrich è sempre stato parte della mia vita», ci ha raccontato il designer lo scorso sabato, «da giovane lo indossavo e chi lo indossava venti o trent’anni fa lo hanno ancora nel proprio armadio». Snyder ha un peculiare senso per ciò che è classico, ma soprattutto per ciò che rende un classico moderno: i capi della sua Black Label restituiscono sì un senso di novità ma sembrano anche rifarsi alle proporzioni alterate, al gusto per i materiali elevati e ai dettagli funzionali ma mai banali del vestiario d’archivio, specialmente americano. Ma cosa ha spinto sia il brand che il designer a imbarcarsi in un’impresa del genere?

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Snyder è stato onesto: riportare Woolrich a essere il brand classico che lui indossava in giovinezza significava ripensarne il design, puntare a un gusto specifico, più adulto, ma anche più sensibile verso tagli e silhouette che lo distinguessero dalla genericità massificata in cui, in un’epoca di fast fashion e facili knock-off, ogni grande brand globale deve evitare. «La questione principale è che si tratta di un brand molto commerciale», taglia corto Snyder. «Woolrich faceva così parte della cultura americana – ma poi è come se fosse sparito […]. Quando lavoravo per altri brand compravo i tessuti da Woolrich. Erano gli anni ’90. Poi hanno chiuso i loro lanifici… non ci sono più tante cose prodotte davvero in America», dice con una punta di rammarico Snyder. Ma lui sapeva come cambiare le cose: «Poi un anno e mezzo fa Woolrich mi ha detto che sarebbe stato bello lavorare insieme. E io gli ho detto di non essere interessato, ho fatto già molte collaborazioni, non volevo farne un’altra. Allora gli ho detto che avrei considerato l’idea se mi avessero dato modo di re-immaginare il brand da capo e praticamente loro mi hanno messo dato subito le chiavi in mano». Tutta la line-up di Black Label è prodotta in Italia, usando tessuti italiani e giapponesi («Sono i migliori», dice Snyder) ma non manca una capsule di denim giapponese, felpe e t-shirt prodotta negli Stati Uniti.

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L’intenzione alla base non era solo riposizionare il brand ma restaurare quell’aura di classicità che lo ha reso un impero globale in primo luogo. Se oggi questo tipo di stile outdoor classico è tornato in piena forza è stato anche grazie al terreno preparato per interi decenni da marchi come Woolrich, che ne hanno costruito l'immaginario da zero. Il punto di partenza è stato l’archivio («Il brand esiste da 193 anni, e le cose che ha prodotto in tutto quel tempo sono tante», chiosa Snyder) ma anche una ricerca di una modernità che equilibrasse la storia e la tradizione con necessità più moderne. «Pensando alle cose per cui il brand è famoso la mia domanda era: come le reinvento? E quali sono le cose che non hanno, e come faccio a reinventare anche quelle?». Un esempio perfetto di questo approccio sono i nuovi stivali, categoria mai esplorata dal brand, che riprendono i classici Duck Boot tipici dell’immaginario outdoor americano (celeberrimi quelli di L.L. Bean che molto amati dai cercatori di vintage) ma con «un’anima moderna» rappresentata da una suola Vibram alta in cui la classica tomaia con scanalature è come incastonata ma anche una costruzione con vera pelliccia di montone che rappresenta quell’elevazione del prodotto e quella ricerca di qualità e personalità che Snyder ha iniettato nella sua Black Label e anche nelle restanti collezioni del marchio. 

A  questo punto sorge spontanea una domanda: se Snyder si è orientato per un ritorno del Woolrich vecchia scuola opportunamente reinventato, integrandolo anche nella sfilata del proprio brand, le cui location venderanno la linea Black Label, si può parlare di un più ampio macro-trend che riguarda il ritorno di un gusto vintage verso i classici del guardaroba a stelle e strisce? In parte sì, ma per Snyder il punto del discorso è diverso: «Negli ultimi 10 anni abbiamo tutti seguito questo tipo di stile sportivo. All'inizio era athleisure, poi è diventato sportswear e infine è diventato sneakers. E tutto questo è stato già raccontato - una storia che riguardava lo street style. Credo che l'outdoor sia il nuovo street. È un nuovo modo di pensare l'attività fisica. Ma è tutto incentrato sulla natura, sull'escursionismo e sulla pesca e quindi, come se si trattasse di un mix di questi elementi e di un tocco cool, vale davvero la pena di esplorarlo».