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Sarah Andelman racconta la storia di Colette e il futuro delle collaborazioni

Il segreto del loro successo? L’effetto sorpresa.

Sarah Andelman racconta la storia di Colette e il futuro delle collaborazioni Il segreto del loro successo? L’effetto sorpresa.

Le collaborazioni sono ovunque.

Sono l’elemento attorno al quale si muove oggi il mondo della moda. L’ingrediente non più segreto che garantisce hype e successo di vendite ai vari marchi.

Ad intuire, molto prima di altri, il potenziale delle partnership tra entità anche molto diverse tra loro, è stato Colette.

L’iconico negozio parigino al 213 di Rue Saint-Honoré, attraverso un mix unico di marchi di alta moda, streetwear, gadgets, giocattoli, libri e oggetti di design, ha plasmato il concetto di trend e realizzato prodotti unici con numerosi collaboratori, da Balenciaga a KITH, da Raf Simons a Louis Vuitton.

Ora che dopo vent’anni la sua avventura sta per finire - chiuderà infatti le porte il 20 dicembre, Sarah Lerfel che con la madre Colette Roussaux ha trasformato lo store in qualcosa di magico, ripercorre la sua storia per complex.com.

"Quando Colette ha aperto nel 1997, il nostro obiettivo era quello di riunire prodotti che ci piacevano e che non riuscivamo a trovare a Parigi, dalla moda alla strada, bellezza, design, musica, alta tecnologia e persino acque." - ricorda la donna - "Abbiamo avuto un sacco di marchi esclusivi che abbiamo mescolato con i prodotti più facilmente disponibili, e il mix è stato unico".

Creare questo senso di unicità all’inizio non è stato semplice. Ogni marchio aveva solo uno showroom e si limitava a riproporre lo stesso capo ad ogni negozio, ad esempio l’originale New Balance o adidas Stan Smith, ma Colette voleva di più. 

Voleva "un altro colore o qualcosa con un tocco unico" e non si accontentava di avere il proprio logo sul prodotto. Con questo spirito è nata la prima collaborazione con adidas e Claude Closky nel 2005, ma anche le successive come Raf Simons x Vans e i pop-up Colette Meets x Comme des Garçons nel 2004 o Colette x Gap nel 2008 a New York.

La lungimiranza delle creatrici dello store di Parigi è stato intuire che per i designers sfuggire alla loro solita routine è fondamentale e capire che il successo di una collaborazione è legato all’effetto sorpresa.

"Non puoi fare collaborazioni e chiedere sempre le stesse cose." - racconta Andelman a Complex e continua - " Ogni progetto deve essere diverso e devi sentirti libero. È un equilibrio tra il rispetto di chi sei come un marchio e la flessibilità di non imporre limiti alla creatività…Non puoi semplicemente fare una collaborazione per fare una collaborazione. Non può essere solo per il denaro. Ogni parte deve portare qualcosa sul tavolo. Può essere l’artigianalità o l’idea geniale, ma penso che il risultato debba essere qualcosa che non puoi fare da solo. Deve venire dal fatto che due entità devono sfruttare il reciproco savoir faire".

Così è nato il profumo di Thom Browne, di Hello Kitty e Playboy o la versione Colette del classico foulard in seta Brides de Gala di Hermès.

Più realtà si uniscono insieme, più interessante diventa il risultato delle collaborazioni come è accaduto nel 2005 quando Chanel, Fendi, Goyard, Burberry, Miu Miu ed altri hanno reinterpretato la PSP di Sony.

Il pericolo del proliferare di tutte queste partnership?

Per la proprietaria di Colette è "quello di esistere solo tramite collaborazioni. Questo semplicemente non è possibile. Devi essere in grado di esistere da solo. Devi essere in grado di costruire la tua singola identità prima o parallelamente allo sviluppo delle collaborazioni".

Di recente Nike ha lavorato con designer come Riccardo Tisci, Virgil Abloh, Sacai, Undercover e marchi di moda di lusso come Valentino, Dior, Celine hanno iniziato a fare le proprie sneakers.

Osservando i ragazzini di sette, otto anni indossare pezzi di Virgil Abloh o di Supreme x Louis Vuitton, quello che avremmo chiamato street style e che per loro è semplicemente moda, Sarah Andelman intuisce che questo è il futuro: i brand, soprattutto, quelli del lusso amano a tal punto le collaborazioni da fondersi con esse stesse, diventando cloni street di se stessi.

Voi che ne pensate?