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La storia dei cappelli di Erykah Badu

Come la regina dell’R&B ha trovato il suo look

La storia dei cappelli di Erykah Badu  Come la regina dell’R&B ha trovato il suo look

In occasione del Met Gala 2024, Erykah Badu si è fatta vestire da un brand che, di solito, non è molto presente sui red carpet, Comme des Garçons, con un look visto sulla sfilata SS24 del brand che aveva, oltre alle scarpe, una singola differenza rispetto alla versione originale: un alto copricapo nero che fasciava il collo della cantante, a metà tra il turbante e il cappello a cilindro. Questo copricapo era qualcosa di originale – ma la sua silhouette è diventata negli ultimi anni la più riconoscibile firma di Badu – il cui stile, a partire dal suo esordio negli anni ’90, è così personale, riconoscibile e versatile al tempo stesso che potremmo definire, parafrasando l’espressione coniata dal manager suo e di D’Angelo Kedar Massenburg, il Neo-Soul. Il nome è ovviamente qualcosa di generico e indica la vivacità e l’originalità degli outfit di Badu che, nel tempo, hanno incluso stivali altissimi, sneaker a punta, abiti fatti interamente di bottoni, una miriade di gioielli sovradimensionati oltre che cappe, mantelli e abiti troppo avant-garde per essere descritti con semplici parole. Nel mezzo di tanta sperimentazione (e Badu è forse l’artista più sperimentale in circolazione sul piano dello stile) i copricapi della cantante sono diventati una delle parti essenziali della sua silhouette – tanto che Badu stessa si accigliò alquanto quando, nel luglio dello scorso anno, Beyoncè indossò un altissimo cappello argentato simile al suo per il Renaissance tour. «I guess I'm everybody’s stylist», scrisse piccata Badu all’epoca. Ma come è nata l’associazione tra Erykah Bady e i suoi cappelli?

Nata a Dallas, in Texas, Badu è stata fortemente influenzata dal soul e dall’hip-hop degli anni '80. Dopo essersi iscritta alla Grambling State University, lasciò gli studi nel 1993 per perseguire le sue passioni musicali. L'anno successivo, aprì uno spettacolo per D'Angelo, uno dei più importanti artisti neo-soul anni '90 impressionando tanto gli esponenti dell'industria musicale presenti da ottenere il suo primo contratto discografico. Nel 1997, la venticinquenne Badu fece la sua comparsa nel set di Planet Groove di BET, uno show televisivo che attirava alcune delle più grandi star dell'hip-hop e dell'R&B degli anni '90. Per la sua apparizione indossava già un turbante color oro, accese delle candele e beveva un tè alle erbe mentre raccontava dei suoi esordi. Una settimana dopo, l’album d’esordio Baduizm fu pubblicato (il primo singolo era uscito nel dicembre ’96), divenne triplo disco di platino aprendo la strada alla vittoria di quattro Grammy. Inutile a dirsi, la copertina dell’album scattata da Marc Baptiste ritraeva Badu con un turbante camouflage e lei stessa ne indossò uno in praticamente ogni sua apparizione pubblica coltivando uno stile che mescolava moda occidentale e americana omaggiando le radici africane della cantante ma anche la sua inclinazione alla spiritualità, sulla scia di grandissime artiste come Nina Simone o Alice Coltrane. Nel ’98, oltre a vincere i suoi primi Grammy, Badu apparve nel famoso programma per bambini Sesame Street indossando un turbante patchwork che da lì in poi divenne sempre più associato a lei e che tornò anche nel suo primo shooting su Vogue, nel 1999, in cui indossava un look firmato da Rodney Epperson. All’epoca Badu indossava solo «designer neri di New York, Dallas o Atlanta» come lei stessa disse a Vogue.

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L’anno dopo però fu l’ultimo in cui Badu indossò il turbante. Nel 2000 Badu era fidanzata con Lonnie Rashid Lynn, in arte Common, e insieme si recarono a Cuba dove la cantante decise di approfondire i suoi interessi nella Santeria consultando un famoso prete locale. Recatasi all’incontro interamente vestita di bianco e con il suo turbante, Badu si ritrovò ad aspettare insieme a un uomo che fumava sigarette, con unghie sporche e vecchie Puma Suede che un tempo erano state blu. Come raccontò a Essence, solo poco dopo, entrata per il suo incontro, Badu si rese conto che quell’uomo era il prete: «Non indossai mai più il turbante. Mi resi conto che non era più necessario, perché dopo tutto quell'uomo proveniva da una lunga stirpe di guaritori e non era obbligato a sembrare tale. Era nato così. Non importava cosa facesse o cosa dicesse, nessuno poteva portarglielo via. È stato allora che mi sono liberata e ho iniziato a evolvermi. Ho iniziato a concentrarmi sull'essere più qui dentro che là fuori». Tornando poi sull’argomento, Badu aggiunse che «per quanto l’apprezzassi, mi faceva sentire un po’ intrappolata. Ero diventata la ragazza immagine dell’incenso e delle candele». E già ai Grammy del 2001 arrivò la sorpresa: Badu si presentò completamente rasata inaugurando una fase di sperimentazione in cui sarebbero stati introdotti i suoi ormai celebri cappelli.

Scorrendo le immagini di quel periodo, senza la pretesa di fare una rassegna scientifica, si nota che i cappelli erano molto diversi tra loro: si andava dal cilindro bianco al cappello di paglia, dal berretto in lana, dai bucket hat in stile Kangool ai fedora e alle bombette sovradimensionate di feltro. La sensazione, comunque, è che l’impiego di questi grandi cappelli per definire la silhouette dei propri look sia diventato più frequente e consolidato nella seconda metà del decennio – che segnò anche il periodo in cui Badu sperimentò davvero tutte le possibili strade che il proprio stile poteva seguire, dimostrando un eclettismo e una capacità di styling personale davvero notevoli. Passarono gli anni e i cappelli («Sono tutte corone di qualche tipo» disse una volta a InStyle) nel frattempo diventavano sempre più grandi, ma se volessimo fissare un punto nella linea temporale in cui il mega-cappello divenne la firma di Badu potremmo forse indicare il Met Gala del 2014, in occasione del quale la cantante arrivò sul red carpet insieme a Riccardo Tisci che, al culmine della sua gloriosa era di Givenchy, le fece indossare un abito nero con una lunga giacca bianca tempestata di cristalli, un enorme e altissimo cappello coordinato (ricordava le alte bombette delle cholitas boliviane) con due enormi orecchini di brillanti. Il look fece scalpore anche perché Badu lo indossò, insieme a un turbante e a un cilindro, nella campagna SS14 di Givenchy segnando il suo avvenuto atterraggio nel mondo della moda. Tanto più che nello stesso anno, ai Grammy, Pharrell indossò il suo ormai celebre cappello di Vivienne Westwood simile a quello delle guardie forestali canadesi creando, sulle pagine dei giornali, diversi paragoni tra lui e Badu – che già allora era forse «everybody’s stylist» senza saperlo.

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Dal 2017 circa, almeno una decina dei cappelli di Badu provengono da un laboratorio artigianale di Tokyo che si chiama Bona Capello ed è stato fondato dal designer Thom O’Brien – facendo proseguire la passione della cantante per il supporto ai brand indipendenti. Per il Met Gala 2021, Badu ritornò al classico cappello a cilindro per Thom Browne, mentre più recente è l’incontro con Francesco Risso di Marni, che ha accompagnato la cantante come sua ospite al Met Gala 2022, creando per lei un abito e cappello patchwork coordinati. La collaborazione non solo si ripetette per il Met Gala 2023 (questa volta senza cappelli) ma si allargò anche quando Francesco Risso e Badu annunciarono l’imminente uscita di una capsule collection collaborativa che includeva anche diversi cappelli. Ma il cappello più grosso di tutti, o che almeno a noi pare tale, Badu lo indossò sempre per Marni ma lo scorso settembre, allo show SS24 del brand, a Parigi, dove la cantante era seduta in prima fila con un completo giallo a quadri e una sorta di enorme cilindro di mohair a pois neri che rivaleggiava con il simile ed enorme cappello, questa volta trattato in modo tale da sembrare fatto di metallo ossidato, con cui Badu si presentò allo show SS24 di Bottega Veneta. Non resta che domandarsi chi le confezionerà il prossimo ma quello che è certo è che nella vita non serve un cappello grande, ma un grande cappello.