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Com’è il nuovo Supreme di Tremaine Emory

Un cauto passo avanti nell’aggiornare l’identità del brand

Com’è il nuovo Supreme di Tremaine Emory Un cauto passo avanti nell’aggiornare l’identità del brand

È strano, a 2023 avviato, tornare a discutere di Supreme. Se il celebre brand newyorchese al centro dell’uragano streetwear di un decennio fa era adorato ai limiti del fanatismo ai suoi tempi, con l’affievolirsi dei trend, l’aumentare di drop e negozi e il volgere del gusto collettivo verso pezzi più iconici e meno immediatamente spiritosi o nostalgici la sua temperatura era crollata. Certo, la core community  del brand non è mai andata via (e questo ha permesso a Supreme di espandersi, aprendo un negozio anche a Milano e di recente uno a West Hollywood) ma l’interesse con cui veniva seguito, acquistato e discusso non era semplicemente più lì. Enter Tremaine Emory, nominato a nuovo direttore artistico lo scorso anno, e la cui collezione è stata presentata negli scorsi giorni – notizia che, onestamente, con tutto il trambusto sollevato da Pharrell e Louis Vuitton questa settimana aveva rischiato di scivolare via dalla nostra attenzione. Non di meno, non sarebbe stato possibile evitare di vedere online la foto del nuovo lookbook SS23 in cui compariva il maglione tricot stampato con la gigantografia di Kurt Cobain – un pezzo che, volenti o nolenti, ha suscitato in chi scrive curiosità sul resto della prima collezione del “nuovo” Supreme di Emory. Il suo nuovo outing può essere descritto come cauto, privo di enormi ribaltamenti ma anche abbastanza sottile e indovinato da farci sperare nel ritorno di un Supreme pre-declino.

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Rispetto alla collezione FW22 dello scorso agosto, ad esempio, possiamo sicuramente dire che il primo segno della mano di Emory è una collezione meno visivamente gremita da grafiche e texture: al di là di alcuni pezzi-chiave come la puffer jacket ricoperta da un collage di maglie da football e la grande giacca di denim in cui il gigantesco nome del brand è scritto attraverso il distressing, siamo ben lontani dai piumini argento, le giacche con dipinti sopra paesaggi, le pellicce multicolori, le mescolanze di nylon e finta pelliccia e le superfici lucide o iper-grafiche della collezione invernale sans Emory. I colori iper-vivaci sono diventati pastellosi, opachi o acidi; il distressing è il nuovo decoro delle superfici. Minore è anche la dipendenza dal branding, che ovviamente non scompare, ma viene incorporato in maniere meno ovvie in molti casi o attraverso modalità di branding più classiche rispetto alla bonanza di scritte e colori delle passate stagioni. È un Supreme più raccolto e disciplinato, per certi versi più sicuro di sé, ma che forse deve ancora prendere un po’ di confidenza. Altrove, e specialmente in pezzi più vivaci come quelli decorati dalle grafiche di Cactus Plant Flea Market, le hoodie Patch Spiral, Crest e Fiend; i pezzi patchwork e i maglioni con schemi di colore precisi e controllati si sente meglio quel vibe esuberante e colorato in cui possiamo riconoscere la parentela (non eccessivamente stretta) con Denim Tears. Per farla breve, tutto quello che ricordavamo di Supreme è ancora lì, solo in una versione meno cafona che in passato – il che ha fatto passare la collezione per più spenta e safe, ma a torto. L’operazione di Emory sembra quella di un editing accurato e affettuoso, ma ancora non giunto a pieno compimento.

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Completano la collezione anche borse e accessori. Le prime sono prive di particolari guizzi, decorate al massimo dagli artwork di Mark Gonzalez presenti nel resto della collezione (e anche belli) o presentate sotto forma di tote bag intrecciate in una specie di occhiolino lanciato a Bottega Veneta. Interessanti gli accessori, che pur rimanendo bizzarri come sempre, includono gioielli di Jacob & Co., ceramiche di Bitossi, un giaguaro di porcellana, tre Tamagotchi e anche un tegame Staub che, anche senza branding di Supreme, è incredibile se vi piace cucinare. Della collezione hanno parlato in molti. Highsnobiety ne ha lodato i capi in denim – un punto importante perché il denim di Supreme non è mai stato esattamente considerato haute de gamme. Non avendolo visto e toccato di persona però, ci rifacciamo alla loro opinione. Complex ha fatto un breakdown della collezione sottolineando i vari richiami agli archivi di Supreme e a icone culturali underground come Ronin di Frank Miller e Divine. Al di là delle molte analisi che si possono fare, comunque, questo nuovo Supreme è tornato a essere un buon Supreme. C’è strada da fare per tornare alla rilevanza di un tempo, evitando la bulimia collaborativa del passato -  ma se c’è qualcuno che quella strada può farla è proprio Tremaine Emory.