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Questo è l’Eurovision più divisivo di sempre

Tra proteste e tensioni internazionali

Questo è l’Eurovision più divisivo di sempre  Tra proteste e tensioni internazionali

La scena più famosa di questo Eurovision 2024 è un meme: una delle presentatrici chiede a uno spettatore il telefono e prova a mostrare come funziona la app per il televoto tranne che, in diretta mondiale, proprio in quel momento dal telefono arriva una pioggia di notifiche Grindr con il loro inconfondibile suono. Divertita, la conduttrice restituisce il telefono allo spettatore: «Ti restituirò semplicemente il telefono. Sembra che tu stia trascorrendo una settimana meravigliosa qui a Malmö». E la sensazione è che quello spettatore sia stato davvero l’unico a divertirsi – dato che quest’edizione dell’Eurovision è stata dominata da un clima di tensione tale che l’allegria che si prova a mettere in scena sul palco suona quasi stridente in confronto alle notizie che giungono da Malmö: un’enorme protesta pro-Palestina viene organizzata in queste ore in città (secondo CNN si prevedono più di 20.000 persone) mentre il governo stringe la sicurezza schierando sempre più polizia; durante la diretta di ieri, in Belgio, una stazione tv ha interrotto la programmazione per pubblicare una protesta scritta, nell’arena, l’esibizione della cantante israeliana è stata sommersa da un fragore enorme di fischi che è stato rimosso digitalmente nelle trasmissioni televisive e anche l’esibizione di Eric Saade, che aveva al polso una kefiah, è stata rimossa dai social; molti artisti hanno espresso le proprie lamentele o sono stati sul punto di andarsene; la tensione in città, la cui popolazione è composta da musulmani per il 25%, rende gli artisti stessi restii a esibirsi durante il giorno mentre gli organizzatori continuano a ripetere che la gara è apolitica dissimulando il puro terrore di cosa accadrebbe se ci fossero intrusi sul palco durante l’esibizione della cantante israeliana come accadde nel 2018 durante il turno degli inglesi. 

La sensazione è quella di un Eurovision che corre su un doppio binario: da un lato c’è l’entusiasmo della vasta community di fan che seguono la competizione, per lo più europei, e davvero «uniti dalla musica» come recita lo slogan della gara, che riempiono Twitter di commenti e meme sulle varie esibizioni; dall’altro c’è il crescente senso di preoccupazione per la turbolenta atmosfera di proteste e tensioni che vortica intorno alla gara in una città che, anche in condizioni più pacifiche, appare già sotto la pressione dei 100.000 visitatori provenienti da 80 diversi paesi. Su un piano di puro percepito, comunque, nell’edizione di quest’anno sono emerse tutte le rigidità del sistema di controllo che è andato a spigolare tra i testi delle canzoni e persino sul body-paint di alcuni dei cantanti in cerca di messaggi di pace da espungere o emendare. Il tutto aggravato dallo stridente altalenare tra i toni serissimi, per non dire tragici, delle esibizioni di paesi come Israele e Ucraina (che ha incluso tra le animazioni sul palco una serie di scie luminose molto simili a quelle delle bombe russe piovute sul paese) e quelli scanzonati o allegramente demenziali di altri artisti come Windows95Man o Baby Lasagna. E anche se non sarà sicuramente sul palco dell’Eurovision che qualche questione politica sarà risolta o qualche scontro vinto o perso, rimane la sensazione che l’atmosfera delle prossime puntate sarà allegra, ottimista e gioiosamente kitsch fintanto che nessuno obietti o indichi l’enorme elefante nella stanza. Quasi come se la pre-condizione del buonumore fosse l’acquiescienza o una cecità selettiva – ufficialmente lo spettacolo deve andare avanti.

@sbsnews_au

Thousands of pro-Palestinian protesters marched through the Swedish city of Malmö against the inclusion of Israel in this year’s Eurovision Song Contest amid the country's current military campaign in Gaza. Counter-protesters rallied to support Israel’s entry, Eden Golan, who is singing Hurricane, written as an Israeli perspective to Hamas’ attack on Israel on 7 October and the psychological impact on Israelis in its aftermath. Eurovision’s organisers have resisted calls to exclude Israel over its military campaign in Gaza, triggered by Hamas' 7 October attack, arguing that the event is not political. Read more @sbsnews_au (link in bio).

original sound - SBS News


Eppure già in passato la politica aveva fatto il suo ingresso nella competizione. Nella sua genesi, ad esempio, che si trova nelle ambizioni di internazionalità e rinnovamento ricercate da un’Europa che si stava finalmente rialzando e presto sarebbe andata incontro al boom economico post-bellico. Ma anche in diversi episodi della sua lunga storia: controversie e minacce di boicottaggio nacquero già con l’invasione turca di Cipro negli anni ’70; le infinite problematiche dell’edizione 2009 che vide i problemi tra Armenia e Azerbaijan, il Coro dell’Armata Rossa salire sul palco cantando, il ritiro quasi forzato della Georgia e ovviamente le proteste della comunità LGBTQ+ guidate da Nikolai Alekseev e conclusesi con l’arresto di venti dimostranti; per non parlare ovviamente dell’estromissione della Russia dopo l’invasione dell’Ucraina e le molte discussioni suscitate dalla partecipazione di Israele che vanno avanti dagli anni ’70 e che sono ovviamente divenute assai più drammatiche oggi. Né mancarono altre lamentele e polemiche quando nel 2012 Krista Siegfrids baciò la propria compagna simulando un matrimonio omosessuale facendo infuriare la stampa greca e turca; quando la vittoria di Conchita Wurst venne avversata da diversi paesi; quando l’Ucraina nel 2017 impedì l’ingresso alla competizione alla cantante russa che si era esibita in Crimea. Come si può vedere da questo breve elenco il palco dell’Eurovision è un luogo altamente politico, specialmente quando la missione “ecumenica” e pacifista dell’evento si scontra con moralismi, benpensantismi, conservatorismi di governi nazionali o intere fette della popolazione.

 

 

Tra i casi più confusionari di quest’edizione, ad esempio, c’è quello dell’inglese Olly Alexander. Il cantante, dopo essersi dichiarato pro-Palestina ha comunque deciso di gareggiare con un’esibizione così sessualmente caricata (immaginate uomini seminudi, jockstrap, espliciti richiami al cruising e via dicendo) che adesso ha fatto arrabbiare tanto gli attivisti di Queers for Palestine, che gli avevano chiesto di boicottare, quanto i conservatori che invece hanno criticato la natura troppo spinta della sua performance in una specie di gomitolo di controversie che mettono insieme un po’ tutti i temi caldi su cui i due lati della società si scontrano quotidianamente. Insomma, l’ottimismo pacifista di cui l’Eurovision è sempre voluto essere un simbolo risulta sempre più datato e inadatto a conciliare le fratture e le contraddizioni di un’Europa che non è più quella del dopoguerra e che, soprattutto, affronta oggi una categoria di problemi completamente nuova che va dall’immigrazione alle politiche monetarie, dall’aborto all’accettazione della comunità LGBTQ+ passando per il senso di allarme che circonda la libertà di stampa e di opinione in una società che è insieme apatica e fanatica. Forse ciò che rende questo Eurovision meno soddisfacente è proprio il fatto che risulta difficile conciliare la tensione geo-politica che vediamo nel mondo con la spensieratezza un po’ svampita della gara oltre che con la sua visione utopistica di un mondo «unito dalla musica» a cui è sempre più difficile credere.