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Quanti materiali della moda sono frutto di lavoro forzato?

Secondo il Global Slavery Index, la situazione è allarmante

Quanti materiali della moda sono frutto di lavoro forzato? Secondo il Global Slavery Index, la situazione è allarmante

È stato pubblicato questa settimana il report Global Slavery Index condotto dall’associazione internazionale per i diritti umani Walk Free. L’indagine si basa su interviste svoltesi a migliaia di sopravvissuti in 75 paesi diversi, ed ha l’obiettivo di offrire un approfondimento circa la schiavitù nel mondo. Ciò che è emerso risulta essere piuttosto preoccupante; il successo del fast fashion ha permesso all’industria della moda di crescere esponenzialmente negli ultimi anni, il che ha fortemente influito sul peggioramento delle condizioni lavorative dei produttori, dei fornitori e dei coltivatori di seta e cotone, coinvolgendo anche il settore del lusso. Secondo quanto spiegato a WWD da Elise Gordon, manager of global research di Walk Free, i brand di lusso sono stati superati da altri marchi. «È un'idea errata comune che i marchi costosi producano prodotti più etici. Purtroppo non sappiamo perché sia così. È estremamente deludente, perché ci si aspetterebbe che i marchi di lusso, avendo maggiori risorse da destinare a questi meccanismi di protezione dei lavoratori nelle loro catene di approvvigionamento, siano più propensi a farlo. Potenzialmente c'è anche un maggior rischio di reputazione per loro.»

Facendo esempi dei luoghi in cui la situazione lavorativa dei coltivatori è più a rischio, Walk Free ha segnalato le piantagioni di bozzoli di seta dell’Uzbekistan, dove spesso si pratica lavoro forzato, e quelle di gomma del Myanmar in cui sono costretti molti bambini. Anche nella coltura del cotone, in paesi come il Burkina Faso, la Cina, il Kazakistan, e il Pakistan, sono stati rilevati marcati livelli di manodopera forzata, specialmente nei confronti delle minoranze, come nel caso degli uiguri in Cina. La produzione di cotone sembra essere quella più divisoria nel campo della sostenibilità e dell’etica. Sebbene diverse aziende, tra cui anche Kering e Inditex, abbiano investito in piantagioni rigenerative, dichiarando il proprio impegno per il miglioramento dei terreni e delle condizioni dei lavoratori, se questo processo influisca positivamente sull’ambiente o sulle persone non è ancora stato verificato, in quanto tuttora non esiste una valida metodologia per misurarne i risultati.

 Ma cosa possono fare per cambiare la situazione gli Stati colpiti da un alto rischio di schiavitù? Dal 2018 ad oggi, solo quattro paesi hanno imposto leggi a difesa dei diritti umani e contro la schiavitù moderna, ossia Australia, Francia, Germania e Norvegia. E mentre resta tuttora sempre più complicato, per un consumatore singolo, riuscire ad intercettare brand effettivamente etici, i governi internazionali hanno a disposizione numerose soluzioni al problema, come ad esempio controlli e sanzioni più severe per le aziende che non si preoccupano delle condizioni dei propri lavoratori.