Vedi tutti

Il ministro della moda non ufficiale della Francia

La storia di Brune Poirson e la battaglia per rendere l'industria della moda francese più sostenibile

Il ministro della moda non ufficiale della Francia La storia di Brune Poirson e la battaglia per rendere l'industria della moda francese più sostenibile

Lo scorso agosto, durante il G7 di Biarritz, trentadue luxury brand, compresi adidas e Prada, hanno sottoscritto il Fashion Pact, un documento con il quale si impegnano a fare uno sforzo collettivo su temi ambientali, clima, difesa degli oceani e salvaguardia della biodiversità. Oltre a Emmanuel Macron e François-Henri Pinault, tra i maggiori promotori dell’iniziativa c’era Brune Poirson, vice ministro francese della Transizione ecologica e solidale. 

Nel governo francese, quando si parla di lottare contro sprechi, di come riciclare o smaltire i rifiuti, trasformare le abitudini di consumo, Poirson è la figura di riferimento.
Nata a Washington DC nel 1982 da un padre consulente in materia di sviluppo sostenibile alla Banca Mondiale e da una madre che restaurava dipinti, Brune è cresciuta ad Apt, Vaucluse in Francia. Dopo gli studi all Sciences-Po Aix di Parigi e alla School of Economics di Harvard, si è candidata alle elezioni legislative del 2017 nel Cantone di Marion Maréchal-Le Pen vincendo di stretta misura sulla candidata del Fronte nazionale. Poco dopo il suo ingresso in parlamento è stata eletta Segretario di Stato al Ministro della Transizione Ecologica e Solidale.
Sebbene il suo ruolo attuale non sia prettamente incentrato sulla moda, nei tre anni trascorsi dalla sua nomina, la politica ha redatto una legge sullo zero rifiuti che, fra i tanti provvedimenti, rende obbligatorio l'uso di filtri per lavatrice che impediscono alle microplastiche di fuoriuscire dai vestiti e finire nel flusso d'acqua, ma, soprattutto ha imposto una normativa che rende illegale la pratica di bruciare o distruggere in altro modo i prodotti invenduti (ricordate lo scandalo del 2018, quando Burberry dichiarò di aver bruciato merce in eccesso per oltre 32 milioni di euro?).
Il suo attivismo legato anche alla sua passione per la moda non le ha reso la vita pubblica facile come ha raccontato in un’intervista:

Quando sei una giovane donna al governo - o in generale, nella vita - e decidi di affrontare un argomento come la moda, tutti ti danno la caccia. È quasi la fine della tua reputazione. Se fossi stata davvero un politico, avrei preso l'energia nucleare o qualcosa del genere". Ma credo che ci sia ancora molto da fare nel campo della moda. So che dobbiamo fare qualcosa.

L’impegno di Poirson nel regolamentare l’impatto ambientale del settore (che solo in Francia il secondo più redditizio della nazione dopo l'aeronautica), le è valso il soprannome di "ministro della moda non ufficiale della Francia". La definizione data da Il New York Times ha fatto interrogare molti sulla necessità di avere una figura reale che ricopra quel ruolo e agisca all’interno del governo. 

Vediamo un po’ di dati. Secondo la Fondazione Ellen MacArthur la produzione tessile - a livello mondiale - consuma 98 milioni di tonnellate di risorse non rinnovabili e 93 miliardi di metri cubi di acqua all'anno; mentre per l'Agenzia Internazionale per l'Energia stima l'industria ha generato 1,2 miliardi di tonnellate di emissioni di gas serra nel 2016. Numeri destinati ad aumentare dato che, solo tra il 2000 e il 2015, Euromonitor rivela che i capi d’abbigliamento prodotti nel mondo sono passati da 50 miliardi a 100 miliardi. Considerando queste stime, sembra sempre più indispensabile avere un ministro che si occupi di moda, non solo in termini economici o culturali, ma ambientali. Un articolo di Fast Company ipotizza quali sarebbero gli step che dovrebbe affrontare un fashion minister per cambiare radicalmente il volto del settore. Nonostante, infatti, ci siano molti nuovi modelli di business, come il noleggio di capi d'abbigliamento, i mercati dell'usato online (abbiamo parlato di sostenibilità e moda circolare con Sophie Hersan di Vestiaire Collective e con la docente Francesca Romana Rinaldi) e prodotti rispettosi dell'ambiente, come Eileen Fisher e Patagonia, l’unico  cambiamento veramente impattante è che tutti i governi regolamentino il settore della moda, così come regolano il petrolio o l'agricoltura.

Quando pensiamo alle industrie più inquinanti del mondo, tendiamo a concentrarci su colpevoli evidenti come il petrolio o il gas. Negli ultimi anni, però, è entrato in gioco un nuovo importante protagonista: l'industria della moda, attualmente ritenuto da molte fonti il secondo più grande inquinatore del pianeta. Fino a poco tempo fa, il suo impatto sull'ambiente non è stato ben compreso, in parte perché i governi non finanziavano la ricerca su tale argomento. Ora appare evidente che il problema non può più essere ignorato, ma, per convincere l’apparato dirigente ad agire concretamente, servono sempre nuove, aggiornate, serie ricerche. Servono dati certi su cui basarsi per comprendere il fenomeno, adottare le politiche più efficaci e stilare leggi su come le aziende del settore moda dovrebbero condurre gli affari. Le strategie adottabili sono molte. Ad esempio si potrebbe ispirarsi a quanto già fatto da Poirson in Francia obbligando i marchi ad usare plastica riciclata per gli imballaggi e proibendo la plastica vergine. Per far sì che tali provvedimenti vengano rispettati, il governo deve tassare le aziende che non rispettano i regolamenti. Una scelta intelligente, sarebbe reindirizzare i soldi ricavati in questo modo per finanziare la creazione di tecnologie e impianti di smaltimento che incentivino il riciclaggio di abbigliamento e calzature.

Considerando tutti questi aspetti e che la moda, un settore da 1,4 trilioni di dollari, è responsabile di circa l'8% delle emissioni globali di gas serra, è più che auspicabile l’arrivo di ministro della moda. Purché sia competente, informato, lungimirante e abbia il carisma e il potere necessari per adottare cambiamenti concreti.