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Come fanno gli eco-influencer ad essere davvero sostenibili?

Se lo stanno chiedendo anche loro

Come fanno gli eco-influencer ad essere davvero sostenibili?  Se lo stanno chiedendo anche loro

Aprile è ufficialmente il mese più tappezzato di greenwashing dell’anno, la fiera delle false promesse “green.” Secondo un report istituito dall’Unione Europea, più del 50% delle dichiarazioni sostenibili espresse dai presunti brand “eco-friendly” risultano infondate o non verificate, mentre un’analisi condotta nel 2022 da Changing markets  rivela che anche le iniziative certificate non soddisfano i requisiti di trasparenza utili per confermarne la veridicità, essendo autoregolamentate e quindi poco affidabili. A fronte dei risultati scoraggianti del marketing sostenibile, l’Unione Europea sta ufficialmente cercando di imporre regole ferree contro il greenwashing, ma dato che l’ultima bozza legislativa pubblicata a riguardo risulta troppo vaga e ad oggi senza potere giuridico effettivo, l’iniziativa risulta insufficiente nel suo intento. E così il 22 aprile, la giornata mondiale della Terra - Earth Day, l’anniversario della nascita dell’ambientalismo moderno (1970) - originariamente istituita per ricordare l’importanza della tutela dell’ambiente, si è trasformata in una succulenta opportunità pubblicitaria, un evento lungo un intero mese che magicamente coincide, oltre che con l’arrivo del caldo e delle prime fioriture, con il lancio delle nuove campagne o collezioni “green” dei grandi marchi.

Aggirando l’aspetto etico di Earth Day per profitto, il termine “sostenibile” è diventato per la pubblicità moderna una sorta di medaglia acchiappa-clienti, un badge sgargiante da attaccare al contenitore in plastica riciclata di una crema viso, a sua volta composta di microplastiche. Sebbene questa realtà spinga molti interessati ai temi ambientali verso un vertiginoso pessimismo catastrofico, a salvarli ci sono gli influencer. Sembrerà contraddittorio, ma gli unici che sembrano riuscire a smascherare il greenwashing sono proprio loro. Nonostante innatamente pro-consumismo,  malgrado le #paidad e i pacchetti regalo, gli influencer sono il nuovo baluardo social dell’ecologia. Ma come si può essere sostenibili, se il tuo lavoro è quello di incoraggiare all’acquisto?

@acteevism beware of greenwashing this month #greenwashing #earthmonth #sustainability #sustainablefashion original sound - Megan McSherry - eco fashion

Per Megan McSherry, meglio nota come @acteevism, essere sostenibili significa fare del proprio meglio con ciò che si ha. La byline della sua pagina su TikTok recita «imperfect sustainability,» sottolineando il messaggio inclusivo dei suoi contenuti. Più che sottoporre i propri follower a una sfilza di post retribuiti, McSherry opta per clip che mostrano come prendersi cura dei propri abiti in modo che questi durino più a lungo, oppure come crearne di nuovi a partire da tessuti e capi inutilizzati. Secondo quanto spiega, i marchi con cui collabora vengono esaminati meticolosamente da lei e dai suoi colleghi prima di firmare qualsiasi contratto. «Aiuto il mio pubblico a prendere una decisione più informata su un prodotto, invece di cercare solo di convincerlo a comprarlo,» spiega McSherry, «ho un gruppo di altri influencer sostenibili che hanno a cuore i miei stessi valori, quindi se ho una domanda sull'aspetto sostenibile di un marchio mi aiutano con quello che sanno.»

Mentre l'attivismo ambientale sostenuto da influencer come McSherry ha lo scopo di educare più persone possibili tramite facili accortezze da implementare nella vita di ogni giorno, per chi vuole approfondire con maggiore attenzione le questioni sulla moda sostenibile esistono pagine di nicchia create da esperti del settore. Virginia Rollando, ad esempio, è un'ingegnere industriale che lavora al fianco di marchi di abbigliamento per lo sviluppo di strumenti di produzione volti a ridurre l'impronta ambientale delle fabbriche manifatturiere«La cosa che mi dispiace sia fuori dal mio controllo,» spiega Rollando, «è che alla fine la vera differenza è produrre di meno. Io posso solo aiutare a rendere il processo più sostenibile.» L'impegno ambientalista di Rollando è da tempo sfociato in una collaborazione con Simply Suzette, una pagina specializzata in denim che, oltre ad offrire consulenza in materia ecosostenibile, ha lo scopo di colmare il divario tra consumatori e aziende, «democratizzando le informazioni e incoraggiando decisioni d'acquisto informate.»

I più affermati eco-influencer sono ormai diventati veri esperti nel rintracciare le tattiche adoperate dai brand per convincerli a collaborare, ma c’è ancora chi tra loro fatica a non cadere nei tranelli del greenwashing. «In passato sono stata sicuramente “green-washed,"» racconta un’ex content creator che ora ha lasciato i social, «un marchio mi aveva contattato e inviato le sue cannucce riutilizzabili.» Dopo averle provate per qualche giorno, si è resa conto del suo errore: «non era un buon prodotto e proveniva chiaramente da un'azienda che si era appena lanciata nella moda delle cannucce riutilizzabili.» La nascita degli eco-influencer rappresenta, si spera, il segno di una crescente attenzione collettiva per il nostro pianeta, ma allo stesso tempo potrebbe preannunciare l’arrivo di content creator fasulli, che come i brand elusivamente “eco” provano a truffare i follower con tutte le buzzword del caso: «clean,» «eco-conscio,» «gentile per l’ambiente,» «biologico,» «carbon neutral.» È per questo che bisogna saper distinguere un contenuto informativo da uno privo di integrità morale, un compito che spetta tanto a questi influencer, quanto a chi li segue.