Vedi tutti

Perché #StopAsianHate dovrebbe fare riflettere anche l’Italia

Un problema culturale che la pandemia ha reso più evidente che mai

Perché #StopAsianHate dovrebbe fare riflettere anche l’Italia Un problema culturale che la pandemia ha reso più evidente che mai

Questa settimana ad Atlanta, negli Stati Uniti, un terrorista bianco ha ucciso otto persone, incluse sei donne di origine asiatica, che lavoravano in tre centri massaggi diversi. In seguito agli omicidi, è stato lanciato l’hashtag #StopAsianHate sui social media per denunciare gli episodi di razzismo anti-asiatico negli Stati Uniti e per invocare giustizia per le vittime. Nello stesso giorno, inoltre, l’organizzazione Stop AAPI Hate ha pubblicato un report che metteva nero su bianco, in numeri, gli episodi di razzismo verificatisi nell’ultimo anno: tra il marzo del 2020 e il febbraio del 2021, negli Stati Uniti, si è verificata la cifra record di 3795 di crimini d’odio incluse aggressioni verbali, violenza fisica, violazione dei diritti civili e cyberbullismo. In generale, le origini di questi crimini d’odio sembrano essere di più difficile comprensione, e la reazione a questi fatti non è stata unanime e potente come per il movimento BLM, sia nell’opinione pubblica che nel mondo della moda.

Purtroppo, questo genere di episodi razzisti non sono affatto una novità – ma il vertiginoso aumento dei casi, avviatosi con la diffusione della pandemia di Covid-19, è in parte legato al linguaggio e alle espressioni utilizzate per descrivere l’origine del virus, tanto dai media che nei social media. Ma anche se la maggioranza di questi episodi si è verificata negli USA, dove la manifestazione di odio razziale è stata più estrema, sono stati numerosi i casi di micro- e macroaggressioni che li hanno preceduti – casi che non si sono verificati solo in America ma anche in Europa e in Italia, anche qui in concomitanza con la diffusione del virus.

Nel febbraio 2020, nel mezzo del panico da pandemia e della paranoia collettiva, e prima che fosse istituito il lockdown, i primi negozi e ristoranti ad essere abbandonati dal pubblico furono tutti quelli posseduti e gestiti da cinesi, da quelli di Chinatown a Milano fino a quelli di Roma. Episodi di sinofobia, xenofobia e persino di violenza iniziarono a verificarsi in tutta Europa: un gruppo di ragazzi sputò su un turista cinese a Venezia, una serie di “mamme preoccupate” chiesero sui social media che i propri figli fossero tenuti a distanza dai compagni cinesi, in Francia una donna di origine asiatica venne gettata giù da un treno perché si riteneva che stesse trasmettendo il virus. In un caso particolare, il direttore del Conservatorio di Musica Santa Cecilia, a Roma, una delle scuole musicali più importanti del paese, dichiarò sospese tutte le lezioni per gli “studenti orientali” provenienti da Cina, Corea e Giappone a causa dell’”epidemia cinese”. Avrebbero potuto tornare ad assistere alle lezioni dopo aver fatto un test.

Spesso le reazioni alla diffusione del virus sembrerebbero aver catalizzato la paura della pandemia trasformandola in una serie di atteggiamenti anti-asiatici. I media giornalistici e i social media hanno giocato un importante ruolo nel diffondere notizie false senza alcuna cautela: ad esempio nel gennaio 2020, Tgcom 24 dichiarò che il virus proveniva da un laboratorio militare di Wuhan – una teoria che si è poi rivelata del tutto falsa. In un’altra occasione, sempre nel gennaio 2020, Giulia Calcaterra, una showgirl con 750k di follower, pubblicò su Instagram un video in cui incolpava della pandemia i cinesi e la loro dieta. I sentimenti anti-asiatici erano diventati così forti che il presidente Mattarella andò a fare visita alla Scuola Daniele Manin di Roma – uno degli istituti scolastici con più alta presenza di studenti italo-cinesi.

Anche se adesso l'espressione di "virus cinese" non viene più usata in relazione al Covid-19, questo tipo di narrazione ha lasciato sicuramente delle tracce nell'opinione pubblica, in Europa quanto negli Stati Uniti, e ha gettato una luce sulle maniere in cui la società e i governi occidentali si rapportano alle comunità asiatiche presenti nei rispettivi territori nazionali. Perché anche se la sparatoria in America è stata un caso estremo, tutti i casi estremi iniziano dalle piccole cose, da commenti e atteggiamenti che influenzano la percezione generale della comunità asiatica.