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Come “Ripley” capovolge l’estetica della Dolce Vita

Sempre gli anni ’60, sempre l’Italia ma in chiave neo-noir

Come “Ripley” capovolge l’estetica della Dolce Vita Sempre gli anni ’60, sempre l’Italia ma in chiave neo-noir

Per anni le foto dal set de Il Talento di Mr. Ripley di Anthony Minghella e di Plein Soleil di René Clement hanno fatto il giro dei moodboard di Instagram. Entrambi i film (uno del ’60 e l’altro del ’99) avevano deciso di raccontare la storia di uno dei personaggi più affascinanti della letteratura del ‘900, Tom Ripley, attraverso la bellezza idiliaca dell’Italia del dopoguerra: pensate alle spiagge della Costiera Amalfitana, ai giri in Vespa per le vie di Roma e Napoli, alle terrazze sul mare e agli abiti preppy dei ricchi americani in perpetua vacanza. Un’estetica mediterranea raccontata così bene dai primi due leggendari adattamenti cinematografici che il nuovo progetto di Steven Zaillian per Netflix, la serie Ripley, con protagonista uno spettacolare Andrew Scott, non avrebbe potuto riprodurre. Così la strategia è stata del tutto diversa: perché, invece che di quella bellezza da cartolina, non fare della storia il cupo neo-noir che in effetti è? L’effetto di inversione è sconvolgente: lasciando intatta tutta la bellezza di Atrani (e di altre location come Napoli, Roma ma anche la stupenda villa di Dickie Greenleaf che in realtà si trova a Capri) la scelta di virare l’intero show in bianco e nero rende benissimo la prospettiva di Ripley per cui l’Italia non rappresenta solo il sogno di una vita migliore ma anche il teatro di frodi e omicidi, quasi uno specchio ombroso e contorto della sua stessa mente.

@diogenesverlag Am 4. April 2024 feiert ›Ripley‹ auf Netflix Premiere, basierend auf dem berühmten Roman ›Der talentierte Mr. Ripley‹ von Patricia Highsmith Die achtteilige Serie mit Andrew Scott (›Fleabag‹, ›All of Us Strangers‹) in der Hauptrolle wurde von Steven Zaillian ( ›Hannibal‹, ›Schindlers Liste‹, ›The Night Of‹) geschrieben und inszeniert und von Philipp Keel (Diogenes Entertainment) als Executive Producer begleitet. Am 20. März 2024 erscheint die exklusive Neuauflage des Romans ›Der talentierte Mr. Ripley‹. diolink.ch/netflixripley #ripley #netflix #patriciahighsmith #diogenesverlag #booktok #booktokgermany Originalton - Diogenes Verlag

La parte più bella è che, sulla scorta del film-fenomeno della Cortellesi C’è Ancora Domani, che miete successi a destra e a manca, anche Ripley è ambientato negli anni ’50 e sembra avere in mente, oltre ai classici noir americani, anche i film neorealisti che si producevano proprio in quell’epoca. L’effetto finale è quello di raccontare una specie di negativo fotografico della classica Dolce Vita che, in parte se non del tutto, capovolge quel nuovo stereotipo che pare dominare molta della produzione audiovisiva americana recente con la sua ossessione per l’Italia e le storie italiane. A partire da Call Me By Your Name, passando per The White Lotus, e fino a film assai meno esaltanti come Omen – L’Origine del Presagio, Book Club: The Next Chapter, The Equalizer 3, A Haunting in Venice, Mafia Mamma, Fast X, Mission: Impossibile, Ferrari, qualunque James Bond di Craig, House of Gucci e via dicendo, il cinema americano pare essersi fissato con l’Italia e specialmente con il Sud. Al di là della bellezza geografica, il motivo probabilmente è economico dato che, citando direttamente dal sito ufficiale di Cinecittà, «la legge 220 del 14 novembre 2016 “Disciplina del cinema e dell’audiovisivo” ha reso lo strumento del tax credit molto più funzionale per le produzioni nazionali e internazionali, che possono oggi approfittare di notevoli benefici fiscali scegliendo di girare il proprio film in Italia» e in sostanza chiunque giri in Italia può decurtare dalle tasse il 40% delle spese di produzione del girato prodotto in Italia. Il che ha portato sicuramente a un aumento dei contenuti girati nel paese, facendo anche molta pubblicità, ma ha anche portato i cineasti americani a fossilizzarsi su un’unica maniera di raccontare il nostro paese: quella della Dolce Vita, fatta di colori caldi, spiagge da sogno, borghi storici dove si vive come una volta e tutto quel vibe nostalgico stile Vita Lenta.

Ora, il lavoro eccezionale che fa Ripley semplicemente scegliendo di osservare questi bellissimi panorami in bianco e nero non solo fa di borghi storici e viuzze un ambiente vagamente perturbante, alieno, labirintico – ma restituisce anche quel senso di crudezza, di sfacelo, di radicale arretratezza all’Italia di quegli anni, un luogo quasi barbaro in confronto agli Stati Uniti mai toccati dalla guerra. Di più: la scelta del bianco e nero si avvicina paradossalmente ancora meglio al tono estetico de La Dolce Vita di Fellini, film che non idealizzava l’Italia ma ne voleva invece raccontare le molte e stridenti contraddizioni, ma il cui titolo passò a identificare l’ottimismo privo di ombre che investì il paese nei tempi del boom economico e del Technicolor. Certo, nemmeno in Ripley mancano le idealizzazioni: spostando in avanti il calendario della storia dal 1955 al 1961, Zaillian consente a Ripley di assistere a un’esibizione di Mina che canta Il Cielo in una Stanza a Napoli - forse l’unica “americanata” della serie, data la completa inverosimiglianza di un concerto di Mina in pieno giorno per strada a Napoli e la scarsità del lip-sync. Ma è un volo di fantasia che possiamo concedergli. E anche se ancora bisogna dire se Ripley avrà il successo stratosferico di altre produzioni Netflix (il bianco e nero è ancora un ostacolo per molti spettatori) servirà comunque riconoscergli non solo di essere un adattamento quasi troppo fedele al libro, salvo il casting un po’ irrealistico di un personaggio secondario che spezza leggermente la sospensione di incredulità, ma anche di sollevare finalmente il dubbio che ci sono in effetti altre maniere di raccontare l’Italia e soprattutto di usarne gli scenari come un trampolino per l’espressione personale e non come una grande livella che appiattisce tutto alla bidimensionalità di una cartolina.