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Oltre i limiti della moda con il progetto A-POC ABLE di Issey Miyake

Il designer Yoshiyuki Miyamae racconta la genesi del brand presentato al Fuorisalone

Oltre i limiti della moda con il progetto A-POC ABLE di Issey Miyake Il designer Yoshiyuki Miyamae racconta la genesi del brand presentato al Fuorisalone

Quando domando a Yoshiyuki Miyamae, veterano di Issey Miyake ed ex-designer delle collezioni womanswear del brand, come mai abbia scelto di presentare il nuovo brand A-POC + ABLE al Fuorisalone di Milano e non durante la fashion week la sua risposta è semplice: «Presenteremo al Fuorisalone non tanto per portare il prodotto finito ma per avviare conversazioni, trovare imput e ispirazione dai visitatori stessi», spiega, aggiungendo che, «presenteremo vestiti, sì, ma non solo quelli. Con questo progetto volevamo portare a Milano qualcosa di diverso che parlasse di design». E quando dice design, Miyamae intende il design puro, concettuale, che esula dal tutto sommato limitato ambito dell’abbigliamento e parla un linguaggio più alto, lo stesso che parlava il founder Issey Miyake. «A-POC [acronimo di A Piece of Cloth, ndr] era un concetto che Issey Miyake ha avuto in mente dall’inizio della sua carriera negli anni ’70. E A-POC ABLE è un brand sviluppato e nato da questa idea che noi vogliamo mantenere e tramandare per il futuro». Per i cultori del lavoro di Miyake, che per fortuna sono parecchi, il nome A-POC ricorda lo storico show SS98 del brand in cui tutti i look facevano parte di un singolo, lunghissimo pezzo di tessuto tubolare in cui veniva utilizzato il minimo numero di cuciture possibile (a piece of cloth, letteralmente) che rappresentava un insieme di look modulari e personalizzabili da chiunque – bastava una comune forbice per regolare orli e altezze. «Issey-san ha cercato di dimostrare è che non serviva creare un vestito fatto e finito. I suoi  abiti erano fatti a metà e lui lasciava la libertà a chi li indossava di tagliarli alla lunghezza che voleva o indossarli al contrario. Attraverso il concetto di A-POC voleva dirci che vestirsi può essere qualcosa di divertente, che ci può far star bene».

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L’idea, spesso ripresa e ripetuta da Miyamae, centrale per Issey Miyake (il concetto di “one piece of cloth” fu il primo concepito dal designer di Hiroshima alla genesi del suo brand) è quella della compartecipazione creativa tra designer e utente finale: «Invece di disegnare un abito al 100% Issey-san ha cercato di lasciare uno spazio per chi indossa gli abiti. […] Pensava che i vestiti fossero di chi li indossa e non di chi li disegna e dunque ha voluto lasciare spazio e libertà a chi possiede gli abiti». E il concetto di A-POC ha attraversato l’intera storia del brand, inclusi il progetto A Piece of Thread che, nel ’88, portò alla nascita dei primi capi plissettati di Miyake poi sfociato in Pleats Please nel 1993 – la linea che diede un primo compimento all’idea ecumenica di abbigliamento del designer. «Dopo il lancio di APOC, tutti i giornalisti e designer gli venivano a chiedere cosa fosse. E lui ancora non sapeva definirlo. Così, anziché spiegarlo, organizzò una mostra a Tokyo di nome Nannano? A-POC alla AXIS Gallery di Tokyo, lasciando ai visitatori la libertà di pensare quello che volessero. Invece di portare abiti già fatti, Issey-san organizzò una mostra molto didattica e presentò anche i tessuti e le fibre con cui erano fatti gli abiti», spiega Miyamae, sottolineando che la presentazione di A-POC ABLE di Milano seguirà il medesimo blueprint per sottolineare l’appartenenza del brand al reame del design puro. «Abbiamo inserito sia i prodotti finali che il tessuto non lavorato per presentare la nostra filosofia – dalle semplici immagini non si capisce da dove il tessuto derivi e perché sia così speciale», continua il designer riferendosi al tessuto termoreattivo le cui fibre, una volta riscaldate, si contraggono grazie a una speciale colla e assumono la propria forma. 

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Il brand A-POC ABLE, dunque, si sviluppa in una dimensione trasversale: «Ci sono due attività parallele», prosegue Miyamae, «la prima è la collaborazione con esperti esterni all’azienda e la seconda è la creazione di prodotti di design innovativo e sostenibile». L’avanzamento tecnologico degli ultimi anni, tra l’altro, ha consentito al team di A-POC di estendere l’ambito della propria produzione: «Fino a Pleats Please riuscivamo a fare pieghe solo con poliestere ma con i nuovi metodi possiamo usare materiali come la seta, la lana e anche la carta – e volendo possiamo creare il plissè solo dove vogliamo o dove ci serve». Nello specifico, il progetto presentato al Fuorisalone è stato prodotto in collaborazione con Nature Architects, uno studio che si concentra sull’elaborazione di algoritmi e che ha fornito gli strumenti di calcolo per generare i pattern dei tessuti: «Uno dei prototipi su cui stiamo lavorando è una lampada – un prodotto a cui tengo moltissimo», racconta Miyamae. «Su questo prodotto possiamo giocare in maniere diverse, dalla sfumatura di luce regolabile attraverso le pieghe. Inoltre stiamo pensando di costruire oggetti pieghevoli che si possono piegare, smontare o lavare facilmente». L’esperienza dovrebbe avere dunque dei punti di connessione in comune con il progetto del 2006 Ron Arad by Moroso + A-POC by MDS che vide Issey Miyake creare delle fodere per sedie che, una volta rimosse, potevano diventare giacche avant-garde – ulteriore rappresentazione di un design versatile e universale che, più che far dialogare moda e arredamento come ambiti distinti, opera in una dimensione superiore, più pura e astratta, che ha la funzionalità come principio centrale. Altri progetti che saranno presentati? «Ci sarà una sfera insieme al vestito che ne può derivare, il prototipo di una poltrona ma anche una giacca creata con un metodo del tutto diverso». Il colore di tutti i design sarà il rosso – quello stesso rosso che segnò il debutto di A-POC nel 1998.